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Non posso essere tua
Non posso essere tua
Non posso essere tua
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Non posso essere tua

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Briseide, per gli amici Bunny, e Marzio (che è un “Milord” a tutti gli effetti!) sono l’incarnazione dell’amore romantico che molte ragazze sognano.
Sono belli, di nobili origini e sono due incredibili testoni (più lei che lui).

Si conoscono in aeroporto al JFK di New York e si intrattengono per un breve flirt in attesa di prendere l’aereo. Entrambi convinti che non si vedranno mai più, sono vittime di un beffardo destino che li fa rincontrare di nuovo in Tailandia, sulle coste delle paradisiache Phi Phi Islands.
Ignari delle rispettive origini e soggiogati da una reciproca attrazione, si ritroveranno a trascorrere insieme momenti indimenticabili.
Purtroppo, però, il passato di Bunny non è tutto rose e fiori, ed è proprio il trauma che la perseguita a farla fuggire all’improvviso e a lasciare Marzio con un misero biglietto: 
ti ho solo preso in giro.

Ma la storia può forse finire così?

Divertenti liti, organizzazioni di matrimoni, segreti nascosti e tanti buoni sentimenti sono gli ingredienti speciali di questo leggero romance contemporaneo.
LanguageItaliano
Release dateSep 13, 2015
ISBN9786050415865
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    Non posso essere tua - Veronica Variati

    XIV

    PARTE PRIMA

    Capitolo I

    Bunny

    San Valentino è di nuovo nell’aria: l’amore sbandierato per le strade e in ogni vetrina, come fosse una partita dei NY Knicks. No. Quest’anno non ci sto. Non ho proprio intenzione di passare il mese di febbraio a New York. Sono stufa del freddo, della neve e di questo gelido inverno. Non voglio più passare un’altra ora così: malinconicamente raggomitolata sul divano a fissare inebetita le luci di Manhattan. Ormai la mia immagine riflessa si è fusa con la vetrata del salotto. Superare le festività natalizie schivando i soliti sgradevoli inviti a cene e party, quasi tutti calibrati verso secondi fini, è già stata abbastanza dura. Dentro di me però, so bene che la stagione e le varie ricorrenze non sono altro che un bieco pretesto. Il vero problema qui è un altro: mi sento isolata e fuori posto, come un’aliena nel mio stesso mondo. L’ammetterlo però, non fa che ampliarne l’effetto in maniera esponenziale. Pietà! Mai più altre serate in cui il piumone bianco insieme ad una tazza di tisana fumante, o svariati Martini Dry, diventano i miei migliori amici. Chissà, forse inizio a non tollerare più la solitudine, eppure siamo sempre andate d’accordo. Oh, squilla il telefono di casa. Funziona come un piccolo schiaffo di risveglio.

    «Ehi Bunny, come te la passi?» Devo spostare al volo la cornetta dall’orecchio, per non rimetterci un timpano. È la mia amica Mel, la cui voce è una forza della natura. Quando parla lo fa sempre a squarciagola, avrebbe dovuto fare la cantante lirica. Arriva subito al sodo, senza aspettare che io le risponda. «Allora, a che ora ti presenterai da me il quattordici?»

    Non ci posso credere! «Mel, hai la palla di cristallo per caso? Non ti sembrerà vero, ma ci stavo giusto riflettendo ora e… beh, devo essere sincera, quest’anno vorrei essere molto lontano dalla City per quella data.» Gioco d’anticipo. «Lo so: stai per odiarmi.» Dico velocemente e assumendo un fare da vittima innocente.

    «Certo che ti odio! Tesoro non fare la stronza! Vuoi davvero piantarmi in asso così?!» Mi rimprovera attraverso il telefono.

    Recitare la povera martire non attacca con lei, quindi sarò più schietta: «Mel sai quanto mi dispiaccia non partecipare al tuo evento giù al club, ma proprio non me la sento, non riesco nemmeno ad immaginarmi l’idea.»

    Lei rimane in silenzio per un breve istante, poi subito rincalza, dall’altro capo del telefono: «Aaah ora capisco: mi stai prendendo in giro, e io per poco non ci cascavo. Ok, fine degli scherzi. Senti qua: quest’anno ho fatto le cose in grande, non ho badato a spese. Per l’inizio della serata, ho predisposto una band con musica dal vivo, poi apriremo le danze a ballerine brasiliane, marinai, pompieri, drag queen e trapezisti… ho già migliaia d’invitati in lista e ci sarà…» Continua a raccontare di come si svolgerà il party, ma io non le presto ascolto, so già cosa mi sta dicendo perché l’ho sentito molte volte. Gestisce un locale tutto suo giù nel Village, nei pressi della favolosa Bleecker Street, si chiama Roxane Club. È un posto unico nel suo genere, solo lì puoi trovare il punk nostalgico divertirsi accanto alle snob degli Upper Sides. Il segreto è proprio questo: mescolare all’interno della stessa festa i personaggi più disparati, quindi, lasciare che si scatenino. Ogni occasione, dev’essere per lei l’evento più esagerato che abbia mai organizzato, ed in parte è così per davvero. A tutto questo però, io non sono interessata. Non mi va. Non la mando giù. Mel comunque è eccezionale: sa creare nello stesso ambiente momenti tranquilli ed eleganti, come intrattenimenti al limite della normalità. È la migliore, sa fare il suo mestiere non c’è che dire, ma soprattutto è la mia più cara amica. Mi ricorda la tosta proprietaria del bar delle ragazze del Coyote… non ricordo, com’era quel film?

    «Ehi, dolcezza? Sei ancora lì?! Mi stai ascoltando?» Mi rimprovera subito, richiamandomi all’attenzione.

    «Oh sì. Scusa Mel, mi ero distratta. Sono sicura che sarà un gran successo e farai pienone come sempre, ci sarà tutta la gente giusta, maaa… non sembrerà più una festa di Carnevale, che di San Valentino?!» Ridiamo insieme e lei scuce un solo: « Beh, in effetti, un pochino…!» Un pochino dice lei! A confronto il carnevale di Rio risulterà sobrio. Devo farle capire che sto dicendo sul serio, perciò modulo la voce come se fossi sul punto di piangere: «Sono mortificata. Dovrai avere la tua gloriosa serata senza di me quest’anno, non scrivermi neanche sulla lista. Ti prego Mel non volermene a male, so che tu mi capisci.»

    «Ehi, mi stai facendo gli occhioni dolci da gattina? Guarda che mi accorgo bella mia, anche se sono dall’altra parte del telefono.» Mi sembra di vederla puntarmi il dito in faccia, mentre mi dice così. Ridacchio fra me e me, immaginandomela come un sergente cattivo che mi richiama all’ordine. Conoscerla durante quel breve periodo in cui ho fatto la modella per diletto, durante la mia adolescenza fra la Brianza e Milano, è stata una delle circostanze più belle della mia vita. Lo ricordo come fosse ieri: lei già una grande professionista, io muovevo i primi passi. Mi prese subito sotto la sua ala protettiva. Sebbene avesse già calcato le più note passerelle dell’alta moda, preferiva di gran lunga posare per pittori e scultori. Venne molto contesa ai tempi, grazie alla sua eccezionale figura statuaria. È alta quasi un metro e ottanta ed ha un fisico ben scolpito. È afroamericana, con una stupenda pelle color ebano e i capelli in classico stile afro, ultra gonfi. Con la sua fisionomia è tra quelle poche donne che possano permettersi un taglio di capelli estremo, ed essere ancor più sensuale che portando lunghe chiome.

    «In effetti sto sfoderando i miei migliori occhioni da tenera micina indifesa! Ahahah!» Le dico innocentemente e sbattendo forte le ciglia, anche se lei non può vedermi, ma è tanto per calcare la parte.

    Sospira in tono di resa, dichiarando: «Così sia piccola, se arrivi a sfoderare la tua arma segreta, vuol dire che sei proprio sincera. Va bene, te la farò passare liscia. Ma è l’ultima volta, sappilo!» Aggiungendo a fine frase una sbuffata così sonora da trapassare la linea telefonica.

    «Oooh troppa grazia, vostra maestà.» Le dico. Meno male, mi sento davvero sollevata ora, stavo sudando freddo. Poi lei fa un’altra pausa, fino a quando mi dice: «Bunny, senti… tu non me la racconti giusta. Cosa c’è che non va? Ti va di parlarne con la tua vecchia pantera nera?»

    Ora il suo tono si è fatto decisamente più cupo. Rimango spiazzata. So benissimo a cosa allude, perché lei mi conosce come le sue tasche, ma ora non trovo le parole giuste. Le rispondo solo: «No, n-n-niente… non ti devi preoccupare, sto bene.» Non è vero e mi fa male mentirle, ma lungi da me farla preoccupare. Mel ha già una marea di pensieri e affari cui stare dietro, figurati se mi ci metto anche io a darle il tormento. Non è niente di grave. Sarà un po’ di malinconia… o melanconia? In ogni caso passerà da se, o almeno spero. Mai più in quella clinica, e mai più strizzacervelli, l’ho giurato a me stessa. Lei però, non si fa ingannare facilmente, insiste: «Non me la dai a bere ragazza, e stai balbettando. Perché non vuoi dirmi cosa succede?»

    Oddio. Non lo so nemmeno io. «I-iooo… non…» Aspetta, che idea! «Credo di avere bisogno di una vacanza!» Annuncio questa novità come se questa fosse la cosa più normale mondo, come si direbbe di andare a fare la spesa, qualcosa che non si può obiettare.

    «Ma fammi il piacere!!» Rimbrotta di getto lei. Accidenti, non me ne risparmia neanche una. «Avanti Bunny, finiscila. Oggi ti diverte prendermi in giro? La contessina ha bisogno di una vacanza ah-ah-ah! Già, tu ti ammazzi di lavoro dalla mattina alla sera, vero?»

    Ma che diamine! La mia, non era intesa come una vacanza in quel senso. Provo a buttarla sul leggero. «Ebbene sì cara! Ordinare la cena a domicilio è molto faticoso a volte, non ci credi?» Niente, non coglie la battuta, al contrario mi sgrida di nuovo: «Vuota il sacco! Perché non esci più? Non ti si vede da un pezzo giù al Roxane. Sai una cosa? Anche se è poco da Mel ammetterlo, devo dirlo: mi manchi bella bionda. Quindi basta con i capricci, il quattordici porterai quel tuo culetto nobile giù fino al mio club a scolarti un paio di drink!» Caspita! È passata dall’accondiscendente al perentorio in un batter d’occhio.

    Non posso più adottare mezzi termini nemmeno io. «Mel ti ringrazio per avermi esternato forte e chiaro ciò che pensi, ma per stavolta va così. È un no categorico. Scusa, ma sai che se dico di no, è perché realmente non ce la posso fare…» Sono davvero mortificata, so quanto ci stia rimanendo male. Come posso rimediare a questo strappo? Non ho scelta, proverò a confessarle cosa sto passando. «La verità è che negli ultimi tempi non sono per niente in forma. Sono molto irrequieta, ma altresì svogliata, passiva, svuotata. Non ho voglia di uscire, di muovermi, ne tantomeno di vedere nessuno. Figuriamoci andare ad una festa di San Valentino! Allo stesso tempo però, mi sento soffocare stando chiusa in casa. Come posso spiegarti? Non ci capisco niente neanch’io… è… è come se mi mancasse qualcosa. L’unica conclusione che ho maturato è questa: non riesco più a stare sola con me stessa.» Ecco. L’ho detto.

    «Bunny non ci vuole uno scienziato per analizzare la cosa, è chiaro come il sole.»

    «Per te forse!»

    «Cosa ti ripeto da sempre? Non puoi vivere nel passato. Ti devi lasciare alle spalle paure e ossessioni. Basta trincerarti dietro una personalità frigida che non ti appartiene. Finiscila di fare la distaccata nei confronti di ogni essere umano che ti ronzi intorno, specialmente se si tratta di uomini.» Ora si è fatta davvero autorevole. Ogni volta che mi ripete questa paternale, sento spalancarsi un varco in mezzo al cuore. Lei è come Mosè: mi divide in due. So che ha pienamente ragione, ma io non riesco ad uscirne, o forse ho solo troppa paura dello sforzo. Che effetto mi farebbero delle relazioni normali? Non lo so. Comunque sia, non c’è via d’uscita: non voglio e non posso addossare l’enorme responsabilità di prendersi una mezza donna come me, a nessun brav’ uomo che si rispetti. Melanie è l’unica, qua a New York, che sappia cosa mi è successo. Oltre a lei, sanno tutto mia sorella Ippolita e Robert, il suo promesso sposo, ma vivono in Italia. Poi certo, c’è la zia Sofia, l’unica altra parente stretta che mi sia rimasta al mondo. A dirla tutta, non avrei mai voluto che ne venisse a conoscenza anche il mio futuro cognato, per me è un estraneo o poco più, ma ormai è fatta. Se solo quella volta avessi risposto io al telefono! Anni fa vennero a trovarmi e li ospitai nel mio attico. I loro cellulari davano problemi di rete, Robert aspettava una chiamata di lavoro decisiva dall’Italia, perciò gli permisi di fornire il mio numero telefonico di casa come contatto fisso sicuro. La telefonata da Milano arrivò, ma non era il suo ufficio, era la casa circondariale San Vittore. Non avevo minimamente calcolato il rischio di una simile eventualità: si era diffusa la notizia di un’evasione, ovvio che avrei dovuto prevederlo. Fui molto sciocca. Sapevo che il direttore del carcere mi avrebbe cercata per tranquillizzarmi, ed assicurarmi, che quel bastardo fosse ancora dietro le sbarre. È in gamba quell’uomo, sa bene di dovermi tenere sempre aggiornata, e non dimentica che pur vivendo oltreoceano sono perennemente terrorizzata dall’ipotesi che possa scappare per venire a cercarmi. In che modo potevo giustificare una telefonata del genere? Mentre mia sorella cercava con ogni espediente di fargli dimenticare il tutto, lui si era già allarmato a tal punto da non poter più soprassedere. Come biasimarlo? Fui costretta a raccontargli tutto, o quasi. Terminato il racconto comunque, rimasi molto stupita e oltre misura felice. Pensai con piacere: ehi, Ippolita è fidanzata con un uomo davvero sensibile e dal cuore d’oro. Robert infatti, aveva gli occhi lucidi e non nascondeva un’espressione di sincero dolore, ascoltando con attenzione le mie parole. Sicché al fine d’evitare di farlo stare peggio, e per salvaguardare quel che restava della mia storia più intima, tralasciai vari dettagli sulla parte più indicibile… di cui porterò per sempre una conseguenza orribile.

    In questo momento e in tali condizioni, non posso sopportare un’altra predica, arriva troppo dritta al punto. Sbuffo e le dico: «Ti prego Mel, non insistere oltre. Lo so, ne abbiamo già parlato e ti do ragione, quindi non girare ancora il dito nella piaga. Sono sicura che cambiare aria per un po’ mi farà bene, mi aiuterà a riflettere e a vedere le cose in maniera diversa. Insomma, perché non fare un tentativo? A proposito, ti avevo già accennato della Thailandia ?»

    «Thailandia ?! Vuoi andare in oriente?»

    «Sì! Ti spiego: alcuni giorni fa sono andata a pranzo con Mr. Cooper, il mio consulente finanziario, e non abbiamo fatto altro che parlare di questo magnifico paese. Da allora non ho più smesso di pensarci. Lui è un anziano volpone della vecchia guardia newyorkese, ed ha sposato più di vent’anni fa una donna thailandese, perciò si sente un po’ orientale anche lui ormai. Mi ha descritto usi, costumi e tradizioni di questo popolo per tutto il tempo, continuando a ripetermi che dovrei visitare questa terra asiatica assolutamente. Bene, ho deciso che accetterò il suo consiglio. È arrivato il momento di sperimentare quanto terapeutico possa essere un viaggio. Ti dirò di più, ho anche un altro movente: approfitterò di questo viaggio per cercare qualche isoletta romantica. Desidererei tanto riuscire a preparare qualcosa di speciale per la luna di miele di mia sorella, che si sposa quest’anno. Potrebbe essere una trovata originale come regalo di nozze, cosa ne pensi?» Mugugna sonoramente, in segno d’approvazione. Poi, mi si accende una lampadina: «Perché non vieni con me? Oh Mel, sarebbe fantastico! Offro io, non ti farò mancare nulla vedrai. Potremmo anche...» Non mi lascia finire di parlare purtroppo, m’interrompe subito.

    «Ti ringrazio Bunny, sei un amore, ma sai che senza di me al locale non funziona niente. Va bene abbasso le armi, e mi arrendo al tuo volere. Se sei convinta che possa farti solo bene, allora vale la pena provare. Quando pensi di partire?»

    «Vorrei essere già in viaggio entro la prossima settimana, non più tardi.»

    «Scusa, ma perché invece non lasci perdere l’idea della Thailandia , e te ne vai in Florida? Potresti cercare qualcosa per tua sorella a Miami, alle Bahamas o alle Keys. Eviteresti d’andare fin dall’altra parte del mondo.»

    «A fare cosa? Ormai conosco fin troppo bene quelle zone, sarebbe come sentirmi a casa. Cerco qualcosa di nuovo, di misterioso, che mi sorprenda… capisci cosa intendo?»

    «Ti farai sentire quando sarai lontana?» Da sergente cattivo, è passata a fare mamma chioccia.

    Mel è l’unica persona cui tengo veramente qui a New York, è come avere un’altra sorella. Con Ippolita, la mia vera sorella maggiore, videochiamarsi a volte diventa quasi ridicolo, perché infondo non puoi afferrare davvero lo stato d’animo di chi sta dall’altra parte dell’oceano. Certo rispetto ad anni fa c’è stato un enorme passo avanti, oggi è grandioso poter videochiamare e parlarsi quasi come se si fosse sedute allo stesso tavolo, ma non è lo stesso. Ad esempio a volte vorrei abbracciarla, ma non si può fare. D’altro canto, bisogna evidenziare che nessuno mi costringe a rimanere a vivere in America e nulla m’impedisce d’andare in Italia a trovarla in qualsiasi momento, ma non è facile come sembra. Quando mi trasferii qui lo feci solo per scappare, fuggire da quello schifo che mi travolse e dallo sguardo disgustato della zia. Poi rimasi definitivamente. Doveva essere un allontanamento temporaneo, una sorta di terapia, invece ora a tornare a casa non ci penso neanche più. Solo un posto mi manca: la tenuta di campagna dei miei genitori. Laggiù ho trascorso un’infanzia serena e spensierata, a correre nei campi, a rotolare nel fieno ingozzandomi di marmellata. Era tutto perfetto, finché non ci fu quel tragico incidente e rimasi orfana. In eredità: un patrimonio inestimabile, legato ad una nostalgia indissolubile.

    «Tranquilla, te lo prometto: sarai costantemente aggiornata e asfissiata su quanto starò bene con le chiappe al caldo. D’accordo?» Le voglio portare anche un bel souvenir, qualcosa di particolare, questo però non glielo dico.

    «Ci sto! Allora buon viaggio tesoro, fai attenzione e fa la brava. Se riesco passo a salutarti di persona uno di questi giorni, ma non garantisco, ho ancora molto da preparare per l’evento. Quindi ti anticipo un abbraccio forte e aggiungo una sostanziosa palpata di culo!» Sento che se la ride sotto i baffi.

    «Ahahahah!! Ehiiiii giù le zampe! Rifuggo l’ambiente maschile per altri motivi e tu lo sai… ahahah non approfittarne!» Non cambia mai!

    «Sì sì… ahimè, lo so. Uff, quanto sei noiosa!! » Mi rimbrotta scherzando.

    «A presto matta. Fa la brava anche tu, e in bocca al lupo per la festa. Ti abbraccio.» Ci salutiamo ancora e scambiamo un altro paio di battute, prima di chiudere la chiamata. Che pazza la mia Mel! Rifugge ogni relazione salda e duratura, ed è stata una delle prime, tra la gente in vista a New York, a dichiararsi apertamente gay. Ha rischiato molto: avrebbe potuto rimetterci l’attività nella quale ha versato i risparmi di tutta una carriera, ma non se ne è mai pentita. Purtroppo, se da un lato ha tanta soddisfazione sul lavoro, dall’altro non riesce a trovare una stabilità sentimentale propria, ma non si demoralizza mai. Chissà, forse è per via di questa contorta visione che abbiamo entrambe a proposito di legami e unioni, che andiamo tanto d’accordo. In sostanza: ci intendiamo bene.

    In tre giorni preparo i bagagli con cura maniacale. Pochi abiti eleganti, tanto come al solito non andrò spesso in mezzo alla gente, adeguati ricambi di cotone fresco e comodo, e infradito in esagerazione.

    Mi assicuro di aver sistemato ogni cosa nell’appartamento, e di aver staccato tutto. Durante la mia assenza non voglio governanti ne tantomeno estranei in giro per casa. Soprattutto mi accerto più volte della messa in funzione del secondo sistema d’allarme, per gli ultimi gradini che portano al mio attico. Sono usciti di senno tutti quanti con la mia fissazione dei sistemi di sicurezza. Il concierge del palazzo e il manutentore non ne possono più di me, anche se infondo mi sono affezionati. Non ci posso fare niente, non posso sopportare di sentirmi in pericolo. L’idea che qualcuno si introduca dove abito, e magari vi si nasconda, mi suscita un senso di panico e angoscia intollerabili.

    Ho preparato tutto e lo sto facendo davvero: vado in vacanza da sola! Stento a crederci, sono un po’ nervosa. L’idea di volare mi mette una certa ansia. L’ultima volta che ho preso un aereo per conto mio è stata quando mi sono trasferita dall’Italia a New York. So che è insensato, ho già fatto diversi viaggi con lunghe tratte d’aereo, ma ero in compagnia o con tour organizzati. Giri turistici sui quali fra l’altro ho messo una pietra sopra, non si può essere costretti a seguire un programma dettagliato senza un minimo d’inventiva e libertà personale, è da claustrofobia, o almeno è stato così per me. Senza contare il fastidio di sostenere gli sguardi incattiviti delle onnipresenti mogli in luna di miele, il cui obiettivo della vacanza è additarmi come una cagna in calore in cerca di mariti altrui. Ma santo cielo, perché una donna che viaggia da sola fa così strano a tutti? È assurdo! Purtroppo però, viaggio da sola e non ho molte altre alternative, specie volendo visitare località fuori dagli abituali itinerari. A volte mia sorella è venuta con me, ed è stato divertente, ma sapevo che a lei mancava Robert. Mi sentivo un po’ in colpa per averla allontanata dal suo uomo. Perciò, forza e coraggio, che si va da sola. L’idea di cercare qualcosa come dono di nozze a completare il tutto, mi piace così tanto che continuo a fantasticarci sopra. Riuscire a realizzare un rifugio romantico preparato tutto per loro, sarebbe così sdolcinato che Ippolita e sospetto anche il caro Robert, si esalterebbero un sacco. Mentre sarò là visiterò più resort possibili, grazie all’agente di zona che Mr. Cooper ha già contattato per me, così facendo potrò scegliere quanto ci sarà di più adatto.

    Ci siamo: tra poco parto. Questo viaggio mi farà bene davvero, o saranno solo guai..? Sono al JFK, decisamente il più newyorkese tra tutti gli aeroporti dello stato. Scegliere l’abbigliamento adatto per partire è stata un’impresa, parto con qualche grado sotto lo zero e forti nevicate in arrivo, per atterrare dove ci sono palme e sole splendente. Un dilemma. Infinite prove vestiario su come disporre i vari strati di maniche e mantenere un aspetto decente. Per immedesimarmi meglio in uno stato d’animo vacanziero, ho indossato il mio classico Borsalino in panama bianco, senza curarmi degli sguardi perplessi di chi si sia domandato perché non abbia preferito una bella cuffia di lana. Ho già fatto il check-in, ma ho ancora un’ora buona d’attesa. Uff, mi sto innervosendo. Forse se butto giù un bel paio di drink forti mi tranquillizzo… sarà una buona idea? Ma sì che m’importa, devo distendere i nervi. Cerco un bar e presto ne trovo uno appropriato: tranquillo e fuori dai grandi corridoi di passaggio, praticamente deserto. Salgo delle piccole scalette in legno e subito una gentile cameriera mi accompagna al bancone, dove senza consultare alcun menu, ordino la mia consumazione: Martini Dry. Il locale non è niente male, tutto in legno con piccoli faretti di luce incastonati al soffitto ad adornare lampadari importanti, sembra un circolo riservato. Oh che delusione: il cocktail è appena passabile. Chi l’ha preparato? Capisco tutto quando vedo che il barman è un ragazzino appena ventenne, con l’acne e la barba appena accennata. Quasi mi fa tenerezza. Si vede che ancora non ha molta dimestichezza con i vari strumenti, inoltre, appena lo guardo diventa rosso come fuoco e gli viene la tremarella. Poco importa, in questo caso il mio scopo è l’effetto postumo, più che il bere stesso. Prosciugo il bicchiere in poche centellinate e ne ordino al volo un altro, stavolta però, intimando gentilmente al bimbo di metterci più cura: «Ehi tu, per favore fammelo bello secco stavolta, e con oliva come avevo chiesto, non scorzetta di limone.» Il tenerone, spaurito e testa bassa, mi fa cenno di si più volte mettendosi subito all’opera tutto concentrato.

    «Secondo me questo ragazzino è bravo, ma tu lo distrai!»

    Cosa?! Chi ha parlato?! In un balzo giro su me stessa, facendo roteare il sedile dello sgabello. Credo di essermi pietrificata. Alle mie spalle c’è un uomo, e mi sta mangiando con gli occhi. Ooooh - my - God. È bellissimooo!! In un solo sguardo tutta la foga con cui mi sono girata è svanita, dissolta. Sono interdetta. Un’ebete. Dio mio. Ha gli occhi più attraenti che io abbia mai visto, incastonati in un volto scolpito, sano, virile. Quel raro e semi estinto modello di uomo che appena lo vedi vorresti dirgli: aprimi in due! È perfetto: spalle larghe, alto, con una postura di gran stile. Capello nero corvino, un po’ lungo, pettinato all’indietro con qualche ciuffo ribelle sulla fronte. Indossa un abito blu, senza cravatta, con pochette in tinta nel taschino e camicia azzurra valorizzata alla perfezione dal fisico. Dev’essere sicuramente opera sartoriale di un atelier italiano. Il tessuto è fantastico, e il colore sembra il raro Yves Klein. Un uomo vestito così, o è un gran figo, o sembra un idiota. Naturalmente qui compare la prima ipotesi. Una mano in tasca e una valigetta nell’altra, la barba curata e un sorrisetto furbo, tanto carnale da far perder la testa. Quegli occhi sono ipnotizzanti, dello stesso blu dell’abito, in pieno risalto… Ehi, ma, ma… mi sta sfidando con lo sguardo?!

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