Didier e le comari di Lugano
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Didier e le comari di Lugano - Gaston Javier Algard
1
Domenica, 29 Settembre, ore 17,25
Agnès Didier, commissario della divisione criminale di Parigi, come dire quai des Orfèvres 36, attendeva che l’ispettore Jules Kolinsky venisse a prenderla per accompagnarla all’aeroporto.
«Kolinsky attento..!» gridò quasi senza volerlo, mentre l’auto correva nel traffico.
«Calma, commissario… Non è un giorno che guido, non vorrei che perdesse l’aereo…»
Didier si rilassò. In effetti Kolinsky non correva poi tanto, era lei che era nervosa. Accettando le insistenze del direttore aveva deciso di partecipare ad uno scambio, leggi aggiornamento, tra funzionari della polizia criminale. La proposta era arrivata al momento giusto. Settembre era stato un mese pesante per il lavoro e, Lugano, dove sarebbe rimasta per otto giorni, le era sembrato il posto adatto per rilassarsi un po’. Seguendo i suoi pensieri, non si era accorta che l’auto si era fermata. La voce di Kolinsky, mentre le apriva lo sportello, la riportò alla realtà.
«Commissario siamo arrivati. Non vuole più partire..?»
Raggiunsero a piedi il Falcon. Kolinsky consegnò il bagaglio al secondo di bordo, mentre Didier si stringeva nell’impermeabile per difendersi dalla pioggia che cadeva già da due giorni.
«Allora buon viaggio, commissario…» fece suadente Kolinsky, mentre le stringeva la mano «e… cerchi di godersi la vacanza…!»
Lo guardò negli occhi abbozzando un sorriso riconoscente.
«Grazie Kolinsky… Non sentirete la mia mancanza…?»
«Certo! Ma supereremo anche questa prova. Mi saluti Lugano e… non mangi troppa cioccolata!»
«Spiritoso…» rispose divertita mentre, salutandolo con la mano, saliva la breve scaletta dell’aereo.
Domenica, 29 Settembre, ore 23,40
La pioggia tamburellava sui vetri della finestra. Guardò fuori, ma era troppo buio. Solo luci lontane, indefinite, all’orizzonte. Le mani gli tremavano ancora, non riusciva a calmarsi. Si sentiva tradito per l’ennesima volta. Dentro il vuoto. Non riusciva a riordinare le idee. Poggiò le mani gelate sul termosifone, ma solo per un attimo, ritraendole subito. Il calore del radiatore era fortissimo. La reazione istintiva ad un pericolo lo risvegliò dal torpore. Si guardò intorno. Il grande salone era buio e silenzioso, come tutto l’appartamento. Tornò nel corridoio fermandosi davanti ad una porta chiusa. Non ebbe il coraggio di entrare. Pigiò sull’interruttore, la luce improvvisa l’infastidì. Si guardò il corpo nudo. In un attimo ricordò e cominciò a piangere, prima sommessamente, poi i singhiozzi gli squassarono il petto. Continuò così per alcuni minuti, poggiandosi con la testa alla parete. Di colpo, scaricata la tensione, sorrise. Ora si sentiva bene, sicuro di se. Spinse con il gomito la porta semiaperta della camera da letto. Dall’angolo in fondo, una luce opaca illuminava un grande letto sfatto. Cominciò a rivestirsi con meticolosità, raccogliendo gli abiti sparpagliati tutt’intorno.
Lunedì, 30 Settembre, ore 8,35
Didier era scesa di buon’ora per la colazione, al primo piano dell’Hotel Besso. Una saletta simpatica. Tavolini con due, quattro, sei sedie, riempivano l’ambiente. Ne scelse uno a due posti. Da un vano senza porta, si sentivano i rumori della cucina. Due donne non più giovani e con un lungo grembiule, entravano ed uscivano per servire i clienti con vassoi colmi. Da poche ore a Lugano, si sentiva a proprio agio. La gente, tutta cortese, la rilassava. Non c’era abituata. Quel trasferimento era capitato proprio al momento giusto, allontanandola da un lavoro stressante e da una Parigi caotica. Una delle due donne si avvicinò, dandole il buon giorno. Rispose con un sorriso. Ordinò un caffellatte completo, burro e marmellata.
Mentre immergeva nella tazza un croissant appena uscito dal forno, rise tra se, quasi ad alta voce. Ripensava al suo direttore, quel bastardo leccaculi, che aveva indugiato due giorni prima di informarla che era stata scelta per quel viaggio. Figlio di puttana! Era solo spaventato di rimanere senza di lei in caso di crisi improvvise. Quando il prefetto aveva chiesto notizie, quello era stato costretto ad aprire bocca. Lei aveva fatto subito spallucce all’invito, mettendolo nuovamente in crisi. L’aveva dovuta rincorrere per due giorni, come un cagnolino, prima di dirgli che accettava.
Dopo mezz’ora era già fuori. Il tempo era abbastanza buono. Un sole timido con tendenza al bello si affacciava a tratti tra le nuvole. Quell’aria frizzantina le mise addosso allegria. Aveva tutto il lunedì per se. Doveva incontrare i colleghi svizzeri solo il giorno dopo. Non perse tempo. Prese la funicolare, divertendosi come una bambina. Dopo alcuni minuti si trovò nel centro di Lugano, tra tanti negozi e turisti.
Lunedì, 30 Settembre, ore 9,35
Antibe, cognome impronunciabile, non tanto nera da non far risaltare sul viso due occhi vispi e furbi, forse sui 30, camminando faceva ondeggiare la lunga gonna. Canticchiava una delle sue abituali nenie, mentre apriva il portone di vetro del palazzo dove, ogni mattina, si recava a servizio dalla signora Katharina Frisch. August Kerkeling, custode della palazzina, del giardino, della piscina, degli spogliatoi sauna compresa, la salutò con il solito grugnito. Non sapeva fare di meglio. La sua cordialità non riusciva a superare quel limite. Ma era una pasta d’uomo. Viso abbronzato e serioso, alto e robusto, molto più di 60 anni ben portati. Più volte Antibe l’aveva chiamato in aiuto per piccole riparazioni. Lui non si era tirato mai indietro e gli risolveva ogni problema. August ogni lunedì mattina, al massimo della cortesia, gli pigiava anche il pulsante per chiamare l’ascensore. Antibe aveva le mani occupate per le buste della spesa che faceva da Migros per tutta la settimana. Come sempre lo ringraziò con un sorriso. Antibe sorrideva a tutti, mostrando la sua bianchissima dentatura. Entrando nella cabina, poggiò le buste a terra pigiando il bottone del terzo piano.
Uscita dall’ascensore, portò le buste sin davanti ad una porta. Infilò la chiave nella serratura, aprì, riprese le buste ed entrando richiuse il portoncino spingendolo con un piede, lentamente, per non far rumore. Si diresse subito, con passi felpati, verso la cucina in fondo al piccolo corridoio. Poggiò le buste al centro del tavolo, chiudendo la porta dietro di se ed aprendo subito la porta-finestra che dava sul grande balcone. Antibe aveva sempre bisogno d’aria pura. Cominciò a riempire il frigo. Si rese subito conto di aver dimenticato qualcosa della lista che aveva preparato insieme alla signora. Ma non riusciva a capire cosa. Poi ricordò.
«Antibe, Antibe… Che sbadata che sei… Hai dimenticato la provvista di panna…»
Lei, tanto loquace, si era abituata a parlare da sola in quella casa, facendosi domande e rispondendosi ad alta voce. Aveva così risolto il problema. La signora era di poche parole e non l’incontrava quasi mai. La Frisch, dopo colazione, si chiudeva in bagno per un’ora, uscendo poi per i suoi impegni mattutini. Quando tornava verso le due del pomeriggio, dopo aver pranzato fuori, Antibe era già andata via dopo aver sbrigato le faccende di casa e preparato la cena. Così continuava a parlare tra se mentre, scaldando l’acqua per il caffè, riempiva il vassoio per la colazione.
«La tazzina per il caffè ristretto… la tazza grande per il caffellatte… il piattino per il burro…il burro… il coltellino per il burro… il piattino per le brioche fresche… il piattino per le fette biscottate… la tazzina per la panna… due cucchiaini… il coltellino per spalmare la marmellata… un vasetto di marmellata di frutta senza zucchero… due bricchi grandi per il caffè ed il latte…»
Si girò, prendendo un piccolo frullatore. Aprì l’ultima scatolina di panna dal frigo, la versò ed attaccò la spina. Dopo un paio di minuti, versò la panna in una tazzina.
«Antibe come sei brava! Un’opera d’arte! Ora mettiamo le fette biscottate senza zucchero… oplà è fatta… poi le brioscine, fresche come piacciono alla signora…»
Il bollitore fischiò.
«Antibe spegne il fornello… Antibe versa l’acqua calda nel bricco grande… un pochino nella tazza piccola del caffè… ora un solo cucchiaino di caffè solubile nella tazzina… due cucchiai abbondanti nel bricco grande. Ed il latte..? Antibe tira fuori il latte dal frigo, testona che sei…! Ecco qui… Antibe mette il latte nell’altro bricco… Chissà perché la signora vuole il caffè caldo ed il latte freddo. Mah! Se le piace così…»
Guardò l’orologio sulla parete.
«Dieci minuti alle dieci. Devo svegliare la signora…»
Uscì dalla cucina, attraversò il corridoio, poi un disimpegno, aprì una porta ed entrò in un altro corridoio, dirigendosi verso la camera da letto. Passando davanti alla stanza da bagno, si fermò. Doveva prima aprire il rubinetto dell’acqua calda per scaldare la vasca. Non riuscì ad aprire del tutto la porta. Qualcosa faceva resistenza.
«La solita disordinata! Avrà lasciato un asciugamano o l’accappatoio per terra…» borbottò.
Forzò un po’ quel tanto per poter entrare. Guardò dietro la porta. Un accappatoio rosso era a terra. Pendeva da un braccio insanguinato che usciva dalla vasca, bloccando la porta a metà. Il corpo della signora era nella vasca. Ma era irriconoscibile. Il viso rosso di sangue, sfigurato e tagliuzzato. Le spalle ed i seni ben formati mostravano orribili ferite. La vasca piena per metà d’acqua arrossata dal sangue. Il resto del corpo s’intravedeva appena sotto quel lordume. La gola di Antibe si chiuse. Non riusciva a gridare. Come se qualcuno le avesse tolto il fiato, con un pugno alla bocca dello stomaco. Si girò verso il lavandino e vomitò tutta la colazione del mattino. Un sapore acre le rimase in bocca. Uscì dalla stanza correndo verso la cucina. Si sciacquò le labbra aprendo il rubinetto dell’acqua fredda, lavandosi ripetutamente anche il viso ed il collo, finché la pressione del sangue diminuì. Uscì sul terrazzo. Per non cadere strinse con forza le mani alla ringhiera, restando dritta in piedi, respirando profondamente. Quando si rese conto che le gambe non l’avrebbero tradita rientrò, afferrò con le mani tremanti le chiavi dalla borsa e corse verso l’ingresso. Uscì sul pianerottolo, sbattendo la porta dietro di se. Scese a precipizio i tre piani di scale, facendo attenzione a non cadere. Arrivata nel grande androne della palazzina vide, dietro la vetrata che correva tutt’intorno al piano terra, August che stava tagliando una siepe ad una ventina di metri. Aveva tra le mani un piccolo tagliaerba elettrico giallo. Sembrava un artista, intento a completare un’opera d’arte. Abbassava l’attrezzo, dava una sfumatina alla pianta. Poi rialzava l’attrezzo e, allontanandosi di un passo, ne osservava il risultato.
Antibe pigiò il pulsante rosso dell’apriporta, che fece clic. Spinse il grande cristallo e si diresse correndo verso August, mentre la vetrata si richiudeva, con un nuovo clic. Osservandoli da dietro la vetrata, Antibe ed August sembravano gli attori di un vecchio film muto. Si muovevano, agitavano le braccia, ora in su ora in giù, si mettevano le mani nei capelli, si abbracciavano. Avrebbe potuto essere una delle tante comiche di Charles Chaplin. Ma non era così.
Lunedì, 30 Settembre, ore 10,00
Anche se Didier si era fermata spesso davanti alle vetrine, dopo circa un’ora aveva visitato quasi tutte le strade principali del centro. Una piantina, regalatale dal gentilissimo signor Garni titolare dell’albergo, l’aveva aiutata ad orizzontarsi con facilità. Per riposarsi, tornò sui suoi passi e, attraversata una grande piazza, si sedette ad uno dei tavolini del bar Il Commercio davanti ai grandi magazzini Manor, ordinando un bicchiere di vino rosso. I discorsi di due distinte signore, sedute al tavolo vicino, la misero nuovamente di buon umore.
«…Lui ha detto che vuole farla finita…»
«Con te?…»
«No, con la vita… È stanco, dice lui… Dice che non posso dargli più di quello che gli ho dato sino ad ora…»
«Ma è pazzo? Dopo quello che hai fatto per lui e per la sua carriera…»
«La verità è che ha trovato sicuramente un’altra… Ma non ha il coraggio di confessarlo…»
Si interruppero, distratte dal pianto di un bimbetto che, uscendo da Manor con la madre, urlava disperatamente che gli comprasse delle caramelle.
Lunedì, 30 Settembre, ore10,45
Carlo Lamberti, commissario della polizia criminale di Lugano, arrivò insieme a due ispettori nella casa di Katharina Frisch, senza sirena. Di statura più alta della media, snello, capelli corti e scuri, dimostrava qualche anno di meno dei