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Questa puttana mi farà morire
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Questa puttana mi farà morire

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Per i più grandi scrittori francesi, da Stendhal a Proust, le Memorie rappresentano un modello. André Gide annota che ogni parola, ogni frase di quest’opera conserva il marchio di uno spirito impetuoso, mentre Emile Zola scrive che nella sua prosa palpita la vita e la passione ha seccato l’inchiostro. I Goncourt arrivano addirittura a sostenere: “ci sono soltanto tre stili: quello della bibbia, quello dei latini e quello di Saint-Simon”.

A distanza di tre secoli l’opera conserva una freschezza e una vivacità sorprendenti, un racconto che trascende il contesto dei fatti della corte di Luigi XIV per calarci nelle passioni degli uomini che la animano, un testo letterario ancor prima che documento storico. I personaggi smettono di essere personaggi storici, per diventare personaggi di romanzo, colti nella loro esistenza, nel loro costante affannarsi, nelle loro ambizioni e nelle loro debolezze, nel loro desiderio di primeggiare, immersi nell’architettare intrighi e nell’ordire congiure, che si muovono tra feste e ipocrisie in quello che lui definisce “il teatro del mondo”.
LanguageItaliano
Release dateSep 16, 2015
ISBN9786050417265
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    Questa puttana mi farà morire - Duca Di Saint-simon

    Diamanti

    Il teatro del mondo

    Louis de Rouvroy, meglio noto come duca de Saint-Simon, nasce a Parigi il 16 gennaio del 1675. Viene battezzato nel 1677, come padrino ha il re Luigi XIV. Riceve un’educazione austera nel solco dei valori della tradizione, ugualmente divisa tra gli studi e le attività tipiche della nobiltà, cioè equitazione e scherma. Mostra fin da giovane una dirittura di carattere poco diffusa tra i coetanei del suo ambiente. Non gli si conoscono vizi: né alcol, né gioco, né donne.

    A diciassette anni entra nel corpo dei moschettieri e partecipa all’assedio di Namur nel 1692 e l’anno dopo acquista un reggimento di cavalleria. Nel 1693, alla morte del padre, diventa duca de Saint-Simon, pari di Francia e governatore di Blaye. Due anni dopo sposa una delle figlie del maresciallo de Lorges, alla quale resterà fedele per tutta la vita.

    Nel 1702, vedendosi scavalcato nella carriera da persone più giovani e meno titolate di lui, lascia polemicamente il servizio adducendo motivi di salute. Luigi XIV ne è deluso, e anche se non gli manifesta un’ostilità aperta. Di fatto però la sua ascesa a corte si ferma.

    Il suo carattere indipendente e la franchezza con cui si esprime gli attirano addosso numerose inimicizie, soprattutto nella cerchia che ruota attorno al duca del Maine, primo bastardo del Re, nella cui crescente influenza Saint-Simon vede il sintomo più manifesto del decadimento del Regno. Negli ambienti di corte si va diffondendo la sua fama di un uomo pericoloso, e quando se ne lamenta col Re, questi gli risponde:

    «Anch’io penso la stessa cosa di voi, signore. Il fatto è che voi parlate e criticate troppo, ecco perché venite attaccato. Imparate a tenere a bada la lingua.»

    Nel frattempo si è avvicinato al partito degli scontenti, che confida nel giovane duca di Borgogna, nipote di Luigi XIV, le proprie speranze di rivalsa. Il duca di Borgogna muore però improvvisamente nel 1712, e a questo punto Saint Simon entra nell’orbita del duca d’Orléans, che sarà reggente dal 1715, al quale lo lega un’amicizia risalente agli anni dell’adolescenza. Con lui entra a far parte del Consiglio e può finalmente svolgere un ruolo di primo piano. Ma il duca d’Orléans è ben lontano dal possedere il rigore etico e gli austeri costumi del duca di Borgogna, e anche se efficiente negli affari di stato, il suo palazzo è centro di scandali, frequentato dagli individui meno raccomandabili, teatro di festini sfrenati che sfociano spesso in orge e si mormora addirittura che abbia una relazione incestuosa con la figlia, la duchessa di Berry, vedova del terzogenito di Monsignore.

    Saint-Simon fa del suo meglio per esercitare la sua azione moralizzatrice, anche se non sempre i suoi consigli vengono seguiti. Nel 1721 viene nominato ambasciatore in Spagna e di fatto perde ogni influenza negli affari di stato. La morte del duca due anni dopo segna la fine della sua carriera politica. Saint-Simon si ritira allora nel suo castello de La Ferté, si fa campagnolo, anche se di tanto in tanto torna a Parigi.

    Gli ultimi trent’anni della sua vita saranno interamente consacrati alla stesura delle Memorie. Muore nel 1755 all’età di ottant’anni.

    Alla sua morte Saint-Simon lasciò il suo lavoro pronto per essere pubblicato. Ma a seguito di varie traversie l’opera finì negli archivi del ministero degli Affari esteri, dove furono in pochi, tra cui Voltaire, coloro che poterono consultarla. In seguito ne furono pubblicati dei frammenti, ma solo nel 1829 vide integralmente la luce in un’edizione di dodici volumi per quasi tremila pagine. Alla loro apparizione le Memorie conobbero un eccezionale successo. Per la Francia della monarchia di luglio fu come se si alzasse il sipario sulla corte del Re Sole, come se tornasse alla luce un mondo sepolto più di un secolo prima.

    Storico, memorialista, uomo politico, Saint-Simon è prima di tutto un cortigiano. La corte è il centro del suo universo. Anche quando i rapporti col sovrano si incrinano, continua a svolgere la sua funzione a corte con la più metodica regolarità. Chiuso nei suoi pregiudizi, strenuo difensore delle prerogative della nobiltà e acerrimo nemico della borghesia e del parlamento, egli è il rappresentante di quella nobiltà legittimista per la quale la purezza del sangue precede ogni titolo.

    Le Memorie dovrebbero essere nell’intenzione del suo autore un puntuale resoconto della seconda parte del regno di Luigi XIV e del decennio immediatamente successivo alla sua morte. Nell’opera però, insieme allo storico con il suo desiderio di riportare fedelmente gli avvenimenti, emerge in maniera prepotente l’uomo con le sue passioni, con le sue aspirazioni e le sue frustrazioni. Per quanto si sforzi di essere obiettivo, i suoi giudizi accompagnano ogni episodio raccontato.

    Tuttavia, di ognuno dei protagonisti Saint-Simon non tralascia di dire tutto il bene e tutto il male che se ne possa dire. Non fa eccezione per nessuno. Che siano esponenti della fazione avversaria o che condividano le sue stesse idee, non cambia nulla. Il dovere dello storico di riferire i fatti nella maniera più veritiera e oggettiva possibile precede ogni altra istanza. Non fa sconti nemmeno a se stesso, come si può notare nel drammatico frangente dell’agonia del Gran Delfino. Saint-Simon, sostenitore del partito che si riconosce nel figlio di Monsignore, il duca di Borgogna, non cela il desiderio che il malato non si riprenda, pur riconoscendo tutta la meschinità di un tale sentire. Ma a questa morte insperata segue meno di tre anni dopo quella del duca di Borgogna, nel quale erano riposte tutte le sue aspettative. In questo passaggio allora il tono cambia radicalmente, e il racconto dello storico si intreccia col profondo sconforto del cortigiano, tentato dall’abbandonare tutto.

    Lo stile delle Memorie può apparire a tratti ridondante, arcaico, o anche barocco, ma in realtà ci si rende subito conto che risponde all’esigenza di scavare nelle circostanze e nell’animo dei protagonisti. È una prosa che mira a cesellare il personaggio o la circostanza narrati fino alla più piccola sfumatura, fino a sviscerarne la parte più intima e a coglierne l’essenza. Nel suo racconto procede con foga, tutto proteso a compenetrarsi nei fatti raccontati. Spesso si succedono soltanto sfilze di aggettivi, come una serie di scatti fotografici, che vogliono cogliere l’uomo o la situazione da ogni angolatura possibile.

    Proprio su questo punto concordano tutti i critici: la sua straordinaria capacità di penetrare la psicologia dei protagonisti. In effetti, Saint-Simon ha una conoscenza tanto profonda della corte, che riesce a decodificare il sottinteso e il non detto. Partendo dai minimi gesti o dai dettagli più insignificanti si insinua dei personaggi fino a presentarceli vivi in tutta la loro umanità.  

    Per i più grandi scrittori francesi, da Stendhal a Proust, le Memorie rappresentano un modello. André Gide annota che ogni parola, ogni frase di quest’opera conserva il marchio di uno spirito impetuoso, mentre Emile Zola scrive che nella sua prosa palpita la vita e la passione ha seccato l’inchiostro. I Goncourt arrivano addirittura a sostenere: ci sono soltanto tre stili: quello della bibbia, quello dei latini e quello di Saint-Simon.

    A distanza di quasi tre secoli, in conclusione, l’opera conserva una freschezza e una vivacità sorprendenti, un racconto che trascende il contesto dei fatti della corte di Luigi XIV per calarci nelle passioni degli uomini che la animano, un testo letterario ancor prima che documento storico. I personaggi smettono di essere personaggi storici, per diventare personaggi di romanzo, colti nella loro esistenza, nel loro costante affannarsi, nelle loro ambizioni e nelle loro debolezze, nel loro desiderio di primeggiare, immersi nell’architettare intrighi e nell’ordire congiure, che si muovono tra feste e ipocrisie in quello che lui definisce il teatro del mondo.

    Personaggi principali:

    Il Re, Luigi XIV (1638-1715, figlio di Luigi XIII e Anna d’Austria).

    La Regina, Maria Teresa d’Asburgo (1638-1683).

    Madame de Maintenon (1635-1719): terza favorita e poi moglie morganatica del Re.

    Madame de La Vallière (1644-1710): la prima favorita del Re.

    Madame de Montespan (1640-1707): la seconda favorita del Re.

    Monsignore, il Gran Delfino(1661-1711): il figlio del Re e della Regina.

    M.lle Choin(1670-1732): favorita e poi moglie morganatica del Gran Delfino

    Duca di Borgogna, Delfino dopo la morte di Monsignore (1682-1712): figlio di Monsignore e di Maria Anna di Baviera (1660-1790) e padre di Luigi XV (1710-1774)

    Duchessa di Borgogna, Delfina dopo la morte di Monsignore (1685-1712): moglie del Duca di Borgogna e nipote di Monsieur, madre di Luigi XV.

    Duca d’Anjou (1682-1746): secondogenito di Monsignore e di Maria Anna di Baviera, e futuro Filippo V re di Spagna.

    Duca di Berry (1686-1714): terzogenito di Monsignore e di Maria Anna di Baviera.

    Duchessa di Berry (1695-1719): figlia dei duchi di Borgogna e moglie del duca di Berry.

    Monsieur (1640-1701): il fratello del Re.  

    Madame, La Palatine (1652-1722): la moglie di Monsieur.

    Duca di Chartres, dal 1701 duca d’Orléans (1674-1723): figlio di Monsieur e Madame, e poi Reggente del Regno dal 1715 al 1723.

    M.lle de Blois, poi duchessa d’Orléans (1677-1749): figlia del Re e di Madame de Montespan, e moglie del duca d’Orléans.

    Luigi Augusto, duca del Maine (1670-1736): figlio del Re e di Madame de Montespan

    M.lle de Nantes, poi madame la Duchesse (1673-1743): figlia del Re e di Madame de Montespan, sposa Monsieur le Duc.

    Conte de Toulouse (1678-1739): figlio del Re e di Madame de Montespan.

    Monsieur le Prince (1643-1709): figlio del Gran Condé.

    Monsieur le Duc (1668-1710): figlio di Monsieur il Principe e marito di M.lle de Nantes.

    Maria-Teresa (1666-1732): figlia di monsieur le Prince e moglie del principe di Conti (1664-1709).

    Anne-Louise-Benedicte (1676-1753): figlia di monsieur le Prince e moglie del duca del Maine.

    Preambolo

    Un improvviso aumento del tempo libero, che prende il posto di tutte quelle occupazioni quotidiane che fanno la nostra vita, rappresenta un grande vuoto difficile da colmare e da sopportare. Uno stato in cui la noia irrita, la concentrazione stanca e i divertimenti risultano indifferenti. Situazione che non può durare, e dalla quale si cerca in tutti i modi di uscire. Qualcosa che concili una leggera applicazione con lo svago è la strada migliore. Di questo tipo sono quelle oziose ricerche di avvenimenti e di date sui libri, o anche la raccolta di quei fatti ai quali si è assistiti di persona o di cui si è avuta diretta testimonianza, quando presentano qualche singolarità o qualche fuggevole interesse che li rendano meritevoli di essere salvati dall’oblio. Succede allora che lo spirito volteggi sul loro ricordo senza decidersi a posarvisi, finché quel bisogno di nutrirsi di qualcosa, acquisito con l’abitudine, prenda il sopravvento sul disgusto generale, e si fermi a caso sulla prima di quelle immagini che lentamente vanno scomparendo.

    Come il malato che rifiuta ogni sorta di pietanze senza volerle nemmeno assaggiare, così lo spirito spossato dall’inattività esita a lungo prima di dedicarsi a uno di quegli eventi. Alla fine la ragione si fa intendere, attirandolo con le sfumature più futili dell’accaduto, ma siccome il futile non è stato mai di suo gusto, presto subentra il bisogno di approfondire.

    In questo modo è stato concepito e portato a termine il presente lavoro, che altro non è se non un semplice scritto, buono per divertire durante la stesura, e ancora più buono dopo per accendere il fuoco. Ma forse può anche offrire, seppure in modo approssimativo e sommario, fatti che è di qualche interesse conoscere. Si tratta di una specie di rapsodia di intrecci genealogici e fatti di corte, al cui ritmo l’autore si è lasciato andare, raccontando e ragionandoci sopra, trascinato dalla materia e per nulla preoccupato di curare l’espressione, non avendo altro fine che il piacere di scriverla. Ha prevalso piuttosto il desiderio di chiarire a se stesso quegli eventi e di spiegarseli, e ciò ha determinato il risultato finale di quello che nelle intenzioni doveva essere solo un breve scritto.  

    Scrivere la storia del proprio paese e della propria epoca, dunque, significa ritornare, approfondendoli, a tutti quegli eventi rappresentati nel teatro del mondo, ai quali si è avuto occasione di assistere personalmente o di cui si è venuti a conoscenza da fonti certe; significa indagare quelle apparenze insignificanti che sovente sono indizio o anticipano i grandi avvenimenti. Cimentarsi in un’opera storica, però, significa anche prendere atto delle miserie del mondo, dei suoi timori, dei suoi desideri e delle sue speranze, delle sue disgrazie, delle sue fortune, dei suoi affanni; convincersi della vanità di tutte le cose, del loro rapido ed effimero trascorrere; tenere sempre presente come nessuno degli uomini reputati felici lo sia stato veramente, e che non solo la felicità, ma nemmeno la tranquillità, appartengono a questo mondo.

    E se fosse stato possibile che quella moltitudine di persone, di cui si parlerà nelle pagine che seguono, avesse potuto vedere in anticipo il risultato finale delle proprie fatiche,

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