Didier E L’Astrologo
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Didier E L’Astrologo - Gaston J. Algard
1
Mercoledì, mattina
Il corpo dell’astrologo, così tutti chiamavano Antoine Refus nel quartiere, era riverso a faccia in giù quasi nudo nell’ingresso dell’appartamento. I pantaloni di flanella grigia slacciati in vita, calati fin sotto le ginocchia, facevano risaltare il pallore della pelle sulle natiche più chiare, senza mutande. Una maglietta rossa traforata a maniche corte, copriva parte della schiena. Niente scarpe o calze. Sulla testa un sacchetto di plastica nero, legato intorno al collo con la cinta dei pantaloni.
L’ispettore capo Agnès Didier osservava gli uomini della scientifica che le giravano intorno. L’ispettore Albert Mulé, che l’aveva accompagnata con l’auto di servizio, la guardava attendendo che chiedesse qualcosa o che reagisse in qualche modo. In fondo era solo il secondo giorno che, proveniente dal ministero, faceva parte della divisione criminale della polizia di Parigi, sostituendo il commissario in malattia. Ma quella donna sembrava indifferente sia a quello che le accadeva intorno sia a quella nudità.
Il medico si avvicinò, aspettandosi qualche domanda. Didier fece un cenno con la mano, come a rinviare a dopo. Un giovane magistrato, dopo una rapida visita, se ne andò senza commenti.
Didier restò in piedi in un angolo, finché tutto fu finito ed il corpo era stato portato via. Solo allora si sedette su una piccola panca e cominciò ad osservare il disegno del morto, tracciato sul pavimento con il gesso, la porta d’ingresso chiusa, il disordine intorno. Si alzò ed entrò nella sala da pranzo.
Sul tavolo due tazzine pulite ed una zuccheriera, gli unici oggetti intatti. Tutti i locali erano stati messi a soqquadro, quasi in modo isterico, come l’ingresso. Nulla al proprio posto o non danneggiato. L’assassino, o gli assassini, avevano fatto un vero scempio di ogni cosa.
Guardò nella camera da letto e nel piccolo bagno. Nella cucina, sul fornello, il caffè era traboccato dalla caffettiera ed aveva spento la fiamma. Gli agenti avevano già chiuso i rubinetti. L’odore acre del gas, anche se la finestra era aperta, era ancora nell’aria.
Quando avremo il primo referto medico…?
domandò Didier.
Mulé si scosse dal torpore che l’aveva preso, abituato in tanti anni di servizio a scene del genere.
Domani mattina, sul tardi. Sicuramente le notizie preliminari, poi quelle sull’autopsia…
Qualcuno ha visto o sentito…?
Non credo… I colleghi hanno battuto tutta la strada, ogni porta… Ma questo è un quartiere di merda! Oh, scusi…
Torniamo in ufficio… Ho visto abbastanza…
Uscendo dall’appartamento, scesero la scala dai gradini alti e consunti, guidati solo dalla poca luce che entrava dal portoncino. Didier si fermò appena fuori. Nessun custode, solo tre campanelli sullo stipite scalcinato. Il primo, quello al primo piano, era di Refus. Sopra una targhetta illeggibile, sul terzo, solo due iniziali, M.R.
Il caseggiato era vecchio, come tutte le costruzioni vicine, a tre o quattro piani con tetti spioventi di tegole. Botteghe o magazzini al piano terra, per almeno un centinaio di metri di strada selciata e sconnessa, larga tre metri al massimo e senza traverse. Il sole riusciva ad illuminare solo l’ultimo piano delle case. Uno dei vicoli antichi della città. Persiane logore, qualche panno steso alle finestre, portoncini scrostati, mura sporche e rattoppate, chiasso di piccole botteghe di artigiani o negozi di generi alimentari, gente che andava e veniva parlando ad alta voce. Solo qualche bicicletta, perché la strada era vietata alle auto. Nessun marciapiede. Per raggiungere la macchina, si diressero verso il fondo della via.
Mercoledì, tarda mattina
Quando Didier entrò nel suo ufficio trovò sulla scrivania una pila di pratiche e di corrispondenza. Guardò stupita, poi chiamò Mulé con il telefono interno.
Come mai queste carte sono sul mio tavolo…?
Mulé, l’ispettore più anziano della squadra, entrando cercò di darsi un contegno.
Dato che il capo, il commissario, è assente da ieri, tocca a lei vedere tutto ora. Sembra che ci vorranno parecchi giorni perché arrivi un commissario divisionale provvisorio, sempre che arrivi… Sono scarsi di personale. Troverà la comunicazione ufficiale del direttore tra la posta. Se lo ritiene opportuno può trasferirsi nella stanza del capo. È più spaziosa della sua…
Malgrado l’avesse detto con l’aria più compita che potesse, dentro di sé gongolava per la soddisfazione. Voleva vedere come se la sarebbe cavata quella zitella laureata che aveva preteso di lavorare nella squadra criminale e che, soprattutto, avrebbe dovuto comandare gente che aveva anche venti anni d’esperienza più di lei. Oltre gli arretrati, ora aveva un omicidio fresco di giornata e doveva sostituire anche il capo. Secondo lui sarebbe durata poco, forse una settimana.
Didier guardò Mulé fisso negli occhi, come per leggergli dentro. Capì che non la riteneva né capace di fare quel lavoro, destinato per lui solo ad un uomo; né nell’ambiente giusto, dove erano tutti uomini; né digeriva fosse stata nominata ispettore capo, benché più giovane di loro. Senza abbassare lo sguardo rispose:
Va bene, grazie… Se avrò bisogno di lei la chiamerò…
Rimase in ufficio sino alle due di notte, leggendo tutto, compresa la comunicazione del direttore che la invitava, nello spirito di collaborazione, a fare le veci pro-tempore del commissario divisionale assente, con tante scuse per non averglielo potuto comunicare a voce, dato che era fuori ufficio. Quando uscì dalla stanza, l’agente di turno all’ingresso le chiese se voleva essere accompagnata a casa con l’auto di servizio. Sorpresa del pensiero rispose:
No, grazie, molto gentile… Farò due passi a piedi…
Come vuole. Buonanotte, commissario…
Stava per replicare, per dire che era solo un ispettore capo, ma non rispose. Capì che la notizia era già nota. Che per tutti lei, ora, era il commissario
al maschile. Ma capì anche che tutti sarebbero stati alla finestra per vedere come se la sarebbe cavata. E quest’ultimo pensiero la fece sorridere, non sapeva se per incoscienza o per paura.
Giovedì, mattina
Alle sette era già in cucina per preparare il caffè e fare colazione. Aveva dormito di piombo, ma un sonno agitato. Per svegliarsi del tutto, fece una doccia prima bollente poi ghiacciata. L’attendeva una lunga giornata di lavoro e non sapeva ancora da dove avrebbe dovuto cominciare. Non aveva avuto ancora il tempo di ambientarsi e nessuno degli uomini della squadra si sarebbe umiliato a fargli da balia, soprattutto Mulé.
Alle otto meno un quarto suonò il campanello della porta. S’infilò con calma un leggero soprabito ed andò ad aprire, dopo aver guardato dallo spioncino. Era Mulé che la veniva a prendere, come aveva fatto sino allora con il commissario. Avrebbe scommesso un mese di stipendio che era sicuro di trovarla ancora in vestaglia.
Buongiorno Mulé
, disse sorridendo, mentre richiudeva la porta, ha riposato bene…?
Sì, sì. Grazie… commissario…
rispose quello.
Mulé non poté nascondere un certo imbarazzo. Si rese conto che Didier aveva sicuramente capito le sue reali intenzioni e per la prima volta, in tanti anni di servizio, provò quasi un senso di vergogna.
La mattinata fu intensa. Venne subito convocata dal direttore.
Ha letto la mia comunicazione…?
Sì, signor direttore.
Non s’impressioni per quest’incarico. Sono certo che se la caverà benissimo. Si tratta solo di un breve periodo, quel tanto perché venga nominato un sostituto del commissario divisionale. Lo stesso prefetto, dandomi l’ordine, ritiene che con il suo curriculum di studi e le sue specializzazioni, saprà far bene.
Ma perché proprio io? Ci sono tanti ispettori più anziani. Qualcuno se la prenderà a male…
Il prefetto ha avuto l’indicazione dal ministero. Forse non vorranno creare false speranze in qualcuno, prima di prendere una decisione… Sarà sufficiente che diriga gli uomini, che sono esperti e ben rodati per questo duro mestiere. È chiaro che non si tratta di una promozione, lei è arrivata solo da pochi giorni qui da noi. Ma stia certa che la sua disponibilità sarà tenuta in debito conto nel futuro, influenzando favorevolmente la sua carriera nella polizia… Posso contare su di lei?
Farò il possibile…
Ne ero certo… Ovviamente mi rendo disponibile per qualunque suggerimento abbia bisogno, data la sua ancora limitata esperienza. Qui dobbiamo affrontare situazioni spesso così crudeli! Allora, buon lavoro Didier…
Uscì scioccata. Le ultime parole, a parte la montagna di vaselina usata per farle capire che in fondo era solo una donna, l’avevano quasi fatta ridere. Aveva proprio detto situazioni spesso così crudeli. Non crude, atroci, barbare, brutali ma crudeli. Comprese subito che sarebbe riuscita anche qui, come in passato. Bastava trovare il lato umoristico d’ogni situazione per sopravvivere e vincere.
Dopo il colloquio dovette partecipare a due interrogatori, già fissati in precedenza dal commissario.
L’assassino confesso di una bambina di dieci anni. Quello provò a dare segni di pazzia, mal recitati. Cambiò la deposizione almeno