Il polimorfismo 894G>T (Glu298Asp) del gene NOS3 è associato alla longevità umana
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base dell’invecchiamento. L’ossido nitrico è sintetizzato da una classe di enzimi denominati ossido nitrico sintasi
(NOS), di cui si conoscono tre principali isoforme: neuronale (nNOS), inducibile(iNOS) ed endoteliale (eNOS).
In questo lavoro di tesi la nostra attenzione si è soffermata soprattutto sull’isoforma endoteliale dell’ossido nitrico sintasi. Poichè dalla letteratura è emerso che la disfunzione di tale enzima è alla base dei meccanismi che portano allo sviluppo delle principali patologie del sistema cardio-vascolare, che, a loro volta, sono determinanti per l’allungamento dell’aspettativa di vita, abbiamo voluto investigare se la variabilità del gene codificante per la eNOS (NOS3) fosse associata all’invecchiamento. Su un campione costituito da 469 soggetti reclutati nella popolazione calabrese, e suddiviso in fasce di età sesso-specifiche, sono stati analizzati tramite TaqMan Real Time PCR due polimorfismi diversi, uno nell’esone 7 (NOS3 894G>T) e l’altro nella regione del promotore (NOS3 -198G>A) del gene NOS3. L’analisi statistica dei dati sperimentali ha evidenziato un’associazione statisticamente significativa e sesso-specifica tra la distribuzione dei genotipi del polimorfismo NOS3 894G>T e la longevità umana.
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Il polimorfismo 894G>T (Glu298Asp) del gene NOS3 è associato alla longevità umana - Laura Buonofiglio
umana.
1. Introduzione
1.1 Invecchiamento
La definizione di invecchiamento di per sé è aperta a varie interpretazioni, sebbene possa essere condivisa la raffigurazione di tale processo come la somma di tutti i cambiamenti fisiologici, genetici e molecolari che si verificano con il passar del tempo, dalla fertilizzazione alla morte [Carey, 2003]. Le modificazioni età-dipendenti possono essere attribuite al naturale processo di crescita, a varianti genetiche legate all’individuo, al rapporto tra genotipo ed ambiente e allo svilupparsi di malattie. L’invecchiamento è, dunque, caratterizzato da un complesso di mutamenti che aumentano il rischio di malattia e di morte [Harman, 2003]. Negli organismi multicellulari complessi, in cui i singoli meccanismi possono sovrapporsi a vari livelli di organizzazione, lo studio delle interazioni tra cause intrinseche (genetiche), estrinseche (ambientali) e stocastiche (danno casuale di molecole) permette un più corretto approccio per la comprensione del processo [Weinert and Timiras, 2003]. Mentre negli anni ‘60-80 molti studi sull’invecchiamento umano si sono focalizzati sulle perdite funzionali che coinvolgono tutti gli organi e sistemi del corpo [Shock, 1960], negli anni ‘80 e 90 vi è stata una riconcettualizzazione di tale processo, che ha permesso di delineare 3 tipi di invecchiamento: 1) l’invecchiamento patologico
, caratterizzato da malattia e disabilità; 2) l’invecchiamento fisiologico
, caratterizzato dall’assenza di una patologia evidente ma dalla presenza di un declino funzionale; 3) l’invecchiamento di successo
, con poca o nessuna perdita fisiologica e assenza di malattia [Rowe and Kahn, 1987]. Una teoria unitaria capace di descrivere l’invecchiamento ai vari livelli, cellula, tessuto, organismo e nelle diverse forme in cui si esprime non è però al momento disponibile. Nel corso degli anni sono state formulate varie teorie per cercare di spiegare i meccanismi alla base dell’invecchiamento ma, sulla base dell’evidenza che molti meccanismi possono interagire simultaneamente operando a diversi livelli di organizzazione funzionale, la visione dell’invecchiamento come processo multifattoriale complesso ha sostituito le precedenti teorie monofattoriali
che vedevano una singola causa come responsabile del fenomeno [Kowald and Kirkwood, 1996]. Di fatto molte teorie singolarmente possono spiegare solo alcuni dei fenomeni che caratterizzano un invecchiamento cosiddetto fisiologico
, ma non possono dare ragione del processo nella sua globalità.
Denham Harman ha per primo proposto nel 1972 la teoria mitocondriale dell’invecchiamento, secondo cui il progressivo accumulo di mutazioni somatiche nel mtDNA durante la vita di un individuo porta al declino della funzione mitocondriale, e questo rappresenta un fattore contribuente chiave dell’invecchiamento umano [Harman, 1972]. I ROS ( specie reattive dell’ossigeno) sono radicali liberi che presentano un elettrone spaiato e per tale motivo sono molecole altamente dannose per la cellula, in quanto possono indurre mutazioni e danni a livello del DNA, alterazioni a livello dei lipidi di membrana, con conseguenze sulla funzionalità delle membrane stesse, e danni alle proteine, con effetti ad esempio sulla funzionalità enzimatica. Essi sono generati a livelli molto bassi durante la normale respirazione dei mitocondri e molti di essi possono essere rimossi efficientemente dagli antiossidanti e dagli enzimi scavengers dei radicali liberi. Tuttavia, nelle cellule dei tessuti che invecchiano, la produzione mitocondriale di ROS è aumentata mentre l’efficienza di rimozione è diminuita [Lenaz, 2001]. Il danno ossidativo al mtDNA da parte dei ROS potrebbe produrre vari nucleotidi modificati e contribuire all’insorgenza di mutazioni somatiche nel mtDNA. L’accumulo di mutazioni e il danno ossidativo al mtDNA possono risultare nella disfunzione della catena respiratoria, portando all’aumentata produzione di ROS nei mitocondri e all’induzione di ulteriori mutazioni nel mtDNA [Richter, 1995]. Come mostrato nella Figura 1, questo circolo vizioso ridurrà gradualmente la capacità funzionale dei mitocondri ed è stato proposto per spiegare l’aumento del danno ossidativo durante l’invecchiamento, che porta al progressivo declino delle funzioni cellulari come risultato sia dell’insufficiente fornitura di energia, sia dell’overproduzione di ROS nei tessuti somatici [Wei, 1992]. Pertanto, la capacità dell’organismo di rispondere adeguatamente ad un insulto cronico di tipo ossidativo e infiammatorio sembra giocare un ruolo importante nel favorire la longevità umana e nell’evitare/ritardare le maggiori patologie età-correlate.