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Atto D'amore
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Atto D'amore

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Atto d’amore è il mio secondo lavoro. La storia è un po’ paradossale, riguarda la lotta interiore tra il bene e il male. La fantasia poi ha fatto il resto. Questo libro è dedicato ad una mia cara amica di nome Maria che è morta qualche anno fa, mentre era in stato interessante…
LanguageItaliano
Release dateJul 5, 2012
ISBN9788862595902
Atto D'amore

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    Atto D'amore - Dario Schiavoni

    T-Page


    Premetto che questo libro va letto per intero, prima di essere giudicato.

    Quest'opera è nata un po' per caso: una serie di circostanze assurde ed inverosimili mi ha messo di fronte ad una realtà che fatico ad accettare. Cerchi in tutti i modi di capire perché, ma non esiste nessun motivo logico. Tutto questo non fa altro che alimentare la tua voglia di razionalità, fin quando un giorno ti svegli e capisci che la vita non è né bella né brutta, è semplicemente così. Fai parte del gioco e ti sono toccate pessime carte. Cercare la pace interiore e la serenità non significa eliminare il male, e se la tua è una mano paradossale, devi trovare lo stesso la parte positiva. Non ti chiedo perché me l'hai tolta, ma ti ringrazio perché me l'hai donata, scriveva S. Agostino dopo la morte della madre. Questo è l'aforisma che mi ha ispirato, e se il lettore sarà capace di condividere ed apprezzare il messaggio del libro, allora sarò riuscito nel mio intento.

    Capitolo primo

    Erano gli anni '70 e a Milano nasceva una bambina chiamata Norma. Era figlia di una barbona di nome Lucy, un'ex principessa, finita sul lastrico per alcuni investimenti andati male. Da ragazza era stata molto bella: non che adesso non lo fosse più, ma il fatto di vivere in mezzo alla strada e non potersi curare la faceva apparire peggiore di quello che era in realtà. Mora, alta, occhi verdi, spalle larghe e un bel décolleté erano le caratteristiche che la distinguevano e a queste bisogna aggiungere un altro dono che Dio le aveva dato: lei era solare, aveva sempre il sorriso in bocca. Tra i clochard era soprannominata la diva, con le sue movenze aggraziate e il modo di parlare che differivano da tutti gli altri. Fece veramente fatica ad inserirsi in quel mondo.

    C'è da dire che senza l'aiuto di Gerard sarebbe morta sicuramente in pochi giorni. Dopo la disavventura finanziaria infatti, la bella Lucy aveva tentato il suicidio buttandosi da un cavalcavia, ma la sua ora non era ancora arrivata: la fortuna volle che sotto quel ponte ci fossero degli alberi che attutissero la caduta, così la principessa se la cavò con un grande spavento, un braccio rotto e qualche escoriazione. Proprio lì sotto, c'era lo scatolone che fungeva da casa a Gerard e fu lui a chiamare i primi soccorsi e ad accoglierla nella sua umile dimora quando fu dimessa dall'ospedale. I primi tempi di vita comune con il nuovo amico non furono semplici: Lucy non voleva vivere, tentò di nuovo il suicidio. Ma non poteva andarsene, non era ancora il suo tempo, aveva un compito da portare a termine e non lo sapeva. Dopo aver provato in ben tre occasioni ad ammazzarsi senza riuscirci, anche lei cominciò a pensare: Se non riesco a morire, forse è perché Dio mi ha affidato una missione da svolgere. E questa convinzione la fece reagire.

     Gerard le insegnò tutto quello che doveva sapere per sopravvivere in mezzo alla strada. Le faceva da padre, fratello e compagno. La vita dura e crudele che si trovò ad affrontare tutti i giorni la forgiò, si fece scaltra e determinata, fiutando il pericolo sempre prima degli altri. Ma proprio quando era diventata autonoma, rimase incinta. Il padre non era Gerard, bensì un uomo che aveva conosciuto una notte in circostanze del tutto casuali. Erano le undici di sera, Lucy stava andando a frugare tra i rifiuti di un cassonetto dove un famoso ristorante della zona verso quell'ora di sera buttava gli avanzi e per i senza tetto era una fonte di vita non indifferente. Nel girare l'angolo s'imbatté in un ragazzo robusto, molto attraente, che stava seduto sui gradini di una vecchia scalinata, con la testa tra le mani, tutto preso dai suoi pensieri. Lucy fece finta di niente, raccolse quel che era commestibile e si allontanò. Quando passò nuovamente vicino a quel giovanotto, d'un tratto gli chiese d'istinto: Stai bene?. Lui senza esitare rispose con decisione: Ho fame, non mangio da due giorni. La solidarietà che s'instaura tra questa gente nel mondo comune non esiste, è solo utopia. Lucy prima lo sfamò, poi lo invitò a dormire nella loro baracca senza neanche chiedergli come si chiamasse. Quella sera, dall'incontro di due anime perse e tra loro sconosciute, fu concepita Norma ma il mattino, quando Lucy si svegliò, si accorse che il forestiero era sparito, senza dire né lasciare niente. Quella fu la prima e ultima volta che lo vide. Gerard sapeva tutto, a lui andava bene così e nei mesi precedenti il parto la principessa decise di dare in adozione il nascituro. Una mattina la diva ebbe le doglie, Gerard chiamò l'ambulanza: in pochi minuti era in ospedale e dopo un lungo travaglio Lucy diede alla luce una bambina, poi chiamata Norma che, come previsto, fu data in affido.

    Qualche migliaia di chilometri distante, nel New Jersey, una ragazza di colore di nome Reeves, stava per entrare in un tunnel maledetto chiamato droga. I suoi genitori erano due disadattati: il padre, Mike, aveva passato tutta la vita tra bande e alcol mentre la madre, di nome Donna, era la terza figlia in una famiglia benestante. Come fosse finita con un tipo simile sembrava un mistero. Aveva frequentato tutte le migliori scuole della città, studentessa esemplare, nonché prima ballerina di una famosa compagnia teatrale. Terminato il liceo, una sera alcune amiche la convinsero ad andare in un locale poco raccomandabile, in cui si esibiva una spogliarellista famosa per il suo lato B. Un po' per curiosità, un po' perché attratta dalla trasgressione, accettò. Questa scelta fu decisiva per il suo futuro: proprio quella sera conobbe Mike, un bel ragazzo dal fisico imponente, un po' strafottente ma pieno di donne e champagne. Donna era tutta presa a guardare la ballerina che si mostrava senza inibizioni, quando Mike si avvicinò con un bicchiere e le offrì da bere. In un primo momento, lei ebbe un attimo di esitazione: la sua educazione le impediva di accettare. Ma lui era proprio un bel tipo, così affascinante che non riuscì a rifiutare e questo gesto fu il principio della sua fine. Ebbe inizio una storia coinvolgente e piena di passione. Dopo alcuni mesi Donna venne a sapere che Mike non era esattamente quello che le aveva fatto credere, anzi, era il capo di una banda, arrestato più di una volta. Nonostante ciò continuò a frequentarlo, fece finta di non sapere niente perché ormai s'era invaghita di lui. Il cuore aveva preso il sopravvento sul cervello.

     Il padre di Donna fu informato scrupolosamente da un amico sulla vita che conduceva Mike. Lui non voleva e non poteva credere alle parole di quello: la sua piccola prediletta si era cacciata in un guaio davvero grosso. Benché le avesse prima consigliato e poi imposto di lasciarlo, lei non obbedì, anzi decise di andare a vivere con l'amato. Il padre la ripudiò, così finì per diventare una delle tante donne di Mike e nel frattempo mise al mondo una bambina di nome Reeves. Dopo alcuni anni fu addirittura costretta a prostituirsi per sopravvivere. Il caro Mike la buttò fuori di casa con la figlia, appena ne trovò una più giovane e bella, senza scrupolo alcuno. Donna, abbandonata dalla famiglia e sola in mezzo alla strada con una bambina piccola, non avrebbe avuto nessuna possibilità di sopravvivere.

    Durante il periodo in cui era stata la donna di Mike, aveva conosciuto un'anziana signora, vedova e senza figli. In quel momento la disperazione le suggerì che quella, anche se attempata, forse avrebbe potuto accudire la sua bambina, o quanto meno garantirle un tetto dove ripararsi. Donna si preparò per bene il discorso, dentro di sé lo continuò a ripetere sino al portone d'ingresso dell'anziana donna. Quando fu ora di suonare il campanello, ebbe una crisi di nervi: dieci, cento, mille cose le vennero in mente e perse il controllo. Poggiò la bambina per terra, suonò il campanello e fuggì. La vecchia signora sapeva benissimo chi fosse quella povera disgraziata e quasi quasi se lo aspettava che sarebbe andata a finire così: prese la piccola Reeves senza dire nulla. Era consapevole del fatto che non le restava tanto da vivere e di non avere la forza fisica per prendersi cura di una bambina, ma continuava a ripetersi: Almeno adesso possiede una casa dove andare a dormire.

    Cresciuta in mezzo alla strada, da sola (la mamma l'abbandonò che aveva appena due anni e mezzo), Reeves non ci mise tanto a cacciarsi nei guai. All'età di sedici anni, una sera, fece per la prima volta uso di crack, micidiale droga che distrugge il cervello in pochi mesi. Il suo calvario era iniziato. Per procurarsi denaro cominciò a commettere piccoli furti, ma non bastavano a soddisfare il bisogno di soldi che aumentava sempre di più, col passare dei giorni. Per questo decise di soffiare i clienti alla mamma, che per sopravvivere si prostituiva tutti i giorni in una vecchia baracca non distante dalla casa dell'anziana donna. Lei, giovane e bella, non aveva problemi ma la rivalità tra le due a volte si faceva esasperata e violenta e spesso venivano alle mani. Dopo pochi mesi dall'inizio di quel tipo di vita Reeves rimase incinta: il suo stare sempre in uno stato di semi incoscienza dovuto alle droghe, fece sì che non si rendesse conto di aspettare un bambino e solo quando lo sentì muoversi dentro di sé capì che stava per diventare mamma. Si recò immediatamente in ospedale per abortire, ma era troppo tardi e i medici, pur conoscendo la vita che Reeves aveva fatto, non vollero interrompere la gravidanza. Neanche quattro mesi dopo, mise al mondo un ragazzino, che a detta dei dottori aveva la vita segnata. La mamma non lo volle neanche vedere, disse: Se ce la farà, datelo in adozione. Le infermiere lo chiamarono George.

    I primi giorni di vita per Norma furono difficili: Lucy, con la vita che conduceva, non aveva potuto fare mai né una visita medica, né un semplice esame del sangue. Si alimentava come poteva, come spesso accade in quegli ambienti, nei quali per ammazzare la solitudine si faceva uso di alcol. Nonostante ciò, la piccola era robusta, fisicamente ben fatta e quando nacque pesava quasi quattro chili, che per una bambina non è poco. Quando fu adottata Norma aveva tre mesi: era nata a novembre, un venerdì diciassette, alle diciassette e diciassette, tanto che l'ostetrica, vista la ricorrenza del numero, scrisse diciassette e diciotto per scaramanzia. Dal suo primo gemito la bimba si portò dietro un grosso fardello. Era nata da una situazione a dir poco precaria, la mamma l'aveva abbandonata e lei per completare l'opera aveva sviluppato una specie di anemia. La piccola si aggrappò alla vita: senza curarsi dei pregiudizi della gente reagì e in poco tempo superò tutti i problemi, tanto da diventare la mascotte del reparto. Quando finalmente fu data in affidamento, in ospedale calò un velo di tristezza: tutti erano contenti per lei, ma andava via un emblema di vita. I genitori adottivi di Norma erano due persone squisite: il padre, Andrea, era un funzionario delle belle arti mentre la mamma, Angelica, una professoressa che insegnava letteratura russa all'università di Milano. I primi periodi trascorsi con la nuova famiglia furono pieni di coccole e carezze ma quando raggiunse i nove mesi, Angelica, persona molto attenta, notò che la bambina non parlava e aveva un comportamento anomalo. Dopo essersi consultata con il marito, decise di farla visitare da un pediatra di fama internazionale. Il dottore esaminò la piccola con cura: tutto era perfetto, fisicamente rientrava nei parametri, altezza e peso anch'essi nella norma; ogni cosa lasciava pensare che si trattasse della solita ansia delle mamme nei riguardi dei figli. In un primo momento il medico rassicurò Angelica: Non si preoccupi – le disse – la bambina è sana ma, vista la sua apprensione, per essere ancora più sicuro eseguirò alcuni esami particolari. Angelica, che era una signora intelligente e molto scaltra, fece un'osservazione pertinente: Se è tutto a posto, come mai vuole eseguire altre analisi?. Il dottore, smascherato, rivelò le sue intenzioni: Vostra figlia fisicamente è sana, ma ho bisogno di sapere esattamente se il suo udito funziona bene. Ho notato che se la chiami non si gira e che addirittura se la tocchi non reagisce allo stimolo. Tutto quello che fa é di sua spontanea volontà. Angelica passò più di dieci giorni in ospedale con la figlia: tutti gli esami fatti indicavano che ogni cosa era in ordine, nessuno riusciva a capire il suo comportamento. Su consiglio dello stesso pediatra, fu mandata in una clinica privata a Parigi, dove si studiavano le malattie rare. La situazione di Norma era anomala: più passavano i giorni, più lei diventava uno spirito indipendente e sembrava obbedisse ad un istinto primordiale. Il trentuno ottobre la bambina fu ricoverata ed Andrea e Angelica si trasferirono a Parigi per stare vicino alla piccola. I primi dieci giorni furono un calvario per i genitori, mentre i medici aspettavano tutti i risultati per compararli e cercare la causa del male presunto. Purtroppo non trovarono niente. A livello cerebrale, Norma non aveva né anomalie né malformazioni, tutto era perfetto. Rimase ricoverata per ben tre mesi ma a fine gennaio fu dimessa senza una diagnosi precisa.

    La bambina ormai camminava perfettamente e aveva imparato a farlo da sola, senza l'aiuto di nessuno e questo gesto spontaneo andava a confermare i sospetti che il pediatra aveva avuto nella sua prima visita a nove mesi. Adesso la piccola si spostava liberamente ma a volte si girava di scatto, come se qualcuno l'avesse chiamata o, addirittura, all'improvviso correva in una certa direzione pronunciando parole senza senso. Benché lei potesse sentire bene, non parlava; le sue corde vocali non avevano problemi ma non diceva mai niente, tranne che in questi casi sporadici. La malattia di Norma diventò in pochi anni un caso nazionale: tutti gli studiosi del settore s'interessarono alla sua situazione, purtroppo senza esito. Norma era una bambina tranquilla che passava le giornate chiusa in se stessa, dentro il suo delirio. Non dava fastidio, ma viveva nel suo spazio come una principessa.

    Intanto dall'altra parte del mondo, George iniziava la lunga lotta per la vita: le sue condizioni alla nascita erano veramente precarie e in pochi avrebbero scommesso che sarebbe sopravvissuto. Il piccolo però non aveva nessuna intenzione di mollare. Superata la prima settimana, sempre in bilico tra la vita e la morte, all'inizio della seconda reagì e i medici furono i primi a esserne sorpresi; in pochi mesi riuscirono a disintossicarlo e a rimetterlo in sesto. George era diventato un bel bambino, vivace e sano, pronto per essere adottato. Fu dato in affidamento a una famiglia di origine ispaniche: il padre si chiamava Antonio ed era un ricco imprenditore di quarant'anni; la madre, Maria, era un avvocato, di tre anni più giovane. I nuovi genitori erano entusiasti di George, vispo e allegro come nessun'altro bimbo della sua età. Fu proprio questo a suscitare alcuni dubbi al pediatra, durante una visita di controllo. George non aveva ancora compiuto sette mesi e il dottore si rese conto che c'era qualcosa di anormale in lui: era troppo vivace e sorrideva in continuazione. Disse alla madre: Bisogna eseguire alcuni esami specifici – e per non farla preoccupare aggiunse – visto quello che il piccolo ha passato.

    George fu ricoverato il diciassette giugno, esattamente il giorno in cui compiva sette mesi e rimase in ospedale per diverse settimane. Fisicamente risultava sano poiché i controlli a livello neurologico erano buoni, ma nonostante ciò era sempre agitato e sorrideva troppo spesso. I medici dichiararono unanimemente che c'era qualcosa di strano in quella creatura, ma non sapevano cosa. Prima di dimetterlo, si misero in contatto con una struttura specializzata nella ricerca di malattie particolari a Tucson, Arizona e consigliarono a Maria ed Antonio di portarvi il piccolo. I poveri genitori, non avendo ancora capito quale fosse il problema, chiesero spiegazioni precise. Il pediatra fu costretto a essere molto esplicito e disse loro: Vostro figlio ha dei comportamenti anomali dei quali non riusciamo a capire la causa. Questa struttura dove vi abbiamo mandato è specializzata in malattie rare, di sicuro sapranno aiutarvi più di noi. Andarono dunque in Arizona e George, ricoverato all'inizio di luglio, dopo tre lunghi mesi in ospedale fu dimesso il trentuno ottobre con la diagnosi di malattia non identificata. Antonio e Maria ora ne sapevano quanto prima.

    Pochi giorni prima che compisse un anno, il bimbo cominciò a camminare da solo e, come per la piccola Norma, quest'atto tanto spontaneo quando inconsueto fu interpretato come un segno evidente di qualche sconosciuta patologia. Come Norma infatti, pur avendo un udito perfetto e le corde vocali a posto, non parlava. Anche George si girava di scatto come se qualcuno lo avesse chiamato e d'un tratto correva da qualche parte, dicendo parole incomprensibili. Com'era successo alla bambina, anche George divenne un caso nazionale: tutti i giornali ne parlavano, tutti dicevano la loro. Maria da buona cristiana pensò che fosse il caso di consultare un prete, essendo convinta che il diavolo si fosse impossessato del corpo del figlio. Nonostante l'opposizione di Antonio, la moglie andò dritta per la sua strada e parlò con un sacerdote che decise di praticare l'esorcismo al piccolo. Il rito ebbe inizio ma le reazioni di George alle frasi pronunciate dal ministro del culto rivelavano una totale indifferenza. Dopo ripetuti tentativi senza esito, il prete disse: Non è possibile esorcizzarlo. Il bambino a mio giudizio non è soltanto posseduto, è la reincarnazione del diavolo!. Queste parole cambiarono di molto la situazione, facendo notevolmente breccia nella mente di Maria. Lei era religiosa praticante e sentire quelle esclamazioni mefistofeliche da chi era considerato il maggior esperto del settore, le scombussolò la vita. Nel giro di poche settimane Maria maturò una dolorosa decisione. Voleva molto bene a George, ma la sua coscienza non le permetteva di tenere in casa un piccolo diavolo; così, nonostante Antonio non volesse, lei fece sì che il bambino fosse accolto in un orfanotrofio. Questo fu anche l'inizio della sua crisi matrimoniale: il marito non le perdonò mai l'abbandono del ragazzo. Così il povero George perse un'altra madre, e non solo. Quando arrivò nella nuova casa, gli fu affibbiato il soprannome di piccolo diavolo, che si portò dietro per tutta la sua breve vita.

    A Norma le cose andarono notevolmente meglio. Non solo la mamma non la lasciò, ma continuò imperterrita la ricerca di esperti del settore. Angelica la curava, l'accudiva come una bambina normale, come in effetti era fisicamente, a parte i suoi attimi di pura follia. Mai accadde che nei suoi momenti di stravaganza la piccola compisse violenza a persone o cose. Angelica un giorno, dopo aver tenuto una lezione all'università, si fermò al bar per un caffè con dei colleghi e, mentre andava alla cassa, notò sopra un tavolo un giornale con scritto in prima pagina: Bambino affetto da misteriosa sindrome. Con indifferenza lo prese e lo mise in borsa, salutò gli amici e si diresse in macchina. Per prima cosa aprì il quotidiano e lesse l'articolo, dedicato ad un bambino di nome George. Angelica non credeva ai suoi occhi: tutto quello che aveva letto corrispondeva perfettamente alla situazione di Norma. Decise di parlarne al marito e di avvertire il pediatra di famiglia che al mondo c'era un altro malato con la stessa sintomatologia di sua figlia. Andrea prese contatto con il giornalista che aveva pubblicato l'articolo, prima telefonicamente, poi di persona. Brian prestava servizio in un famoso giornale di New York. Aveva saputo di George tramite una sua cugina che lavorava nell'orfanotrofio che lo ospitava, così aveva deciso di fare uno scoop. Parlando con Andrea, si accordarono che si sarebbero visti in Italia dieci giorni dopo, visto che Brian e una sua collega erano stati incaricati di realizzare un servizio su Milano moda. Angelica si mise ad aspettare quell'incontro come un bambino attende la notte di Natale per aprire i regali.

    Il giorno fatidico arrivò, Brian incontrò la coppia come previsto e passarono tutto il pomeriggio insieme a scambiarsi informazioni. Ad un certo punto Angelica ebbe un'idea geniale: decise di far partecipare a quella conversazione anche il loro pediatra di fiducia, prese il telefono e lo chiamò. Messo al corrente di tutto Danilo, il dottore, disse: Secondo me sarebbe l'ideale se i due ragazzi s'incontrassero, in modo da poterli comparare e studiare meglio. Poco dopo aggiunse: Sarebbe altrettanto opportuno formare un'équipe di medici che si occupino solo di questi pazienti particolari, ma purtroppo non abbiamo i fondi. A quel punto intervenne Brian: Ho un'idea disse. Con il permesso dei genitori, pubblicherò per tre giorni di seguito in prima pagina un articolo riguardante i due bambini. Il ricavato andrà all'équipe di medici che Danilo ha intenzione di mettere insieme. L'idea piacque a tutti e si decise di pubblicare.

    La sera stessa in cui Brian partì, avvenne un evento anomalo: la piccola Norma, durante l'ora di cena, cominciò ad emettere un suono con la bocca, simile ad un ululato di lupo, e dopo alcuni secondi iniziò a gridare e forte e a dimenarsi come un'ossessa. La crisi durò per circa un minuto e mezzo, dopo di che tutto tornò normale. Angelica chiamò il pediatra e gli raccontò la scena che aveva appena visto. In pochi minuti Danilo si precipitò da lei, visitò Norma da capo a piedi, ma sembrava non avere niente. Rimasero tutti un po' perplessi, ma non meravigliati. Danilo e Angelica, ormai sfiduciati nella ricerca di una spiegazione razionale degli eventi, cominciarono a convincersi del fatto che quella bambina potesse avere dei poteri soprannaturali; secondo loro bisognava solo capire quali fossero e come comunicare con lei. Andrea invece, molto scettico, sentenziò: Capisco mia moglie, l'istinto materno ti fa compiere delle cose non comuni, ma lei dottore è un uomo di scienza. Non dovrebbe illudere una povera donna. Danilo, un po' infastidito dalle parole dell'amico, replicò: Tu pensi che se io non fossi convinto mi sarei preso la briga di mettere su un'équipe di medici e trasferirmi nel New Jersey ?. Andrea non rispose, si alzò e accese la televisione. Alcuni istanti dopo la trasmissione fu interrotta da un'edizione speciale del telegiornale, tutti si fermarono e posero lo sguardo sul video. La notizia era molto grave: in Indonesia c'era stato un tremendo terremoto seguito da uno tsunami di smisurate dimensioni. Si prevedevano migliaia o addirittura centinaia di migliaia di morti.

    Capitolo secondo

    George ebbe la stessa crisi che aveva avuto Norma, ma nessuno la notò giacché il ragazzo era di solito solo: dopo l'esorcismo veniva considerato da tutti uno iettatore, oltre che un piccolo diavolo. Danilo, grazie a Brian e allo sponsor di una famosa casa

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