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TAMER - La Macchina del Paradiso
TAMER - La Macchina del Paradiso
TAMER - La Macchina del Paradiso
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TAMER - La Macchina del Paradiso

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About this ebook

La più grande illusione di tutti i tempi.
Uno spettacolo meraviglioso e terribile.
Le minacce e le insidie di un falso Paradiso.

Sulla nave da crociera Jupiter molti misteri attendono di essere svelati. Da chi sta scappando la giovane Isabel Southwell? Da dove deriva l’odio viscerale della pianista Luciana Gomez per la bella capitana do Flores? Cosa stanno tramando l’astuto magnate Aster Thelamon, la sua enigmatica segretaria Viola Krystal e il geniale scienziato Tashiro Akamatsu? Ma soprattutto, quali oscuri segreti si nascondono dietro la sua incredibile invenzione, il TAMER?
A queste domande dovrà rispondere David Jorde, un riflessivo e riservato giramondo svedese, fuggito tre anni prima dal suo Paese. Nella sua indagine improvvisata sarà aiutato dai nuovi amici e alleati che troverà a bordo della nave, come l’eccentrica ed esuberante Leila, l’ingenua e amichevole Natalia e il cupo e integerrimo secondo ufficiale Calabresi. E quando capirà in quale storia inquietante si è cacciato, sarà troppo tardi per tornare indietro.

Tutti i pezzi sono al loro posto.
Il Terzo Atto si avvicina.
Chi lo potrà fermare?
LanguageItaliano
Release dateMar 7, 2012
ISBN9788863697469
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    TAMER - La Macchina del Paradiso - Lorenzo Trasarti

    TAMER

    La Macchina del Paradiso

    Lorenzo Trasarti

    Alle mie inimitabili compagne di viaggio,

    ispiratrici di questa storia.

    Preludio

    -Perché l’hai fatto? Perché l’hai lasciata andare?-

    -Perché, non avrei dovuto?-

    -Certo che no! Meriterebbe molto di peggio.-

    -Non dire così. Lei non è come gli altri.-

    Lui esitò prima di rispondere, come se volesse contraddirmi, ma alla fine si limitò a dire:-Vai a parlarci, prima che se ne vada.-

    La guardai. In quel momento sentii un brivido: non ero riuscito a non ripensare a tutto quello che mi era successo a partire dal mio arrivo a bordo della Jupiter.

    1 – La Jupiter

    Salone dell’Eden.

    Fissai per qualche istante la scritta sulla mappa. Cosa diavolo poteva significare? Per il resto era tutto normale per gli standard di una grande nave come quella. Cinema, teatro, piscina. Salone di bellezza, negozi duty free, sala da ballo. Cabine di prima, seconda, terza classe. Prevedibile. Però ero sicuro che il Salone dell’Eden non fosse qualcosa che normalmente si può trovare su una nave da crociera. Non credevo che potesse essermi sfuggita l’esistenza di qualcosa con un nome così particolare, anche se era la prima volta che salivo a bordo di un mezzo di trasporto del genere.

    In passato non me l’ero mai potuto permettere. Dalla mia partenza da Stoccolma tre anni fa avevo sempre viaggiato nel modo più economico possibile. Voli charter, pullman vecchi e senza aria condizionata… addirittura l’autostop, qualche volta. È umiliante attendere per ore senza che nessuno si fermi, ma talvolta mi rendevo conto che l’alternativa era tra spostarmi senza spendere nulla o arrivare alla meta senza il becco di un quattrino, neanche lo stretto necessario per alloggiare in qualche alberghetto da due soldi e per cenare.

    A volte venivo pagato. Lavoravo via internet, quindi, finché facevo il mio dovere, nessuno mi dava fastidio per il fatto che ero sempre in viaggio. Ricevevo via mail le istruzioni, facevo il mio mestiere e mandavo al committente il mio lavoro. Dopodiché mi accreditavano i soldi presso qualche banca. Non molti, ma me la cavavo. Non mi piaceva parlare del mio lavoro. Avevo ben altri progetti in mente qualche anno prima, quando ero uscito dalle scuole superiori. Accetta l’incarico, David, sarà una cosa temporanea, presto potrai fare quello che sogni veramente, mi dicevano tutti. E invece non stavo certo realizzando i miei sogni, mi limitavo a viaggiare casualmente con l’unico vincolo di non rimettere piede in Svezia fino a che le mie speranze non si fossero concretizzate. E non sapevo neanche lontanamente se sarebbe successo oppure no.

    Ero salito su quella nave da crociera ad un prezzo ridicolmente basso. Quando mi avevano detto quanto costava il biglietto, avevo subito pensato alla fregatura. Certo, mi dicevo, mi fanno pagare due soldi per salire sulla nave e avere una specie di cubicolo che mi fa da cabina, ma poi a bordo dovrò comprare il cibo, le bevande e ogni minimo servizio a prezzi da capogiro. Mi sbagliavo. Il costo complessivo di quella traversata, pur non essendo esattamente bassissimo, era abbordabile persino per me, dopo che avevo ricevuto per il mio ultimo lavoro un compenso relativamente alto.

    Tutto merito dell’armatore della nave, Aster Thelamon, ricco industriale e proprietario, tra le altre cose, della flotta Thelamon Travel. Dopo l’infarto e la morte di suo padre Frederick due anni prima, il giovane figlio, appena ventisettenne, ne aveva preso il posto nonostante i dubbi avanzati da molti membri del consiglio di amministrazione. Quel giovane più grande di me di soli cinque anni era riuscito a controllare a meraviglia le aziende del padre e si era arricchito in maniera straordinaria, apparentemente senza trucchi, in modo onesto e trasparente.

    Inoltre, cosa da non sottovalutare, aveva fatto personalmente da sovrintendente alla costruzione della Jupiter, nuova ammiraglia della sua flotta. Quello sarebbe stato il viaggio d’inaugurazione e io avevo avuto la fortuna di ottenere uno dei biglietti.

    A dire il vero non era stata proprio fortuna. Più che altro era stato Josh Summers, un mio vecchio amico nonché impiegato di un’agenzia di viaggi che ha sede a Londra, la città dove passavo più spesso nei miei vagabondaggi. Infatti anche dopo aver abbandonato la Svezia sentivo di avere bisogno di una base, di un nido al quale tornare di tanto in tanto, e la capitale inglese si era rivelata più che adatta al ruolo. All’inizio vivevo in un monolocale in affitto, ma da quando avevo conosciuto Josh era lui a ospitarmi gratis a casa sua.

    Ogni volta che passavo un periodo a casa sua e della sua compagna Carmen raccontavo loro i miei progetti di viaggio. L’ultima meta che mi ero prefissato era Cuba e Josh, incaricato di vendere i biglietti per il viaggio sulla Jupiter, ne aveva tenuto da parte uno per me. Liverpool-L’Avana, un lungo viaggio per inaugurare la nuova nave della Thelamon Travel. Una breve tappa in Irlanda, poi la lunga traversata dell’Atlantico fino alla costa canadese per poi muoversi verso sud fino agli Stati Uniti e quindi finalmente a Cuba; infine la traversata di ritorno fino al porto inglese di partenza.

    Un viaggio di tutto rispetto a prezzi stracciati. Il nuovo motto della Thelamon Travel era viaggi per tutte le tasche. Mi sarebbe costato un po’ più del solito, ma molto meno di qualunque altra crociera al mondo. Josh era sicuro che l’idea di salire a prezzi ragionevoli su una nave super-lussuosa in barba a quei dannati ricconi che ne avevano sempre avuto il monopolio mi avrebbe tentato. E a quella tentazione avevo ceduto completamente.

    E così mi trovavo sulla Jupiter la sera prima della sua partenza. E in base alle mie conoscenze sulle navi da crociera sembrava tutto normale, a parte quella scritta. Salone dell’Eden. Così, senza alcuna spiegazione. Era un’area piuttosto grande, a poppa della nave. Scrollai le spalle: una volta sistematomi sarei andato a vedere di cosa si trattava.

    Guardai la chiave magnetica della mia cabina, ottenuta direttamente al momento dell’imbarco, per evitare problemi ai viaggiatori una volta a bordo: 908, c’era scritto. C’erano un sacco di cabine economiche come la mia, un numero meno elevato di cabine di seconda classe e alcune cabine lussuose, per non dire principesche, per i sopracitati ricconi. Nel complesso la Jupiter (la nave da crociera più grande del mondo, aveva annunciato Aster Thelamon) poteva ospitare fino a seimila passeggeri, più un equipaggio molto numeroso nonché tutte le persone impiegate sulla nave per le varie attività.

    Secondo indiscrezioni che aveva sentito Josh, Aster Thelamon si era occupato personalmente di garantire la presenza di numerosi giornalisti e lui stesso sarebbe stato sulla nave per tutta la durata della crociera. Pareva che dovesse fare un annuncio importante il giorno stesso della partenza. Che avesse a che fare con il fantomatico Salone dell’Eden?

    Lasciando perdere la mappa, camminai per il largo corridoio pieno di porte: sfortunatamente ero entrato dalla parte sbagliata, dato che all’ingresso c’erano, l’una di fronte all’altra, la cabina 999 e la 998. Ma non importava: nonostante il caos che c’era in questi corridoi avrei raggiunto presto la mia cabina, avrei lasciato la mia valigia e me ne sarei andato a cenare nel ristorante più economico della nave.

    Mentre pensavo agli affari miei in tutta tranquillità, ricevetti da dietro uno spintone improvviso e mi ritrovai a terra.

    -Ehi, ma che diavolo…?- esclamai furioso rialzandomi e raccattando la valigia.

    Mi girai e fui contento di non aver continuato a imprecare: davanti a me, a terra, c’era un’attraente ragazza bionda dall’aria confusa, che mormorava qualcosa in una lingua a me ignota.

    -Ehm… vuoi una mano a rialzarti?- chiesi titubante.

    Lei si girò e mi guardò come se fossi un alieno. Realizzai subito che in quei momenti di agitazione avevo ricominciato a parlare svedese, nonostante avessi avuto ben tre anni per abituarmi al fatto che all’estero dovevo usare l’inglese. Per fortuna lo parlo correntemente, insieme al norvegese e al tedesco. Sono sempre stato piuttosto portato per le lingue. Essendo incerto sulla nazionalità della ragazza, che a giudicare dall’apparenza doveva avere qualche anno meno di me, ripetei la domanda in inglese.

    -Oh- rispose lei ancora confusa –Oh, certo, grazie. Scusi se le sono andata addosso.-

    Non avevo riconosciuto la sua lingua, prima, ma riconobbi l’accento del suo inglese leggermente imperfetto. Doveva essere dell’est europeo, probabilmente russa.

    Aiutai la ragazza a rialzarsi, mentre quella proseguiva a più riprese con:-Deve perdonarmi! Sto cercando la mia cabina da un’ora, finalmente ho trovato il corridoio giusto e l’ho imboccato correndo, perché ero davvero stanca di girare a vuoto. Mi scusi!-

    -Non devi preoccuparti- la interruppi prima che potesse continuare a fracassarmi i timpani –Davvero. Anzi, facciamo così: adesso ti porto la valigia fino alla tua cabina, ok? Io mi chiamo David Jorde, vengo da Stoccolma.-

    La giovane russa parve sollevata dal fatto che non me l’ero presa, e rispose, per mia sfortuna, continuando a parlare a voce molto alta:-Oh, che gentile! Io sono Natalia Ivanova, di San Pietroburgo- e mi strinse la mano.

    Fatte le presentazioni, presi con la mano sinistra la valigia della ragazza (molto più pesante della mia, come sospettavo), chiedendole:-Allora, Natalia: qual è la tua cabina?-

    -È la 936, signor Jorde!- esclamò lei alzando ulteriormente il tono di voce –Non dovrebbe essere lontana, vedo che ora siamo alla… uhm… 950, 948, 946…-

    -Sì, manca poco- tagliai corto –Per piacere, non chiamarmi per cognome, o mi farai sentire vecchio a soli ventiquattro anni.-

    -D’accordo, allora, David! Uh, ecco laggiù la mia cabina!-

    Cominciò a frugare nella sua borsetta alla ricerca della chiave magnetica, e nel trovarla lanciò un grido di trionfo la cui pressione sonora era vicina alla soglia del dolore. Dopodiché aprì la porta, che si muoveva a scorrimento per risparmiare spazio in quell’affollata zona di cabine economiche.

    -Sei un bravo ragazzo, David Jorde!- esclamò Natalia togliendomi di mano la sua valigia e sfoggiando un disarmante sorriso a trentadue denti –Quasi quanto il mio Juan. Spero di rivederti presto su questa nave!- e chiuse la porta senza aspettare neanche la mia risposta.

    E così il viaggio era cominciato con quell’incontro rocambolesco. Scossi la testa per togliermi tutto quel trambusto dalla mente. L’intera scena era durata meno di tre minuti ma era stata sufficiente a lasciarmi piuttosto frastornato.

    Andai avanti. La mia cabina non era lontana. La raggiunsi presto, ma proprio lì davanti c’era un tipo dai capelli brizzolati e gli occhi stralunati che tentava di aprire la mia porta con la sua chiave magnetica, ovviamente senza successo.

    -Mi scusi- tentai di richiamarlo, stavolta assicurandomi di parlare in inglese e non nella mia lingua. La cosa risultò inutile, perché il tipo mi ignorò completamente e continuò a far passare nel lettore presente sulla porta la sua chiave magnetica.

    -Quella sarebbe la mia cabina- ritentai, ma il tipo si era incaponito, e adesso stava anche borbottando qualcosa in un’altra lingua, probabilmente in italiano, senza dare il minimo segno di volersi spostare.

    -Ehi, signore, guardi che ha sbagliato- esclamai alzando la voce.

    Quello finalmente si girò e disse, balbettando e parlando un inglese piuttosto stentato:-T-tu… d-d-dici… c-che io… aaa-aaa-aaavrei sba-bagliato ca-cabi-bin… na?-

    Le sue parole erano a malapena comprensibili, ma finalmente avevo ricevuto un po’ d’attenzione e con un certo fastidio gli mostrai la mia chiave magnetica:-Guardi, signore. Numero 908. Si tratta della mia cabina.-

    -N…no-non è po-po… possibile- ribatté quello, testardo come un mulo –I-i-i-io ho la… ca-ca…bina nu… numero novecen… tootto.-

    -Signore, le ho anche mostrato la prova che quello che dico è vero- risposi, ormai davvero molto seccato.

    -E… allo… allora! Se… se è p-per q-questo… a-a-anche io ho… u… una… p-p-pro… pro… prova.-

    E, con una specie di storto ghigno di trionfo, mi mostrò una chiave magnetica in tutto e per tutto identica alla mia. Con tanto di numero 908.

    -Oh mio Dio- borbottai in svedese, poi ripresi il discorso:-Ascolti: la sua chiave non funziona. Questo vuol dire che hanno commesso un errore nello scrivere il numero della sua cabina. La mia deve essere la vera chiave della cabina 908.-

    -N-n… No! L-La ca-cabina è… è… l-la m-m… mia!- gridò di rimando il cocciuto turista balbuziente.

    -Che cosa sta succedendo qui?- chiese un’imperiosa voce femminile proveniente dal fondo del corridoio.

    Mi girai subito verso quella direzione e così fece il mio contendente nella lotta furibonda per il controllo di una misera cabina delle dimensioni di due metri e mezzo per due.

    La donna in uniforme che si avvicinava a noi due, pur essendo piuttosto bassa, era semplicemente bellissima. Doveva essere una delle addette alla sistemazione dei viaggiatori, col compito di impedire che si verificassero episodi come la lite tragicomica che si stava consumando nel corridoio delle cabine da 900 a 999.

    Rimasi per qualche istante a contemplare il viso stupendo di quella donna. Quando finalmente riuscii a distogliere lo sguardo da quegli affascinanti occhi verdi, rivolsi un’occhiata sprezzante al turista italiano prima di iniziare il discorso per esporre le mie ragioni a quell’angelica apparizione. Mi accorsi che il tipo stava fissando con interesse, senza neanche cercare di dissimularlo, una zona più in basso di dove avevo guardato io poco prima.

    -Rivolga il suo sguardo in una direzione più appropriata, signore, o può stare certo che se ne pentirà amaramente- gli disse la donna con tono gelido.

    Poi mi rivolse la parola, riscuotendomi dal torpore che il solo vederla mi aveva causato:-Allora, signore? Lei che sa tenere gli occhi a posto, può spiegarmi che cosa sta succedendo qui?-

    -Ma certo, signorina- risposi prontamente –Io…-

    La donna sorrise e mi interruppe con un cenno:-Per piacere, signore, mi permetta di presentarmi. Sono il capitano Catarina Pereira do Flores, al comando di questa nave e al vostro servizio- e mi porse la mano.

    Rimasi un attimo interdetto, poi mi resi conto che ero rimasto talmente attratto dall’aspetto di quella donna che non mi ero reso conto che aveva un berretto da capitano sopra i suoi splendidi capelli chiari e la sua uniforme era più elaborata di quella di tutti i marinai, gli addetti ai bagagli e gli altri membri dell’equipaggio che avevo incrociato fino a quel momento.

    -Lei… lei è il capitano?!- esclamai stupidamente, rendendomi conto solo dopo della brutta figura che avevo rimediato.

    La donna inclinò la testa e assunse un’espressione corrucciata:-Crede forse che il capitano di una nave debba per forza essere un uomo?-

    -No, no, per carità!- tentai di rimediare –È solo che lei è così… giovane! Praticamente un’adolescente!-

    -Lei mi confonde, signore, non sono così giovane come crede- rispose lei arrossendo leggermente, anche se continuavo a pensare che sembrava avere qualche anno in meno di me.

    Porse nuovamente la mano prima a me e poi al turista. Pur essendo tentato di baciarla invece di stringerla, alla fine la forza dell’abitudine vinse il confronto con la tentazione di sfoggiare modi cavallereschi.

    -Capitano do Flores, io sono David Jorde: piacere di conoscerla.-

    -V-v-v-vede- tentò di blaterare l’essere inutile, con un’espressione spiritata che lo faceva sembrare posseduto dal demonio -Q… questo… i-i… i-impostore… so-sos… tiene che… q-questa ca-ca… bina, le-le-legalmente aaa-aaassegnata… a me… Ruggero C-c-caetani… ecco, dice… c-che… è su-su-sua.-

    Capire quello che diceva quell’uomo si faceva sempre più difficile e a quanto pareva aveva iniziato anche a sudare copiosamente. A quel punto ritenni che un gesto sarebbe valso più di mille parole. Spostai senza troppa gentilezza il turista da davanti alla porta, presi dalla tasca dei pantaloni la mia chiave magnetica e la passai nel lettore. La porta scorrevole si aprì immediatamente verso l’alto, come una specie di serranda.

    -Vede, capitano? La cabina è mia- dissi a do Flores con un lieve sorriso e la donna guardò subito Caetani con aria di rimprovero, facendolo tremare e bofonchiare qualcosa nella sua lingua.

    Colto da un’improvvisa ed immeritata pietà nei confronti del turista balbuziente, intervenni in sua difesa:-C’è da dire che anche quest’uomo possiede una chiave magnetica con sopra scritto 908; temo tuttavia che si sia trattato di un errore del personale della Thelamon Travel.-

    La donna lo guardò e gli chiese:-Come aveva detto di chiamarsi, signore?-

    -Ru-ru-ru…gge-ge-gero Ca-caaaetani, s-siiignora c-c-ca…aaapitano- rispose faticosamente quello.

    -Ruggero Caetani- ripeté tra sé do Flores –Aspetti un istante, la prego.-

    Era impossibile non obbedire a un ordine di quella donna, e il tipo rimase immobile sul posto, in silenzio. Il capitano estrasse da una tasca un oggetto che sembrava una specie di piccolo computer tascabile e vi armeggiò per un po’. Evidentemente era un tablet che conteneva tutti i dati sui passeggeri e l’equipaggio della nave, supposi.

    Mentre la donna era occupata con quell’aggeggio, quello riprese a fissare avidamente la stessa zona che era stata oggetto del suo interesse in precedenza e a nulla valse l’occhiata di rimprovero che gli lanciai. Probabilmente in quel momento neanche si accorgeva della mia presenza. Dopo un paio di minuti il capitano alzò lo sguardo, subito imitata da Caetani, che assunse una poco credibile espressione innocente.

    -Mi scusi, signor Caetani, effettivamente c’è stato un errore- disse seria la donna –La cabina assegnata a lei è la numero 938, non la 908. Torni un po’ indietro nel corridoio e la troverà. Le consiglio poi di recarsi in uno dei punti assistenza clienti per far attaccare un’etichetta col numero corretto alla chiave, così non si confonderà più e non infastidirà il signor Jorde- e mi rivolse un leggero sorriso talmente sensuale da mandarmi completamente nel pallone, lasciandomi con ogni probabilità un’espressione ebete stampata in faccia.

    -E soprattutto- proseguì il capitano fissando con severità il turista balbuziente –le ripeto che deve evitare di rivolgere lo sguardo dove non deve, è chiaro? Sappia che la tengo d’occhio- poi cambiò espressione completamente, diventando più cordiale, e si rivolse a me –Buona serata, signor Jorde, e buona permanenza sulla Jupiter.-

    Si voltò con eleganza e se ne andò.

    -Va-va-vado alla m-m-mia… c-c-caaab-bina- bofonchiò Caetani, allontanandosi finalmente dalla mia vista diretto verso la cabina 938.

    938. Perché quel numero mi era familiare? Mi resi conto che si trattava della cabina accanto alla 936: quella di Natalia Ivanova. Mi augurai che quella simpatica ragazza russa non si imbattesse in quella specie di maniaco. Essendo più prosperosa del capitano avrebbe senza dubbio attratto il suo sguardo. Mi ripromisi di metterla in guardia riguardo a quel tipo, semmai l’avessi incontrata di nuovo.

    Scrollando le spalle, osservai l’interno della mia cabina. La porta era sparita e quel che c’era dietro era uno stanzino misero ma pulitissimo con dentro soltanto un letto e un comodino dove avrei potuto appoggiare il mio bagaglio. I bagni erano in comune e si trovavano a metà del corridoio.

    Dopo tutto quello che era successo non avevo la minima voglia di mettere in ordine i miei pochi effetti personali, quindi mi limitai a prendermi una mezz’ora di pausa, sonnecchiando sul comodo letto della cabina, dopo aver richiuso la porta passando la chiave magnetica in un secondo lettore all’interno. Notai che c’era un buon sistema di aereazione e che quindi non dovevo temere l’asfissia, che è sempre stata una delle mie più frequenti paure irrazionali. Si trattava di una claustrofobia molto leggera, è chiaro, altrimenti non avrei mai potuto dormire in un simile cubicolo.

    Quando ormai l’orologio segnava le sette di sera mi decisi ad andare a cena. Ero certo che avrei impiegato un po’ di tempo a trovare un ristorante. Uscito dalla zona delle cabine economiche vagai senza meta per quella nave labirintica.

    Trovai, nell’ordine: una sala giochi in stile Las Vegas, un pista da bowling, un’area per bambini, un negozio di souvenir e una pista da ballo con tanto di allievi che si esibivano in una rumba. Molti dei viaggiatori della crociera erano saliti in nave già da quella mattina e le attività a bordo erano cominciate ufficialmente alle 12, quindi non mi stupii del fatto che i vacanzieri si dessero già da fare nelle danze latino-americane.

    Ero completamente stufo di cercare un ristorante, ormai erano quasi le sette e venti e non c’era nulla di commestibile nelle vicinanze. A quel punto mi sarei accontentato di un panino o di un hamburger, ma non ero riuscito a trovare nessun posto dove vendessero cibo.

    Pensai che avrei potuto chiedere informazioni. Magari qualcuno di quei ballerini della domenica sapeva dove si trovava un posto dove mangiare. Il tabellone con gli orari diceva che le lezioni terminavano alle 19:30, dunque mi rassegnai a far aspettare altri dieci minuti abbondanti al mio stomaco che già protestava. Osservai la maestra di danza e feci un fischio d’approvazione. Quella giovane donna sorridente dalla pelle scura ci sapeva fare. D’altro canto, io non ho mai saputo ballare e forse tendo a sopravvalutare le capacità degli altri. La lezione terminò con qualche minuto di ritardo.

    Ci fu un piccolo applauso degli allievi e l’insegnante annunciò:-Molto bene, gente. Per chi vuole proseguire, ci vediamo domani alle sei. Grazie a tutti e buona serata- e fece un rapido inchino.

    Mentre gli allievi uscivano a poco a poco, ne fermò alcuni battendogli pacche sulle spalle, facendo complimenti e arrivando anche ad abbracciarne qualcuno.

    Poi, lasciandomi di stucco, si diresse dritta verso di me spalancando le braccia ed esclamò:-Ed ecco il nostro amico silenzioso che ci ha osservati in piedi per quasi un quarto d’ora.-

    Infine – e qui la mia sorpresa fu ancora più forte – mi abbracciò come se ci conoscessimo da un pezzo. Strabuzzai gli occhi e rimasi rigido come un ciocco di legno, poi azzardai un timido:-Ehm… salve?-

    La donna mollò la presa e disse divertita:-Era una domanda, amico? E che razza di domanda sarebbe? Cosa dovrei rispondere a una domanda del genere?-

    -Ehm… non… lo so.-

    Nonostante stessi arrossendo vistosamente per l’imbarazzo, ebbi presto la prontezza di spirito per dire:-Ora, però, vorrei farle una domanda più chiara: sa dove posso trovare da mangiare a prezzi modici?-

    L’insegnante di danza scoppiò a ridere ed esclamò:-Devi essere davvero affamato per pensare al cibo dopo uno dei miei super-abbracci. Davvero affamato, oppure dell’altra sponda.-

    Sorrisi di fronte alla bonaria vanità della ragazza:-E chi devo ringraziare per questo super-abbraccio?- chiesi guardandola negli occhi e cercando di mantenere un’espressione dignitosa nonostante mi stesse mettendo in difficoltà.

    -Leila Sanchez Allende- rispose lei stringendomi la mano in una morsa ferrea, ben diversa dalla stretta lieve ma decisa del capitano do Flores.

    -Oh! Come Isabel e Salvador Allende- ribattei tentando di cambiare discorso.

    -Proprio così, caro- annuì lei.

    -Ehm… caro?- dissi io sempre più confuso.

    -Ah…! Lasciala perdere. Fa sempre così con chiunque- intervenne una voce proveniente dall’ingresso della sala da ballo.

    Leila sbuffò ed esclamò:-Uff! Lucy! Potevi lasciare che lo tenessi sulle spine un altro po’, no?-

    La morsa di tensione che mi stringeva finalmente si allentò ora che era presente qualcun altro in quel posto ormai deserto.

    Guardai verso questa misteriosa Lucy e vidi che si trattava di una donna molto alta che pareva avere qualche anno più di me, ma non osai azzardare ipotesi sull’età, dopo il fiasco con il capitano do Flores. Aveva la stessa espressione di una persona appena giunta ad un funerale.

    -Scusa, amico, devo proprio andare- esclamò improvvisamente Leila piantandomi in asso all’improvviso per recarsi dalla nuova arrivata.

    -Ehi, Lucy- le sussurrò mostrandosi per una volta seria –Cos’è successo stavolta?-

    Sono sempre andato fiero del mio ottimo udito e nonostante le due donne stessero mantenendo un tono basso per non farsi sentire riuscii comunque a captare la conversazione.

    -Sai che non posso permettere che tu prenda in giro la gente in questo modo- disse Lucy con tono spento –Sai che è una cosa che non sopporto. Quando qualcuno ti illude e ti prende tra le tue grinfie per poi gettarti via come un panno usato- una lacrima le solcò il viso e subito si girò per non farsi vedere in quel modo.

    Pensai che doveva essere una persona davvero depressa per mettersi a piangere davanti a un perfetto sconosciuto. Lei e Leila sembravano l’una l’immagine speculare dell’altra, eppure pareva che andassero d’accordo. Imbarazzatissimo, feci finta di giocherellare col mio cellulare mentre in realtà ero troppo curioso per smettere di origliare la conversazione.

    L’insegnante di danza mise una mano sul braccio della nuova arrivata:-Va tutto bene, Lucy. Non stavo facendo niente di simile, lo stavo solo prendendo un po’ in giro, tutto qua. Non volevo dargli chissà quali illusioni, lo sai che non sono quel tipo di persona.-

    La donna rispose sussurrando ancora più piano, ma riuscii comunque a sentire:-No, tu non sei… non sei come quella donna.-

    -L’hai incontrata di nuovo? Smettila di pensarci, su. Ti presento il mio nuovo amico, vuoi? Lucy, lui è…- si girò all’improvviso verso di me alzando la voce –Com’è che hai detto di chiamarti?-

    -Non… non mi ero ancora presentato- risposi alzando gli occhi dal cellulare e cercando di non sembrare troppo incerto nel parlare –Io sono David Jorde, vengo da Stoccolma.-

    -Ehi, Lucy!- esclamò Leila come se non potessi sentirla –Questo qui viene da Stoccolma. Vuol dire che se lo prendo in ostaggio si innamorerà di me. Hai presente la Sindrome di Stoccolma?-

    Non mi offesi per il fatto che stavo venendo ignorato, dopotutto l’insegnante di danza stava provando a consolare la sua amica, che tra le lacrime aveva fatto una risatina e aveva risposto:-Tu sei pazza.-

    -Lo sai già da un pezzo, questo- ribatté Leila sorridendo.

    Mi chiesi chi diavolo fosse la donna la cui sola vista faceva disperare a tal punto Lucy. Mi riproposi di tentare di scoprirlo, se ne avessi avuto modo, magari facendo qualche domanda a quell’insegnante di danza, che sembrava più bendisposta a parlare rispetto alla sua amica.

    La donna giunta da poco si asciugò in fretta le lacrime, assunse un’espressione seria e disse:-Mi spiace di essermi presentata in questo modo, signor Jorde. Io sono Luciana Gomez, suono il piano su questa nave. Stavo giusto andando a suonare al vicino Ristorante Atlantis prima di passare a… a salutare la mia cara amica Leila.-

    Intende dire a farmi consolare dalla mia amica, pensai, ma non sarebbe stato corretto farglielo notare. Una cosa, comunque, aveva attirato la mia attenzione.

    -Mi scusi, ha forse detto ristorante?- chiesi alla pianista.

    Leila scoppiò inaspettatamente a ridere di gusto, poi aggiunse:-Questo tipo sta morendo di fame. Sarà meglio che gli mostriamo la strada.-

    Finalmente, guidato da quelle due strane donne, raggiunsi il ristorante. Luciana salutò con un cenno della mano e andò a prendere posto al pianoforte. A quanto pareva si esibiva come solista e un potente impianto acustico diffondeva le note della sua musica in tutto il ristorante. Era davvero un bell’ambiente e c’era anche musica dal vivo. Ero molto dubbioso sul fatto che in un posto del genere si potesse mangiare a prezzi abbordabili ma dopotutto quella era la prima serata. Per una volta potevo permettermi uno strappo alla regola, in fondo anche durante il viaggio avrei continuato a lavorare e venire pagato come sempre.

    Esposi comunque i miei dubbi all’insegnante di danza:-Signorina Allende, io…-

    -Leila, David. Se mi chiami per cognome mi fai sentire vecchia.-

    Ricordai di aver detto una cosa simile a Natalia non molto tempo prima, quindi tenni la bocca chiusa a riguardo e mi limitai a dire:-Leila. Forse mi sbaglio, ma ho l’impressione che qui il costo del cibo sia un tantino salato per le mie finanze.-

    -Non se ti accontenti di poco, amico- rispose lei, poi tentò di imitare la voce baritonale delle pubblicità della flotta di navi da crociera –Thelamon Travel, viaggi per tutte le tasche! Vale anche per questo posto. Ti piacciono i funghi?-

    -Eh? Sì, abbastanza.-

    -Allora ti consiglio la zuppa di funghi. È ottima e non costa molto. Io la prendo, poi fai come vuoi.-

    E si sedette a un tavolo invitandomi a unirmi a lei. Dopo un istante di esitazione mi sedetti su un’altra sedia. Mi chiesi perché diavolo stavo cenando con una donna sconosciuta che, a quanto diceva una sua buona amica, si divertiva a prendere in giro gli uomini. Ma in fondo probabilmente bastava non provarci con lei e la serata sarebbe filata liscia, inoltre forse avrei potuto scoprire qualcosa di più sulla nave.

    Non feci neanche in tempo a dire una parola, però, che una voce conosciuta risuonò alle mie spalle.

    -Oh, è quel tipo, David! Devo fartelo conoscere, è proprio una brava persona.-

    Mi girai e vidi proprio quello che mi aspettavo: a chi poteva appartenere quella voce acuta e potente se non a Natalia Ivanova?

    La ragazza russa se ne portava dietro un’altra, per mano, e si avvicinò al tavolo chiedendo:-Possiamo unirci a voi, io e Isa?-

    -Ma certo!- esclamò subito Leila senza lasciarmi neanche aprire bocca –Così mi dirai come hai conosciuto questo tipo.-

    Le due nuove arrivate avvicinarono altre due sedie al tavolo quadrato e si unirono a noi, una a un lato e una all’altro.

    -Isabel, questo è David Jorde di Stoccolma; David, questa è Isabel Southwell: è una mia compagna all’università di Manchester.-

    Osservai Isabel, una giovane ragazza dai corti capelli castani e dall’aria inquieta, come se non volesse far sapere il suo nome in giro.

    -P-piacere- disse con una leggera esitazione, stringendomi la mano in modo incerto.

    -E tu non ci presenti la tua amica?- chiese Natalia accennando a Leila, che sorrideva con condiscendenza, la testa appoggiata a una mano.

    Pensai che quella giovane russa che per qualche ragione studiava nel Regno Unito spiccava per l’assenza di tatto. Se quello con Leila fosse stato un appuntamento galante (e poteva sembrarlo, dato che eravamo soli al tavolo), lei l’avrebbe interrotto brutalmente, con la sua improvvisa apparizione. Accantonai la questione in un angolo della mia mente e risposi in tutta tranquillità.

    -Natalia e Isabel, questa è Leila Sanchez Allende, insegnante di danza sulla Jupiter e dispensatrice di abbracci agli sconosciuti.-

    -Ehi!- protestò scherzosamente Leila –Detta così chissà cosa sembra.-

    -In senso letterale, è chiaro, senza voli di fantasia- aggiunsi per placare la bonaria ira dell’insegnante di danza.

    Natalia guardò entrambi con un’espressione interrogativa. Pensai che dovesse essere parecchio ingenua per non capire un sottinteso così semplice.

    Col piacevole sottofondo delle melodie malinconiche suonate da Luciana al pianoforte non lontano da lì (e non molto dopo anche con un’invitante zuppa di funghi davanti) cominciammo a conversare cordialmente a proposito della nave, ascoltando tutti i consigli di Leila su dove conveniva mangiare, quali erano le attività a bordo e dove si trovavano i luoghi in cui si svolgevano.

    A quanto pareva quella donna, che aveva un anno più di me, era originaria di Cuba e con quel viaggio avrebbe rivisto la sua terra dopo molti anni di assenza. Era impiegata alla Thelamon Travel da quasi quattro anni, e prima di essere impiegata sulla nuova nave Jupiter aveva lavorato prima sulla Tersicore e poi sulla Thor, nave dove tra l’altro erano state in servizio anche Luciana, sempre come pianista, e il capitano do Flores. Tutte e tre le donne erano state trasferite sulla nuova nave in quanto elementi di punta del personale della Thelamon Travel. Leila, per vantarsi, sottolineò come soltanto i migliori erano stati destinati alla Jupiter e non mancò di farci sapere che aveva iniziato ad esercitare la professione di insegnante di danza a soli venti anni.

    -Venti anni!- esclamò Natalia sognante –È la mia età! Vorrei tanto iniziare anche io a lavorare subito, ma mi hanno detto che devo prima finire l’università.-

    E iniziò anche lei a parlare a raffica di come aveva iniziato il percorso di studi in Inghilterra invece che in Russia grazie a un progetto di scambi culturali, di come si stava impegnando nei suoi studi sulle scienze sociali (mi chiesi come una ragazza così ingenua potesse occuparsi di materie come la psicologia o la sociologia), di come aveva conosciuto a Manchester un bellissimo studente spagnolo, Juan Alvarez Diaz e di come erano stati insieme per alcuni mesi (i più belli della mia vita! aveva esclamato con tale forza da coprire del tutto la musica del pianoforte, nonostante gli amplificatori).

    -Me lo voglio proprio tenere stretto, è un ragazzo d’oro- cinguettò decantando le lodi di questo tipo.

    -Se te lo vuoi tenere stretto, perché non è qui con te, adesso?- chiesi, cercando di mantenere un tono blando, per non dare l’impressione di fare allusioni.

    -Al momento è in vacanza a Cuba. Non lontano da L’Avana, dove la nave farà sosta per qualche giorno prima della traversata di ritorno- disse Natalia con un sospiro –Ho deciso di raggiungerlo senza dirgli niente e questo viaggio mi ha dato l’opportunità per arrivare laggiù in maniera divertente e rilassante. A un prezzo accessibile, per di più! Sicuramente gli manco tanto, poverino. Era così triste per il fatto che saremmo stati lontani per quasi due mesi. Sta facendo una vacanza davvero lunga. Ma mi vedrà anche quest’estate: arriverò di soppiatto al posto dove alloggia e… sorpresa! Chissà che colpo si prenderà, povero caro. Ma dopo un primo istante di smarrimento sono sicura che sarà felicissimo di rivedermi.-

    -E tu, invece, David? Perché questo viaggio?- mi domandò Leila.

    Feci un sorrisetto sghembo:-È una domanda che mi fanno tutti da parecchio tempo.-

    -Eh?- rispose lei interdetta –Il viaggio d’inaugurazione della Jupiter è stato annunciato solo un mese fa, l’otto di giugno.-

    Ridacchiai sottovoce:-Eh! Ma io sono in viaggio da tre anni.-

    -E perché?- chiese Natalia.

    Scrollai le spalle:-Mi piace vivere così.-

    Non avevo intenzione di spiegare i motivi per cui stavo lontano dalla Svezia e mi spostavo in continuazione.

    -Devi avere soldi da buttare per permetterti un simile stile di vita- disse Leila guardandomi per la prima volta con severità.

    -Oh, no- risposi con un lieve cenno di diniego –Il fatto è che lavoro via Internet; finché consegno i miei lavori entro i tempi previsti, nessuno si lamenta del fatto che sono sempre in viaggio. E vengo pagato quanto basta per permettermi di viaggiare, con un po’ di parsimonia. Come avrai notato, non ho intenzione di spargere soldi ai quattro venti.-

    -Wow, lavori su Internet!- esclamò la ragazza russa, che pareva esaltarsi per qualsiasi cosa –E che genere di lavori devi consegnare?- mi chiese fissandomi con un’espressione che sembrava dire:Non rispondere è vietato.

    Non volevo dire la verità, non a persone che conoscevo da così poco tempo, ma non volevo neanche mentire clamorosamente, perciò risposi:-Beh, sono… racconti.-

    -Racconti! Sei uno scrittore.-

    -Uhm, sì, qualcosa del genere- dissi sperando intensamente che non giungessero altre domande, che mi avrebbero inesorabilmente costretto a mentire, ma per fortuna Natalia si limitò a partire di nuovo per la tangente parlando di quanto gli piaceva leggere romanzi rosa e di fantascienza.

    La sua compagna, Isabel, era invece rimasta silenziosa fino a quel momento, con un’espressione che lasciava intendere che avrebbe preferito trovarsi altrove. Il viso sofferente, le braccia tese, il piede destro che tamburellava senza sosta sul pavimento: tutto sembrava dimostrare che per qualche motivo quella ragazza avrebbe voluto sparire il prima possibile. A giudicare dal suo sguardo pensoso rivolto verso di lei, anche Leila doveva avere intuito che Isabel era turbata da qualcosa. Naturalmente, invece, la sedicente studiosa di scienze sociali non si era accorta minimamente di quanto le stava accadendo a un palmo dal naso e continuava a parlare senza tregua a voce alta, anche se con un tono meno potente del solito, per fortuna.

    Alla fine, lasciando da parte ogni indecisione, l’insegnante di danza chiese alla ragazza inglese:-E tu? Perché viaggi qui sulla Jupiter?-

    -Beh, sono in vacanza. Cos’altro?- rispose Isabel con un sorriso incerto.

    -Già, cos’altro?- domandò Natalia genuinamente stupita –Che domanda!-

    Ha parlato Sherlock Holmes, pensai ironicamente alzando con discrezione gli occhi al cielo.

    Leila lo notò e fece un sorrisetto astuto. L’hai capito anche tu che nasconde qualcosa, eh?, sembrava dire.

    E dunque chiese a Isabel:-Sei una ragazza riservata, vero? Non hai parlato quasi per niente.-

    -Ehm… s-sì- rispose un po’ incerta, con una balbuzie che non era certo cronica come quella dell’usurpatore della mia cabina ma era piuttosto un chiaro sintomo di stress.

    -Ma che dici, Isa!- ridacchiò Natalia –Ah ah ah! Le piace scherzare. Lei in realtà è una persona terribilmente chiacchierona.-

    Ma senti un po’ da che pulpito, pensai sempre più divertito.

    -E non ti sembra strano che quasi non apra bocca?- le chiese Leila.

    -Ora che mi ci fai pensare, in effetti…-

    Natalia osservò per qualche istante la sua amica con sguardo critico (ma allora ha un senso critico, pensai, tenendomi per me quell’osservazione un po’ crudele), poi le disse:-Davvero, Isa… Cos’è questa tensione?-

    -Ehm…- provò a rispondere la ragazza inglese -Niente di che. È solo che… è la mia prima vacanza per conto mio, ecco… mi sento un po’ spaesata, tutto qui.-

    -Ma certo!- esclamò Natalia, con un sorriso comprensivo –È una reazione logica a una situazione nuova, naturalmente hai bisogno di ambientarti un po’- poi si rivolse a me e a Leila –Vedete, i suoi genitori sono piuttosto possessivi, non le lasciano molto spazio. Ma ora finalmente ti hanno fatto partire, eh?-

    -Ehm… già, finalmente- rispose lei arrossendo.

    Come no, pensai. Puoi darla a bere alla tua amica, ma non a me.

    E anche Leila sembrava intenzionata a saperne di più. Lasciai fare a lei. Ero certo che sapesse cavarsela meglio di me con le domande.

    -E come vi siete incontrate?- chiese l’insegnante di danza, apparentemente a tutte e due, pur essendo certamente consapevole che sarebbe stata Natalia a rispondere.

    E così fu:-Mi ero persa mentre cercavo un ristorante,- (ah, allora non sono l’unico, pensai) –e ad un certo punto mi sono trovata in un corridoio dall’aria lussuosa. Alcune delle porte delle cabine, o meglio delle stanze, erano aperte, e ho guardato dentro: non potete immaginare quanto sembrano comodi quei posti. Ma mi sento già fortunata perché mi sono potuta permettere una cabina economica. Comunque dentro una di quelle cabine c’era Isa che sistemava i suoi bagagli. Che bella sorpresa! Non siamo proprio amiche intime, però ci siamo viste e abbiamo parlato qualche volta all’università. È stato bello vedere un volto conosciuto in tutta quella massa di persone estranee. L’ho chiamata, ma credo che all’inizio non si fosse accorta che ero io, perché mi ha ignorata e ha guardato da un’altra parte. Ma poi sono entrata e l’ho salutata, così siamo andate insieme a cercare un ristorante.-

    Vuoi dire che l’hai praticamente costretta a seguirti, pensai, ragionando sulle nuove informazioni ricevute. A quanto pareva la nostra nuova amica era piuttosto facoltosa. Aveva una delle celebri cabine extra-lusso che davano ai ricconi l’illusione di essere gli unici a fare quel tipo di vacanza. Comunque, nonostante nascondesse sicuramente un segreto, Isabel Southwell non sembrava una persona sgradevole.

    I miei ragionamenti furono interrotti da una profonda e suadente voce maschile proveniente da dietro di me che chiamava l’insegnante di danza:-Salve, Leila. E buonasera a voi, signori. Mi auguro che il pasto e la sistemazione a bordo siano di vostro gradimento.-

    Mi girai per vedere la persona che aveva parlato. Si trattava di un uomo giovane e attraente vestito con un elegante completo scuro. Era alto e atletico, aveva lunghi capelli neri e uno sguardo estremamente particolare. Infatti l’iride dell’occhio destro era di un celeste chiarissimo che gli donava un che di gelido, mentre quella del sinistro era scurissima, quasi nera, come un immenso e terrificante abisso tenebroso. Come Alessandro Magno, pensai. Com’era che si chiamava quella stranezza? Policromia? Multicromia? Poi mi ricordai il termine: eterocromia dell’iride.

    -Salve a lei, signor Thelamon- rispose in tono cordiale l’insegnante di danza, tributando a quell’uomo un rispettoso cenno del capo –Vedo che non ha rinunciato alla sua ispezione.-

    -Preferisco verificare sempre di persona come procedono le attività delle mie proprietà e questa nave mi sta particolarmente a cuore- rispose con calma l’uomo che a soli ventinove anni reggeva le fila di un potente impero finanziario.

    Quell’insolito e distinto personaggio era proprio Aster Thelamon. Fui davvero impressionato dalla sua presenza carismatica e decisa, che si era imposta nell’istante stesso in cui aveva fatto la sua apparizione davanti a noi.

    Solo in quel momento mi accorsi che qualche passo dietro quell’uomo sostava senza parlare una ragazza di media statura con occhi azzurri e capelli neri che contrastavano con la carnagione pallida. La giovane portava un paio di occhiali da vista con una rettangolare montatura nera e aveva uno sguardo penetrante che sembrava registrare ogni minima informazione. Portava sottobraccio un’agendina nera con la scritta Thelamon Inc. in elaborati caratteri bianchi.

    L’armatore della Jupiter si rivolse in tono cortese a me e alle due studentesse universitarie:-Allora, miei graditi ospiti, come avrete già capito io sono Aster Thelamon. Posso conoscere i vostri nomi?-

    Uno alla volta, Natalia, Isabel ed io ci presentammo stringendogli la mano e notai che la ragazza silenziosa che lo accompagnava stava segnando sulla sua agenda alcune annotazioni. Forse i nostri nomi? No, perché mai avrebbe dovuto?

    -E dunque, signorine Ivanova e Southwell e signor Jorde, cosa pensate riguardo la nuova ammiraglia della mia flotta?- chiese Thelamon, mostrando un’affettata curiosità.

    La sola presenza di quell’uomo potente e sicuro di sé mi metteva in soggezione, così esitai per un istante a rispondere, venendo quindi soppiantato da Natalia. Poteva anche essere una sempliciotta, ma dovevo riconoscere che quella ragazza aveva il dono naturale della disinvoltura, che a me mancava completamente.

    -È davvero fantastica, signor Thelamon!- esclamò la giovane russa –Cioè… non l’ho visitata tutta… ma quello che ho visto è bellissimo! La sala da ballo! Il teatro! Il cinema! Non avevo mai visto niente di simile in vita mia.-

    -Forse intendi dire che non li avevi mai visti su una nave- la corressi con la mia tipica pignoleria.

    -Già, proprio così, David! Per farla breve, signor Thelamon, complimenti!-

    -Sì, è una bella nave- disse in tono più blando Isabel, che essendo ricca era probabilmente già abituata alle vacanze in crociera e l’unica cosa che avrebbe potuto notare di spettacolare nella Jupiter erano le sue dimensioni.

    A quel punto era il mio turno di parlare:-La cosa che mi ha più stupito, signor Thelamon, è il fatto che lei sia riuscito a rendere possibile una vacanza di questo tipo anche alle persone con un reddito modesto. Come riesca a farlo senza rimetterci è per me un mistero, ma non sapendo nulla di economia mi limito a farle i complimenti per quello che ha fatto. Spero che la sua società possa varare in futuro altre navi come questa, che è davvero notevole.-

    Dimostrandosi lusingato, Aster Thelamon fece un leggero sorriso, ma notai che stava sorridendo solo con la bocca e quel suo sguardo da falco era rimasto tale e quale a prima:-Sono lieto che siate soddisfatti della Jupiter, signori. Ora, se vorrete gentilmente scusarmi, devo proseguire la mia ispezione. Ho molte sezioni della nave da visitare, ancora.-

    E con un lieve cenno del capo, fece per allontanarsi, quando fu inaspettatamente richiamato dall’insegnante di danza:-Chiedo scusa, signor Thelamon, posso trattenerla solo per un minuto?-

    L’armatore della Jupiter, che si era allontanato solo di un paio di passi, si girò e disse:-Sì, Leila? Voleva chiedermi qualcosa?-

    -Signor Thelamon,- cominciò la giovane cubana –ho notato che sulle mappe della nave che si trovano in giro c’è un posto chiamato Salone dell’Eden. Sono andata a cercarlo: ero molto curiosa, dato che non ho mai sentito parlare di qualcosa con un nome simile.

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