DRD4-7R Il gene dell'irrequieto
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E ora cosa è cambiato? Hai iniziato a dar peso a cose più complesse trascurando quelle più semplici, istintive?
Questo libro potrebbe rappresentare una chiave di lettura per decifrare i segnali incomprensibili che la tua coscienza ti invia continuamente attraverso le sensazioni di insoddisfazione e incompletezza.
Nel titolo è indicato un codice, in particolare un gene del DNA che influenza il desiderio di scoprire, di conoscere nuove strade, di cavalcare nuove onde. A volte scordiamo di esser nati per crescere, fisicamente ma soprattutto mentalmente ed emotivamente, ci facciamo trasportare dagli eventi e diventiamo ciò che non abbiamo voluto essere. Perché lo facciamo? Perché ci areniamo invece di prendere il largo?
Il libro è disponibile anche in versione cartacea.
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Book preview
DRD4-7R Il gene dell'irrequieto - Dario Miglietta
Marley)
Prefazione
Ricordate i momenti vivaci e spensierati di quando eravate più piccoli? Avevate quella sensazione di splendore che vi faceva sentire ogni giornata lunga un minuto. Perché il tempo passava. Passava in fretta e non ve ne accorgevate. E ora cosa è successo? Avete iniziato a dar peso a cose più complesse e avete trascurato le cose più leggere, quelle che poi sono indispensabili.
Questo libro rappresenta lo spunto di riflessione per decifrare i segnali incomprensibili lanciati dalla vostra coscienza che a oggi vi fanno sentire incompleti e insoddisfatti.
Già nel titolo ho voluto indicare un codice, in particolare un gene del nostro DNA che influenza il desiderio di scoprire, di conoscere nuove strade, di cavalcare nuove onde. A volte ci scordiamo che siamo nati per crescere, fisicamente ma soprattutto mentalmente ed emotivamente, ci facciamo trasportare dagli eventi e diventiamo ciò che non abbiamo voluto essere. Perché lo facciamo? Perché ci areniamo come una barca attraccata al porto invece di prendere il largo? La vita è il nostro mare aperto. A volte non riusciamo a vederne nemmeno una piccola parte, ma quantomeno, se manteniamo il giusto grado di curiosità e spolveriamo la nostra naturale propensione verso la conoscenza, riusciremo a trovare ciò di cui abbiamo bisogno per essere sereni e spensierati. E se non ci riusciamo da soli, può esser necessario un faro che ci guidi nell’ombra della notte e di un sole che illumini i nostri sconfinati orizzonti. Questo faro è l’amore. Amore che s’irraggia in ogni luogo, che può essere raccolto in un libro o conservato nel cuore di un amico, di un fratello, di chiunque lo sappia cogliere. Amore che si nasconde nelle maglie di una tela impregnate di colore o nelle note armoniche di una melodia vibrante, all’unisono con le anime danzanti.
Luogo
Milano hinterland– 2015
Pigiama in pile, appartamento su due livelli. Bagno. Uccellini. Aria leggermente frizzante. Auto in moto. Silenzio. Cag*ta del mattino. 8.30 a.m. Sole tiepido. Aereo rombante. 18 gradi. Buongiorno.
Cercando uno scopo
Credo che ad alcune domande non si debba cercare una risposta. Non esiste uno scopo, o almeno non esiste in senso assoluto un qualcosa che giustifichi il nostro agire. Ognuno fa quel che sente; qualcuno gode nell’aiutare gli altri, altri godono nell’essere aiutati, alcuni pregano per timore, altri pregano dicendo di non aver timore poiché pregano. Materialisti cercano ricchezza fisica per riempire l’animo svuotato dalle privazioni della povertà, spiritualisti cercano la pace nel vuoto per sentirsi sazi anche del nulla e perché il silenzio nella mente assomiglia alla morte, e provarlo significa accettarla. Altri sono sbilanciati verso il prossimo dimenticandosi di chi sono. Qualcuno beve e si droga anche per alleggerire l’esistenza. C’è chi insegna, chi vuole segnare la storia, c’è anche chi lo scopo della propria vita non lo ha mai trovato, lo ha cercato invano, ha provato varie strade, e per alcuni periodi si è cibato di sensazioni nuove, fino a quando nuove non sono più state e alla fine è crepato con un grosso punto interrogativo sulla faccia.
Al contrario di chi, con una mente aperta e percettiva, ha distrutto le proprie certezze per lasciar spazio a nuove e più ampie vedute, c’è chi è rimasto impigliato nelle proprie convinzioni, chiudendosi al nuovo e a ciò che di diverso avrebbe potuto assaporare. Come l’edonista, che avvertendo il piacere del corpo, l’ha seguito in maniera estrema, come uno schiavo fedele al suo padrone, senza domandarsi cos’altro potesse dare maggiore soddisfazione. Nel portare un proposito all’estremo, si rischia di mancare di rispetto a chi ci sta attorno, e data la nostra natura socievole, non può fare altro che rendere complicate le cose. E’ un po’ come quando si prova ad applicare la teoria al mondo pratico; molto spesso si fallisce poiché nella realtà non esiste la perfezione ma continui fattori in mutamento, per cui i modelli teorici poco si adattano alla vita di tutti i giorni.
Qualcun altro invece si è sacrificato per la gioia degli altri considerando la propria vita meno importante di quella altrui, provando un tipo di amore unilaterale, un amore sterile poiché privo del bene per se stessi e per la propria vita.
Chi abbia ragione di tutti questi?
Nessuno. O forse tutti.
Avere uno scopo di vita non ci rende la vita migliore. Forse ci fa credere che lo sia, ma è proprio questo il punto: credere che lo sia.
In cosa vogliamo credere
Credere è un pensiero come lo sono le convinzioni, le supposizioni, gli ideali.
Quando si parla di pensiero, è plausibile che si sappia cosa intendo, ma non sempre si ha un quadro completo e immediato.
Un pensiero è, in altre parole, semplice energia che scorre nella mente. Esso si forma in vari modi: può essere generato direttamente dai nostri sensi i quali catturano costantemente la realtà che ci circonda attraverso suoni, immagini, odori, sapori e percezioni tattili. Molto spesso questa nostra capacità di produrre pensieri è inconscia. Ci comportiamo come spugne, assorbiamo la realtà senza rendercene conto e formiamo ricordi in continuazione.
Siamo capaci inoltre di elaborazioni sensoriali molto complesse, sappiamo comporre ricordi articolati che non riguardano la singola e isolata sensazione, ma si compongono di svariati input sensoriali in un unico grande quadro percettivo del momento vissuto.
Oltre a inglobare ed elaborare la realtà percepita
immagazzinandola in energia racchiusa nella nostra mente, sappiamo fare di più, sappiamo utilizzare i pensieri di base per comporre riflessioni via via più complicate, come le proiezioni future, i calcoli matematici, le fantasie, la creatività, l’ingegno.
Tutto questo è ciò che io definisco in un'unica parola: pensiero.
A sua volta il pensiero complesso, quello cioè relativo alle nostre riflessioni, può suddividersi in più tipologie. Due quelle su cui ritengo di dover porre l’accento:
Il pensiero diretto e il pensiero nascosto o indiretto.