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Seduzione in ufficio
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Seduzione in ufficio

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About this ebook

Greta e Dandy sono agli antipodi.
Lei è carina, tranquilla, simpatica ma con una timidezza di fondo celata da una lingua tagliente.
Lui è bello, ricco e di successo con poca attitudine alle perdite di tempo.
Il destino farà incrociare i loro cammini e malgrado tutto si troveranno costretti a collaborare.
L'unica cosa che hanno in comune è che nessuno dei due cerca una relazione.
Il destino però, a volte gioca strani scherzi e spesso, in ufficio.. la seduzione è in agguato!
LanguageItaliano
Release dateAug 4, 2015
ISBN9786050388046
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    Seduzione in ufficio - Amber D. Vader

    Ringraziamenti

    1

    Le sei in punto. Sarebbe mai riuscita a lasciare quelle quattro mura? 

    Greta, sbuffando, osservò il tramonto dalla finestra del proprio ufficio alla MEET, nota agenzia di comunicazione con sedi a Roma e Milano. L’autunno era ormai alle porte. Nella capitale il clima rimaneva mite e gradevole e anche quel venerdì la giornata sembrava voler richiamare gli ultimi sprazzi di un’estate giunta agli sgoccioli.

    Dopo la laurea e un’infinità di stage senza uno straccio di paga, da due anni era riuscita a ottenere quel lavoro nella sua città natale. Seppur grata di avere un impiego con un contratto che le garantisse delle ferie e dei permessi senza rischiare di perdere il posto, spesso il suo buonumore era messo in difficoltà dalle continue prepotenze del suo superiore, l’odioso signor Accordi. Quell'omuncolo viscido e supponente sembrava divertirsi a crearle disagi e quel giorno non aveva fatto eccezione. Con fare sprezzante, le aveva ordinato di battere e diramare un comunicato stampa per un importante cliente. Niente di strano se non che quella che le aveva dato era solo una bozza e, soprattutto, che mancassero appena cinque minuti alla fine della giornata lavorativa. Con pazienza, si mise all'opera cercando di essere il più precisa e sintetica possibile.

    Le dita battevano veloci sui tasti del suo portatile. Dovette spremersi le meningi per trovare le parole che esprimessero al meglio gli striminziti appunti che il suo capo le aveva sbattuto sulla scrivania. Per fortuna, scrivere le veniva facile e dopo mezz’ora aveva terminato. Inviò il testo alla segretaria di Accordi e attese che le dessero l’approvazione per divulgarlo ai contatti giornalistici. Cominciò a riordinare le sue cose lanciando di tanto in tanto uno sguardo nervoso alla posta elettronica e, trascorso un tempo che le parve infinito, finalmente arrivò la conferma a procedere. Preparò l’email e premette il tasto di invio con un sospiro di sollievo.

    Anche per quel giorno era riuscita a terminare tutto senza mandare a quel paese il suo superiore.

    Guardò nervosa l’orologio.

    Dannazione! Aveva un’ora di ritardo sulla sua tabella di marcia. Sgattaiolò fuori dall'ufficio e allungò il passo. Si avviò verso l’ascensore, i tacchi bassi e squadrati rimbombavano sui freddi blocchi di marmo dei corridoi.

    «Fran mi ucciderà!» esclamò ad alta voce mentre entrava nell'ascensore.

    Doveva ancora andare a casa a prepararsi. Quella sera si sarebbe vista con le sue migliori amiche, Francesca e Samantha, per andare a un evento in un antico e sfarzoso castello nelle campagne umbre e il pensiero di cosa avrebbe indossato la impensieriva. Come per molte donne, il suo aspetto fisico non la soddisfaceva a pieno. Sapeva di essere gradevole nonostante non fosse quel genere di bellezza che fa girare la testa al solo passaggio. Si riteneva fortunata a essere alta, circa un metro e settanta, e di costituzione né grassa né magra. Aveva una corporatura abbastanza atletica perché nell'adolescenza era stata un maschiaccio e aveva praticato molto sport che, di contro, non l’aveva dotata di quella grazia tipica del sesso femminile e delle bambine che avevano studiato danza. Quello che proprio non le piaceva di se stessa era il lato B. Odiava il suo sedere, lo trovava troppo grande ed era costellato di cellulite. Si riprometteva spesso di praticare esercizi mirati. Sapeva che per migliorare non sarebbero bastate due pedalate di cyclette un paio di volte a settimana, aveva bisogno di un anno di allenamento intensivo con un personal trainer. Il problema era che la pigrizia finiva per avere la meglio.

    Il carattere invece era tutta un'altra faccenda. Nell'infanzia era stata estremamente timida, aveva dovuto combattere per superare le proprie insicurezze e mostrarsi estroversa e allegra. La lingua tagliente e la risposta pronta le avevano fatto guadagnare l’antipatia degli sconosciuti. Per lei era una sorta di test, non amava i permalosi, e non voleva avere nella sua ristretta cerchia persone focalizzate sull'aspetto fisico, le sembrava sciocco. E lei non sopportava gli sciocchi.

    Se si fosse curata di più, lo sapeva bene, i risultati sarebbero potuti essere di gran lunga migliori. Sarebbe bastato frequentare più spesso il parrucchiere, l’estetista e fare shopping nelle boutique invece che nei negozi che visitava da studentessa. Il suo armadio era di una noia mortale, spaziava dal nero al grigio alle varie tonalità di marrone, colori neutri e pochi capi secondo la moda del momento. Le piaceva celarsi dietro abiti classici e sicuri, che non fossero troppo appariscenti.

    Quella sera, però, aveva deciso di osare di più.

    Ci era voluta qualche piccola lamentela da parte dei suoi cari sull'inesistenza di una vita privata, perché non usciva mai e pensava solo al lavoro. Quella serata era l’occasione giusta per ritrovare un po’ dell’allegria che nell'ultimo periodo aveva perso. Sarebbe uscita e si sarebbe divertita: in un solo colpo avrebbe tranquillizzato la famiglia e le amiche e avrebbe accantonato una recente delusione amorosa.

    Scacciò in fretta quei pensieri tristi grazie al trillo del cellulare.

    «Non dirmi che sei ancora chiusa in ufficio!» le urlò Fran dall’altro capo del telefono.

    «Scusascusascusa! Sono in ritardo.»

    «Greta, sai che dobbiamo essere puntuali. Non è la solita festa dove più si arriva in ritardo e più si fa bella figura. Questa cena è uno di quegli eventi glamour di cui leggiamo sulle riviste di gossip, ci saranno nobili e tanti vip, quindi dobbiamo arrivare in orario. Sbrigati. Alle otto in punto passeremo a prenderti.»

    «Ok, farò in un lampo!»

    «Ah, dimenticavo, noi saremo bellissime, quindi niente musi lunghi e scegli il tuo abito migliore, a fra poco!»

    «Non preoccupatevi per la mia mise, sarò strepitosa e voi invidiose!» Chiusero la conversazione con una risata.

    Che cosa avrebbe fatto senza le sue fidate amiche? Aveva incontrato Francesca all’università: laurea a pieni voti in economia e commercio, indirizzo marketing, per entrambe. Avevano condiviso l’appartamento da studentesse e trascorso anni di giubilo, studio e feste. Samantha, invece, era arrivata da poco dall'Inghilterra, i nonni paterni erano italiani e aveva scelto Roma per cercare di sfondare come attrice. Una ragazza estrosa ed eccentrica che era riuscita a conquistarle con la sua solarità e la sua schiettezza.  Arrivata a casa, Greta si concesse una doccia veloce e si diresse davanti al guardaroba. Pensava di indossare il classico tubino nero, adatto a tutte le occasioni. L’aveva quasi tirato fuori dall'armadio quando l’occhio le cadde su una spallina color verde smeraldo. Aveva dimenticato di avere quel vestito. I suoi genitori, nello specifico quell'impicciona di sua madre, glielo avevano regalato per il compleanno e lei, seppur titubante, lo aveva accettato e poi relegato in fondo all'armadio. Non lo aveva mai indossato a causa della profonda scollatura che lasciava la schiena nuda, le sembrava poco adatto alla sua figura, troppo audace. Non aveva ancora staccato il cartellino del negozio! Indecisa, soppesò con lo sguardo i due abiti.

    «Oh, al diavolo!» esclamò sorridendo.

    Tirò fuori dall’armadio l’abito verde e lo indossò. La seta le accarezzava voluttuosa il corpo e il colore metteva in risalto la sua pelle ambrata. Rovistò nella scarpiera e trovò le uniche calzature in suo possesso dotate di tacchi a spillo, dei sandali dorati acquistati controvoglia in occasione del matrimonio di una parente. In quel momento ringraziò il cielo di avere una madre così insistente e dotata di buon gusto, i tacchi le slanciavano le gambe facendole sembrare lunghe e affusolate.

    Lasciò i capelli sciolti per un effetto elegante ma al contempo casual. In realtà non aveva la più pallida idea di come sistemare quella massa di onde turbolente. Passò alla fase trucco, un make-up leggero per mettere in risalto gli occhi scuri e leggermente a mandorla e un velo di gloss, che giaceva abbandonato dentro un beauty-case, sulle labbra. Completò il look con una piccola pochette d’oro retaggio dello stesso matrimonio. Rimase a osservarsi allo specchio con aria meravigliata e soddisfatta.

    Ma quella lì sono io?

    Il risultato era fuori dalle sue più rosee previsioni, si sentiva bene come non le succedeva da tempo.

    Il suono del citofono l’avvisò che le sue amiche erano arrivate, prese uno scialle e si avviò verso il portone.

    «Wow! Hai deciso di farci sfigurare stasera?» Samantha sorrideva divertita muovendo il capo in segno di consenso. «Finalmente ti sei decisa ad abbandonare il look da suora svedese.»

    Anche Francesca osservava compiaciuta l’amica.

    Quanta sofferenza aveva visto sul suo volto durante gli ultimi mesi! Non conosceva altro essere umano più sensibile e allo stesso tempo orgoglioso.

    Avevano sviscerato l’argomento ex fidanzato in lungo e in largo, analizzando la questione e ogni singolo messaggio e tutte le volte Francesca si chiedeva come potesse una persona così brillante e intelligente essere caduta vittima di un tale babbeo. Gustavo era un approfittatore e, nonostante il bell'aspetto, uno sfigato. E poi, che razza di nome è Gustavo? È più adatto a un cavallo che a un essere umano.

    Questa sera ci divertiremo tantissimo!» disse Greta.

    «Concordo in pieno, amica, non vedo l’ora di ritrovarmi in mezzo alla pista da ballo, dopo il terzo calice di champagne in compagnia di un bel cavaliere moro e tenebroso!» esclamò Samantha.

    Dopo circa un’ora, imboccarono un’uscita della superstrada che indicava una località umbra molto conosciuta nell’ambiente romano, luogo ideale per una seconda casa, immersa nel verde e nella pace delle colline. Pochi minuti e finalmente raggiunsero un lungo viale alberato illuminato da una miriade di fiaccole che le condusse di fronte a imponenti mura medievali. Due energumeni in completo nero esaminavano gli inviti degli ospiti. Superarono in fretta il controllo e, lasciata l’auto ai parcheggiatori, si incamminarono seguendo delle dolci note che si diffondevano nell'aria.

    Greta rimase affascinata dallo spettacolare giardino all’italiana. Le siepi erano potate ad arte e correvano lungo il parco creando un vero e proprio labirinto, cespugli di lavanda ondeggiavano al soffio della fresca brezza autunnale rilasciando un piacevole profumo. Un arco di rose scarlatte introduceva gli ospiti al party. Si fece coraggio con un profondo respiro e varcò il roseto.

    Il castello De Barbesca svettava in tutta la sua imponenza. In netto contrasto con l’austera architettura romanica dello stabile, una moderna piscina a sfioro completava l’incantevole quadro. Gruppetti di persone ridevano e bevevano champagne mentre a bordo piscina una pedana ospitava una band formata da quattro ragazzi in divisa swing: pantaloni, camicia da smoking, bretelle e papillon.

    Le tre amiche si avventurarono alla ricerca del padrone di casa, lo stravagante conte Vittorio De Barbesca. Non fu difficile individuarlo. Il nobile, che non dimostrava affatto i suoi settant’anni, indossava un bizzarro completo bianco con pantaloni morbidi di lino, camicia bianca a righe lilla, mocassini e pochette dello stesso azzardato colore. I folti capelli di un bianco cangiante e gli occhiali tondi alla John Lennon gli conferivano un tocco naïf.

    «Mia cara Francesca, ben arrivata. Vedo che oltre alla tua amabile persona hai portato delle affascinanti ospiti» disse De Barbesca spostando lo sguardo sulle altre due rimaste un po’ in disparte. «Incantato di incontrarvi, splendide signore.» Le salutò con un elegante inchino.

    «Spero che la serata sarà di vostro gradimento, che il cibo vi soddisfi e che troviate aitanti cavalieri per danzare… a proposito Francesca, ti chiedo di riservare un ballo per questo povero vecchio.»

    «Ne sarei onorata, caro Conte.»

    La conversazione continuò per alcuni minuti fin quando il Conte non fu chiamato per dare inizio alla cena prendendo posto a un capo della lunga tavolata.

    La peculiarità di quelle sontuose feste era che nessuno sedeva mai accanto alla persona con la quale era arrivato. Era infatti il padrone di casa ad assegnare i posti e, in qualità di grande amante delle burle e degli incontri combinati, adorava creare scompiglio e far inciampare l’una nell’altra due persone che riteneva compatibili.

    Dovrà pur divertirsi in qualche modo un povero vecchio, pensava sghignazzando mentre prendeva posto a capotavola.

    «Gentili signore e signori, è con gioia che do ufficialmente inizio al banchetto, rendete onore al nostro chef ma soprattutto alla nostra cantina!» Una fragorosa risata si alzò dai tavoli seguita da un brindisi che diede inizio alla cena.

    Samantha si ritrovò alle prese con un arzillo produttore cinematografico e una stilista di una famosa casa di moda, nota per vestire il jet set internazionale. Fran prese posto alla destra del conte, proprio di fronte al nipote, Federico De Barbesca, manager dell’azienda di famiglia, burbero personaggio nonché scapolo d’oro dell’alta società, dotato di prestanza fisica e di un  fascino conturbante. La serata sarebbe stata molto interessante per lei.

    Greta si guardò intorno sbirciando i segnaposti con curiosità, notò due sedie vuote alla fine della tavolata. Sull'elegante targhetta in pergamena era scritto in corsivo il suo nome. Prese posto e cominciò a fare conoscenza con i commensali. Di fronte a lei sedevano due ragazzi di bell'aspetto, probabilmente fratelli, entrambi biondi e sulla trentina. Erano proprietari di una galleria d’arte di Roma, seppe in seguito. Alla sua sinistra c’era un rubicondo signore sulla cinquantina, Armando d’Amico, giornalista e critico gastronomico per una settimanale d’attualità, che non appena la vide si presentò.

    «Sa signorina, mi ha tolto un peso dallo stomaco. Alle feste di Vittorio non so mai vicino a chi capiterò. Quel vecchio eccentrico si diverte a mettermi in situazioni imbarazzanti, ma questa volta vedo che ha avuto il buonsenso e soprattutto il buongusto di onorarmi di una piacevole sorpresa.»

    Mentre conversavano, l’occhio di Greta cadde sulla sedia vuota accanto a lei e sull'enigmatico nome scritto sul segnaposto: Dandy.

    Chi mai può farsi chiamare con un nome tanto ridicolo? Sarà un altro di questi attempati e stravaganti ricconi, magari grassoccio, calvo e borioso!

    Le spuntò l’ombra di un sorriso, lo represse per non offendere Armando che stava intrattenendo tutti con la sua ultima avventura gastronomica in terra siciliana. Ascoltò dissertazioni su cassate, cannoli e granite fin quando non avvertì una presenza alle sue spalle. Inspirò e una sensuale essenza di sandalo le invase le narici. Volse la testa per capire da dove  

    provenisse il piacevole profumo e si ritrovò a fissare un paio di jeans antracite. Con lo sguardo percorse delle gambe muscolose e chilometriche, poi una camicia nera con collo alla coreana, una giacca dal taglio impeccabile dello stesso colore, mascelle volitive, labbra carnose fino a incontrare due incredibili occhi verde scuro che la fissavano freddi.

    «Dandy! Come stai ragazzo? Che piacere vederti! Il tuo posto è qui, vicino alla signorina Greta.» Armando fece una piccola pausa e indicò un gruppetto di persone. «Credo che il posto della tua ospite sia all'inizio della tavolata. Sai meglio di me quanto il conte ami mischiare le carte in tavola.» Ammiccò malizioso.

    L’uomo sorrise al giornalista ignorando gli altri e cominciò a parlare con la donna al suo fianco che aveva assunto un’aria annoiata, chiaramente infastidita dalla situazione. Doveva essere una modella visto il fisico statuario fasciato da uno strepitoso abito. La spilungona guardò in direzione di Greta con astio e si lasciò accompagnare docile al posto assegnatole, all'altro capo del tavolo. Pochi minuti dopo, il misterioso ospite si accomodò e salutò i commensali, ignorando Greta.

    Che razza di maleducato! pensò lei.

    Era molto infastidita. Ma chi si credeva di essere? Decise di ignorarlo a sua volta e di continuare a chiacchierare con i fratelli biondi che, al contrario di quel tizio che si faceva chiamare Dandy, trovavano la sua compagnia molto interessante.

    Le posero mille domande, di cosa si occupava, dove viveva, se era fidanzata. Tra una portata e l’altra, Greta rispose cortesemente mantenendo però le distanze; erano un po’ troppo invadenti per i suoi gusti.

    Man mano che il tempo passava, il relax cedeva il passo a una sempre crescente sensazione di disagio. Guardò il suo calice ormai vuoto e decise di continuare a sorseggiare champagne. Adorava lo champagne! Inoltre era probabile che un altro bicchiere l’avrebbe aiutata a sciogliersi.

    Nell’afferrare il flûte urtò il braccio dell’affascinante e quanto mai scortese sconosciuto e gli rovesciò addosso il prezioso liquido dorato.

    «Oh! Mi scusi, sono mortificata!» Cercò di tamponargli la manica bagnata mentre lui, senza scomporsi, la scrutava con i suoi profondi occhi verdi.

    «Forse sarebbe meglio optare per dell’acqua. Visto l’incidente, l’alcool potrebbe peggiorare la situazione» e le versò la minerale nel bicchiere.

    Aveva una voce calda e profonda ma rimaneva comunque odioso.

    «Sono adulta e

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