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Le figure del limite in Gisbert Greshake: male, sofferenza e morte
Le figure del limite in Gisbert Greshake: male, sofferenza e morte
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Le figure del limite in Gisbert Greshake: male, sofferenza e morte

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L’argomento del limite è uno dei temi che coinvolgono maggiormente l’uomo. Tra le immagini in cui esso si manifesta rientrano momenti come il nascere, l’essere storicamente e geograficamente situato ed altri simili. Tra le numerose figure in cui questo limite si presenta all’uomo ce ne sono tuttavia tre che più di altre suscitano timore, scandalo ed interrogativi: il male, la sofferenza e la morte. Si tratta di manifestazioni del limite che rappresentano una sfida soprattutto per il pensiero dei credenti, posti di fronte a drammatiche domande su come sia possibile conciliare con la fede in Dio la presenza del male nel mondo e di tanta sofferenza tra gli uomini, nonché sulla possibilità di dare un senso all’esistenza umana nonostante l’incombenza della morte. Questo libro analizza l’itinerario speculativo che permette a Gisbert Greshake di conciliare la fede in un Dio che è amore con la drammatica presenza nel mondo delle figure del limite per eccellenza: male, sofferenza e morte.
LanguageItaliano
Release dateJul 20, 2012
ISBN9788864589930
Le figure del limite in Gisbert Greshake: male, sofferenza e morte

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    Le figure del limite in Gisbert Greshake - Mattia Coser

    interrotta.

    Prefazione

    Caro Signor Coser,

    mi ha chiesto una breve prefazione al Suo scritto e Le vengo volentieri incontro – in forma di lettera – poiché il tema del Suo lavoro mi ha molto interessato ed ha aperto a me stesso un nuovo aspetto dei miei scritti. Infatti, fino al momento del Suo scritto non ero esplicitamente consapevole che i temi centrali del mio lavoro teologico potessero essere effettivamente integrati e riassunti programmaticamente nel concetto del limite. Originariamente ho posto mano sui temi di male, sofferenza e morte del tutto indipendentemente l’uno dagli altri – per lo più motivato da cause esterne – senza che dietro ad essi ci fosse un concetto unificatore e vincolante. Quindi Lei con la Sua tesi ha messo in moto qualcosa di molto creativo ponendo in risalto la comunione dei temi citati nel concetto di limite ed elaborandone l’intima unità.

    Mi congratulo con Lei per questo lavoro e Le auguro una buona eco nel mondo scientifico.

    Cordialmente Suo

    Gisbert Greshake

    Freiburg i. Br., 6 agosto 2010

    Introduzione

    L’argomento del limite è uno dei temi che riguardano più da vicino l’essere umano. Tra le immagini in cui esso si manifesta rientrano momenti come il nascere, l’essere storicamente e geograficamente situato ed altri simili. Tra le numerose figure in cui questo limite si presenta all’uomo ce ne sono tuttavia tre che più di altre suscitano timore, scandalo ed interrogativi, soprattutto tra i credenti: il male, la sofferenza e la morte. Si tratta probabilmente delle immagini per antonomasia del limite umano in quanto indicano esplicitamente l’imperfezione, la debolezza, la finitudine da cui l’uomo è caratterizzato.

    Queste tre figure del limite, da tutti avvertite come drammatiche e come fonte di continui interrogativi e dubbi, rappresentano in particolar modo una sfida per il pensiero dei credenti, i quali sono chiamati a dare una giustificazione della propria fede nonostante una simile esperienza del negativo. Di fronte alle figure del male e della sofferenza, le quali sono inscindibilmente connesse ma non vanno confuse come se fossero una sola ed unica figura, l’uomo è drammaticamente posto di fronte al limite e si interroga sulla bontà di Dio. Com’è possibile che un Dio buono, giusto ed amorevole nei confronti delle proprie creature permetta che esse possano avere un’esperienza di questo tipo? Perché Dio permette che l’uomo compia il male e che lo subisca sotto forma di sofferenza? È possibile conciliare la negatività dell’esperienza con la fede religiosa? Proprio il dilagare del male e della sofferenza, che in quanto figure del limite ricordano all’uomo la propria debolezza, la propria imperfezione, l’incapacità di raggiungere quella quieta beatitudine a cui ogni persona aspira, rende difficile credere in Dio. La fede è posta di fronte ad una dura prova dal male e dalla sofferenza, che spesso spingono l’uomo a conclusioni ateistiche¹.

    La terza figura del limite, vale a dire la morte, è quella che viene avvertita con maggiore angoscia dall’essere umano e che più di tutte ne manifesta la finitudine. Infatti, mentre il male e la sofferenza mostrano il limite inteso come imperfezione e debolezza, la morte lo mostra come non infinità della vita ed incapacità di sottrarsi alla sua fine. Questa terza figura minaccia di condannare la vita all’assurdità ed all’inanità più di quanto facciano il male e la sofferenza. L’uomo di fede si domanda se esista una vita oltre la morte, se è possibile sperare in un compimento ultimo alla luce del quale il limite costituito dalla morte non condanni l’esistenza all’assurdità.

    Le figure del limite prese in considerazione pongono dunque la questione della teodicea e dell’escatologia, i due àmbiti speculativi in cui il pensiero filosofico-religioso e teologico sono coinvolti nella maniera più intensa e drammatica. La storia della filosofia è ricca di tentativi di giustificare l’esistenza e la bontà di Dio nonostante la presenza dell’elemento negativo e distruttivo nel mondo. Anche le riflessioni tanatologiche ed escatologiche ricoprono un ruolo importante nel pensiero filosofico e teologico, specialmente nella riflessione del secolo scorso. L’abbondanza di riflessioni e di scritti dedicati a queste tre figure del limite testimonia l’urgenza di una risposta agli interrogativi che esse pongono.

    Tra i numerosi studiosi che hanno affrontato la questione della teodicea e quella escatologica spicca nel Novecento il teologo cattolico tedesco Gisbert Greshake, studioso molto conosciuto ed apprezzato in Germania ma poco noto ai lettori italiani, la cui riflessione sulle figure del limite è l’argomento centrale di questo scritto. Greshake si è imposto all’attenzione in Germania per l’originalità del proprio contributo e per il tentativo di attualizzare ed adattare al contesto odierno concetti della tradizione teologica cristiana oggi spesso fraintesi o addirittura dimenticati. Soprattutto per quanto riguarda l’àmbito escatologico, i suoi scritti hanno suscitato molte reazioni, sia favorevoli sia contrarie. Anche la riflessione sul male e sulla sofferenza, accompagnata da quella sulla redenzione presentata nella sua dottrina della grazia, ricoprono nel pensiero greshakiano un ruolo fondamentale.

    Proprio in ragione dell’importanza ricoperta dalle figure del limite sopra accennate – ovvero male, sofferenza e morte – nel pensiero di Greshake e dell’originalità dei suoi interventi, questo studio si propone principalmente di analizzare le riflessioni e le conclusioni del teologo nell’àmbito della teodicea e dell’escatologia. Tuttavia, poiché il pensiero greshakiano è complesso e riguarda anche altri settori della teologia quali la dottrina della grazia, la teologia trinitaria e l’ecclesiologia, i quali sono strettamente interrelati con l’indagine sulle figure del limite, una comprensione sufficiente delle sue riflessioni attorno ad esse non sarebbe possibile senza una previa analisi di questi àmbiti, nei quali si trovano concetti di fondamentale importanza per le risposte greshakiane alle questioni della teodicea e dell’escatologia.

    In virtù della varietà delle aree tematiche di cui Greshake si occupa, il lavoro sarà suddiviso in due parti, ognuna della quali composta da quattro capitoli. Nella prima parte, dopo un breve capitolo sulla vita del teologo tedesco, si analizzeranno le riflessioni greshakiane in merito ai temi della grazia, della teologia trinitaria e dell’ecclesiologia, evidenziando in alcuni passaggi fondamentali l’utilità dei concetti ivi esposti in vista dello scopo fondamentale di questo scritto, ovvero l’analisi delle figure del limite. La seconda parte, invece, si occuperà dei temi centrali del presente lavoro, ossia delle figure del limite. In essa, dopo i tre capitoli fondamentali sul male, sulla sofferenza e sulla morte, troverà posto un breve excursus sul deserto, argomento al quale Greshake ha dedicato due monografie tese alla riscoperta della spiritualità e della religiosità proprio a partire dalla realtà del deserto, concepita come un simbolo terreno della dimensione escatologica.

    1 Cfr. a questo proposito Gerhard Streminger, Gottes Güte und die Übel der Welt. Das Theodizee Problem, Mohr, Tübingen, 1992, tr. it. di Paolo Malberti, La bontà di Dio e il male del mondo: il problema della teodicea, EffeElle, Cento (FE), 2006.

    Prima parte:

    Introduzione al pensiero di Gisbert Greshake

    1. La vita

    Gisbert Greshake è uno dei più conosciuti ed affermati teologi di lingua tedesca, anche se al momento i suoi contributi in campo teologico sono poco conosciuti in Italia, dove solo alcune delle sue opere sono state tradotte e non è quasi disponibile bibliografia critica sull’autore².

    Greshake nasce a Recklinghausen, nel Westfalen, il 10 ottobre 1933. Svolge tra Münster e Roma gli studi di licenza in filosofia e teologia dal 1954 al 1961. Nel 1960 viene ordinato sacerdote e per sette anni, fino al 1967, si occupa di attività pastorali nella diocesi di Münster. Nel 1962 ottiene la licenza in teologia presentando un elaborato dal titolo Historie wird Geschichte. Bedeutung und Sinn der Unterscheidung von Historie und Geschichte in der Theologie Rudolf Bultmanns³, testo nel quale Greshake si preoccupa di approfondire la concezione ermeneutica di «una delle scuole teologiche più discusse oggigiorno»⁴, individuando l’influenza che su Bultmann ha esercitato la filosofia di Heidegger, in particolare lo Heidegger di Essere e tempo⁵. Con ciò si manifesta la volontà di Greshake di mettere in dialogo la propria teologia con il mondo della filosofia.

    A Münster affianca ulteriori studi alla propria attività pastorale e, sotto la direzione di Walter Kasper, consegue il dottorato e diviene assistente universitario. L’anno seguente si stabilisce a Tubinga, dove nel 1972 ottiene l’abilitazione all’insegnamento. Nel 1974 Greshake diviene docente di teologia dogmatica e storia dei dogmi all’Università di Vienna, ruolo che ricopre fino al 1985. Nel 1985 si trasferisce a Friburgo in Brisgovia, nel Baden-Württemberg, presso la cui università diviene professore ordinario di teologia dogmatica e teologia ecumenica. Dal 1999 è diventato professore emerito presso la stessa università, pur rimanendo attivo come professore invitato presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma fino al 2006.

    Nel corso degli anni ha compiuto numerosi viaggi nei più grandi deserti del mondo, viaggi da cui sono nate le profonde riflessioni raccolte nei due libri Die Wüste bestehen. Erlebnis und geistliche Erfahrung⁶ e La spiritualità del deserto⁷, riflessioni che verranno trattate nella seconda parte di questo lavoro, dove verrà approfondita la dimensione escatologica della riflessione teologica di Greshake.

    Il suo itinerario speculativo può essere suddiviso in tre grandi àmbiti: la teologia della grazia, la teologia trinitaria e l’escatologia. A queste tre aree tematiche se ne può aggiungere una quarta, riguardante l’ecclesiologia, che vede Greshake impegnato a considerare lo stato attuale della Chiesa Cattolica e le sue prospettive future, dedicando una particolare attenzione al ruolo del presbitero nella comunità. Queste aree tematiche non sono delle monadi isolate, non possono essere comprese pienamente se considerate in sé e per sé, senza il confronto con le altre. Al contrario, in Greshake i diversi àmbiti sono in continua relazione, in costante reciproco rimando. Non si può comprendere la sua teologia trinitaria se non si conosce anche la sua teologia della grazia, e la prospettiva escatologica tanto importante per lui è a sua volta radicata nei due àmbiti di cui sopra. La trattazione di ognuno di questi temi necessita degli altri per non risultare incompleta ed incomprensibile. Allo stesso modo, l’ecclesiologia di Greshake non avrebbe senso se estrapolata dal suo contesto trinitario e di teologia della grazia. Trattare un tema senza tenere presenti anche gli altri risulta in questo caso impossibile. Proprio per questo motivo in questo scritto, pur essendo interesse principale quello delle figure del limite, vale a dire male, sofferenza e morte, ovvero la teodicea e l’escatologia di Greshake, non si può fare a meno di trattare anche gli altri snodi principali della speculazione greshakiana. Pertanto, la prima parte del lavoro sarà dedicata proprio al pensiero di Greshake a proposito di grazia, Trinità e Chiesa, dedicando poi la seconda parte all’analisi del negativo, la quale senza l’inquadramento offerto dalla prima parte non potrebbe essere trattata in maniera sufficientemente chiara.

    2 Fa eccezione in tal senso solo il testo di Enrico Brancozzi, Interlocutori di Dio. La teologia della grazia nel pensiero di Gisbert Greshake, Morcelliana, Brescia, 2005.

    3 Gisbert Greshake, Historie wird Geschichte. Bedeutung und Sinn der Unterscheidung von Historie und Geschichte in der Theologie Rudolf Bultmanns, Ludgerus-Verlag Hubert Wingen, Essen, 1963.

    4 Ivi, p. 11, traduzione dell’autore.

    5 Martin Heidegger, Sein und Zeit, Niemeyer, Halle, 1927, tr. it. di Pietro Chiodi rivista da Franco Volpi, Essere e tempo, Longanesi, Milano, 2005.

    6 Gisbert Greshake, Die Wüste bestehen. Erlebnis und geistliche Erfahrung, Herder, Freiburg-Basel-Wien, 1979.

    7 Gisbert Greshake, Spiritualität der Wüste, Tyrolia, Innsbruck-Wien, 2002, tr. it. di Dino Pezzetta, La spiritualità del deserto, Queriniana, Brescia, 2004.

    2. La dottrina della grazia

    2.1 Antropologia biblica

    Il primo passo nell’approfondimento del pensiero di Greshake è rappresentato dalla trattazione della sua dottrina della grazia, il cui studio è di grande importanza per questo scritto in ragione della sua stretta attinenza con il tema del peccato, il quale rappresenta un elemento centrale nella trattazione greshakiana del male e della morte. Si inizia dall’approfondimento della dottrina della grazia per un motivo fondamentale: Greshake s’è imposto all’attenzione proprio in questo àmbito, poiché è stato uno dei primi autori a rivalutare la dottrina pelagiana, determinando l’uscita da quel «pregiudizio secondo il quale lo scontro tra Agostino e Pelagio sarebbe stato uno scontro tra perfetta ortodossia ed eresia, tra verità dottrinale e filosofia, tra esperienza di fede e spirito di ragione»⁸. Si vedrà in seguito in che modo Greshake si sia rivolto a Pelagio in maniera nuova rispetto a quanto la teologia aveva fatto fino ad allora. Prima dello studio greshakiano, infatti, essa aveva considerato il pensiero del monaco britannico esclusivamente con intento polemico. Per trattare correttamente il tema della grazia, dell’agire salvifico di Dio nei confronti dell’uomo, si deve partire da uno studio antropologico, in quanto sarebbe difficile comprendere l’essenza della grazia ed i suoi effetti senza una previa conoscenza dell’uomo, conoscenza che sarà fondamentale anche al fine di comprendere il tema del male e del peccato, come si vedrà nella seconda parte di questo scritto⁹.

    Greshake parte dalla costatazione che la storia della filosofia è stata da sempre caratterizzata dalla domanda sull’uomo. Una lunga serie di interrogativi, riassumibili nella sola domanda «Chi è l’uomo veramente¹⁰, funge da punto di partenza per una serie di considerazioni basate sull’esperienza umana e, soprattutto, sul testo biblico.

    Il primo elemento su cui l’autore concentra la propria attenzione è una certa ambiguità riscontrabile nell’esperienza umana del proprio esser uomo. Infatti, da un lato si sperimenta continuamente la limitazione umana, ma dall’altro lato anche una tendenza a superare questo limite, uno slancio verso l’illimitato, l’infinito, verso il Grenzenlos, per usare il termine tedesco impiegato da Greshake. L’uomo è visto quindi come un essere ambiguo, diviso tra due dimensioni tra loro opposte, da un lato la finitudine e dall’altro l’infinito. Greshake riconosce la verità delle parole di Nietzsche, secondo il quale l’uomo sarebbe un essere non ancora finito, una promessa¹¹.

    Proprio a causa di questa ambiguità, l’uomo non può che essere concepito come opera di Dio e quindi le sue origini ed il senso autentico del suo essere devono essere cercati a partire dalla Sacra Scrittura. Egli, infatti, si rivela sempre insoddisfatto della finitezza del mondo e bisognoso di quel di più che solo da Dio gli può venire¹². La definizione di uomo ricavabile dalla Bibbia lo vede come creato dal nulla ad immagine e somiglianza di Dio, due elementi che spiegano anche l’ambiguità dell’esser uomo, finito in quanto proviene da Dio e tendente all’infinito in quanto ad immagine e somiglianza del Creatore.

    Il fatto che l’uomo sia creato dal nulla significa riconoscere come vero un dato riscontrabile nell’esperienza di ciascuno, vale a dire il fatto che egli non si può dare l’esistenza da sé, che nel venire al mondo è soggetto a molte determinazioni su cui non ha alcun potere, come ad esempio la città e la famiglia d’appartenenza. In ultima istanza, poiché egli è posto in essere da Dio, l’idea di una creazione dal nulla serve a ricordargli che egli potrà trovare il proprio posto, la propria sicurezza e consolazione solo in Dio¹³. Il fatto di essere creatura di Dio e di non avere nulla che non sia da Lui dato all’uomo, non significa tuttavia che l’uomo sia una marionetta nelle Sue mani. Creandolo, Dio dona all’uomo la propria identità, la propria singolarità e la propria libertà. Dio non si pone come concorrente della libertà umana, bensì come la sua possibilità d’essere. Greshake non presenta un Dio che agisce in maniera monarchica, ma un Dio che nel proprio amore infinito e perfetto¹⁴ crea l’uomo trattandolo da persona ed invocandolo, chiamandolo a sé sempre in forma personale, rivolgendosi a lui come ad un Tu singolo, il quale è lasciato libero tanto di accettare quanto di rifiutare questa chiamata, fermo restando che troverà la propria perfezione solo rispondendo affermativamente all’appello che Dio gli lancia. Teonomia ed autonomia non sono quindi concetti contrapposti, in quanto nel suo essere teonomo, l’uomo diviene anche perfettamente autonomo.

    Il fatto di essere ad immagine e somiglianza di Dio significa che l’uomo è il vertice della creazione e che come tale è l’interlocutore privilegiato di Dio. Egli è chiamato all’amore per il Creatore e per tutto il creato, è libero in quanto frutto della libertà e dell’amore divini, è invitato a partecipare alla stessa vita divina ed a prendersi cura del mondo, della cui custodia e cura è incaricato da Dio stesso. L’immagine di Dio riflessa nell’uomo è il fondamento della sua dignità e della sua unicità ed insostituibilità. Il fatto che la persona possa essere sostituita nelle proprie funzioni materiali non significa nulla, essa rimane insostituibile come soggetto ed oggetto d’amore, polo di una relazione personale diretta con Dio. Greshake osserva come il fatto di porre l’uomo ad immagine di Dio da parte dell’Antico Testamento, concetto che verrà poi radicalizzato da Gesù nel Nuovo Testamento, non segni un’assoluta novità in àmbito teologico – infatti anche nel mondo egizio e mesopotamico si trova l’idea dell’uomo ad immagine di Dio – bensì una sua democratizzazione. Mentre per gli Egizi immagine di Dio era, infatti, solo il faraone, Suo rappresentante e regnante in Suo nome, con la Bibbia questa corrispondenza si estende a tutti gli uomini.

    L’immagine dell’uomo è connotata quindi da un certo ottimismo, ma non si deve scordare che egli, che sta davanti a Dio come suo interlocutore, non ha tuttavia ancora raggiunto la pienezza della partecipazione alla vita divina, che la storia della salvezza che ha avuto inizio con l’Antico Testamento è tuttora caratterizzata dal non ancora. L’uomo, finito e macchiato

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