Legami di Ferro
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Book preview
Legami di Ferro - Beatrice Ruscio
(1573-1651)
Introduzione
Questo libro racconta una bella storia di solidarietà fra l’Italia e il Brasile. È la storia di realtà lontanissime fra loro che si incontrano, si conoscono e stringono un patto d’azione contro l’inquinamento.
È la storia di Taranto e di Piquiá de Baixo, in Amazzonia, e del filo conduttore invisibile che le lega. Vivono assieme due disastri ambientali collegati da una polvere che è alla base del processo siderurgico: il minerale di ferro. Quella polvere entra ovunque, sia a Taranto, sia a Piquiá de Baixo. Nelle case, nei vestiti, nei polmoni delle persone. E con quella polvere arrivano anche i fumi degli altoforni.
All’Ilva di Taranto arriva il minerale di ferro che viene estratto nelle miniere del Carajás, nella Foresta Amazzonica brasiliana. Dal Brasile all'Italia il viaggio della polvere di ferro è lungo, si varca l’oceano Atlantico, lo stretto di Gibilterra, il Mediterraneo, fino a giungere nel porto di Taranto. Lì i nastri trasportatori fanno arrivare quella polvere a centocinquanta metri dalle case, e con il vento e la movimentazione del materiale si deposita ovunque, proprio come a Piquiá de Baixo. I bambini vivono a contatto con la polvere di ferro e con un miscuglio di sostanze tossiche frutto del processo di lavorazione della ghisa.
Disastro ambientale a Taranto, disastro ambientale in Amazzonia. Abbiamo conosciuto il missionario comboniano padre Dario Bossi che lotta per difendere gli indigeni e la foresta. La salute, la dignità, i diritti, gli alberi. Tutto collegato. Razzismo ecologico. Quegli indigeni devono subire per un interesse calato dall’alto.
Idem a Taranto: la vita degli indigeni viene dopo. Prima l’economia.
Quando abbiamo saputo che la devastazione della Foresta Amazzonica era collegata al ciclo siderurgico, di cui Taranto è uno snodo finale, ci siamo detti: dobbiamo agire, dobbiamo stringere alleanze, dobbiamo lottare insieme. E così è nata l’idea del viaggio di PeaceLink in Brasile.
La storia che leggerete in questo libro è cominciata proprio così.
La decisione di un’alleanza fra Taranto e Piquiá de Baixo è nata un po’ alla volta. E soprattutto è nata per reagire a un’ingiustizia profonda, a una violazione dei diritti delle persone.
Ma nel creare questo legame di ferro
, questo patto di solidarietà, ci siamo accorti che il contesto era molto più ampio. Quando siamo giunti in Brasile ci siamo resi conto che c'erano realtà simili disseminate in ogni parte del pianeta e questo rendeva evidente che il ciclo siderurgico crea inquinamento e ingiustizie a livello globale. Per cui lotte locali e visione globale devono andare di pari passo, stimolando a conoscere le tante realtà in cui si estrae il minerale di ferro e in cui lo si lavora.
C'è un fronte di lotta per la giustizia ambientale e sociale ancora invisibile e poco coordinato. É un mondo che si sta conoscendo un po' alla volta. É nato non per intralciare l’economia mondiale ma per correggerne le storture. Basti pensare che il mondo chiede meno acciaio (solo 1.5 miliardi di tonnellate/anno mentre la capacità produttiva dell’industria siderurgica mondiale ha una capacità produttiva di 1,8 miliardi di tonnellate/anno). Ma il sistema economico non produce in funzione dei bisogni, produce in funzione dello sfruttamento massimo della capacità produttiva e quindi del profitto. È un profitto che dopo la crisi economica del 2009 stenta a realizzarsi. L’intera macchina economica della siderurgia mondiale, con annesse le miniere, produce quindi per se stessa e ha bisogno di gonfiare artificialmente la domanda mondiale di acciaio. Come? Ad esempio con la costruzione di grandi opere in cemento armato e di molte auto. Sostenere questa siderurgia è quindi un modo per sostenere le grandi opere e il consumismo dell’industria automobilistica. Anche puntando su acciaierie più moderne e pulite, si rischia di ottenere un risultato negativo se si continua insensatamente a produrre tanto, quando i bisogni umani richiedono meno. Una società più sobria è pertanto contraria a questa siderurgia sovradimensionata.
Il viaggio di PeaceLink ha consentito di tessere i fili di un’alleanza globale che va oltre la questione ecologica: è un’alleanza per la difesa dei diritti umani e per una nuova economia di giustizia.
Oggi il ciclo dell’acciaio non serve alla società ma serve ad alimentare se stesso. Produce per sostenere i propri bilanci, spesso in perdita. É un ciclo autoreferenziale che ha portato a una devastante deforestazione, oltre alla produzione di scorie tossiche che finiscono nelle discariche, quando non addirittura nel cemento o nel manto stradale.
In questo libro troverete un’impostazione profondamente innovativa, un approccio alla questione ambientale che si unisce alla grande tematica della giustizia sociale. Il viaggio che Beatrice ci racconta mostra l'altra faccia della siderurgia, quella che molti non conoscono. Con tanta partecipazione umana e con informazioni di grande impatto Beatrice ci offre una panoramica globale per potere leggere assieme l'ecologia e l'economia, in una visione di giustizia sociale. Incontra le persone e il loro dramma, ci racconta le loro speranze e le ragioni per cui è giusto unirsi e lottare assieme. É un'ecologia di persone. Sono le persone che padre Dario assiste e sostiene in Brasile, collegandole alla solidarietà mondiale. Sono i senza voce di questo sistema mondiale di ingiustizia. Viviamo in un sistema di potere economico che scarica sulle popolazioni indigene il peso dell’inquinamento con tale violenza da renderne evidente il carattere razzista. Indigeni senza voce, sia in Brasile sia a Taranto. Indigeni su cui scaricare i costi del ciclo siderurgico.
Joan Martinez Alier nel suo libro Ecologia dei poveri
(sottotitolo: La lotta per la giustizia ambientale
), parla di razzismo ambientale
e fa degli esempi di come le più gravi forme di inquinamento vengano scaricate proprio su popolazioni non in grado di far sentire la propria voce. E ritiene che in ballo non vi sia solo l’ecologia, ma una questione molto più ampia: la giustizia ambientale
. Scrive ad esempio: Negli Stati Uniti gli attivisti per la giustizia ambientale hanno svolto indagini statistiche per provare che la razza è un buon indicatore di carico ambientale
.
L’osservazione calza a pennello con Taranto, dove le produzioni inquinanti, chiuse a Genova per ordine della magistratura, sono state trasferite proprio a Taranto, città ideale perché scelta fra quelle considerate non in grado di reagire per una serie di ragioni che - senza doverle analizzare qui e ora - riconducono alla definizione di razzismo ambientale
che Joan Martinez Alier analizza lucidamente nel suo libro. Che vi sia un razzismo ambientale lo testimonia un’ordinanza del 1994, dell'allora Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton (la numero 12.898), che obbligò tutte le agenzie federali a non far ricadere carichi sproporzionati di inquinamento su popolazioni minoritarie e di basso reddito in tutta la nazione. "Fuori degli Stati Uniti - scrive Alier - il razzismo ambientale non ha normalmente fatto parte del vocabolario esplicito della protesta per opporsi all’inquinamento. E tuttavia, aggiunge Alier,
il linguaggio del razzismo ambientale è potente e può essere usato in molti casi di ingiustizia ambientale", anche se non in tutti. Ma Taranto e Piquiá de Baixo sembrano casi da manuale di questo razzismo ambientale che tocca la delicata questione dei diritti umani.
Beatrice è capace di entrare fin nei dettagli di un inquinamento talmente assurdo da sconfinare proprio nella violazione dei diritti umani e nel disprezzo della stessa dignità delle persone. Esempi lampanti di razzismo ambientale, appunto. Perché in quelle aree si consente di far morire di più i bambini, e se qualcuno lo fa notare ecco che scatta la frase standard: È un problema locale
. È talmente un problema locale che queste popolazioni sono rimaste orfane di protezione: nessuna grande associazione mondiale le ha adottate. E vivono il loro dramma