Libribus
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Ecco dunque una guida veloce su tanti libri per scoprire da quale iniziare con trepidazione. Da Volo a Frediani, Da Scarrow ad Angela, da Cervo a Baldini, da Lama a Manfredi, passando per Junger, Falcones, Cemeron e tanti altri, cercheremo di fare un po' di luce seminando chiavi di lettura qua e là.....
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Libribus - Bonanno Giuseppe Floriano
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Libribus
Libribus
di Giuseppe Floriano Bonanno
Prologo
Prologo
Intorno a noi, e con noi, ci sono, da sempre, stati i libri, a centinaia, ora disposti in ordinati ripiani sulle librerie, spesso gettati alla rinfusa, in scomposte mucchie, autentiche macchie di colore, dalle grandezze e dalle dimensioni diverse, talvolta chiusi in scatoloni, dimenticati...
Così era, ed è sempre stato, per secoli, ma il progresso, che ha cambiato in modo così radicale il mondo che ci circonda ed in cui viviamo, è intervenuto a mutare anche le nostre abitudini nel campo della lettura, e non poteva essere diversamente!
Accanto al tradizionale libro cartaceo ecco entrare, prepotentemente, nelle nostre esistenze, il libro elettronico: l'e-book, con i vari supporti previsti, ideati e sfornati per potersene cibare.
Ma resta sempre il problema che leggere abbisogna di tempo, di concentrazione, di desiderio e, di libri da leggere ne escono migliaia ogni mese, come fare allora?
Accanto all'artista, che esso sia un pittore, uno scultore, un cineasta, un cantante, un architetto, uno scrittore, c'è sempre un critico, quello che guarda, legge, osserva, ascolta e, poi, esprime il suo giudizio o, più semplicemente, offre una o più chiavi di lettura sul prodotto finale.
Questo scritto vuole dunque essere uno sguardo rapido, ma articolato, su tanti libri, di generi ed autori diversi, utile ad accendere, e mi auguro non a spegnere, nel lettore la curiosità e la voglia di leggere a sua volta e di confrontarsi.
Buona lettura dunque e, soprattutto, buone, e tante, future letture!!!
Ernst Jünger: un Freddo Sguardo sugli Orrori della Guerra
apr 24, 2015
1914 – 1918: anni terribili che videro scoppiare quello che, fino alla Seconda guerra mondiale, fu il più grande conflitto armato mai combattuto. 2014 – 2018: gli anni del centenario (ricordiamo che l’Italia entrò in guerra solo nel 1915), importante anniversario che si spera possa aiutare a capire meglio cosa accadde e soprattutto a non dimenticare.
Tra tante commemorazioni, manifestazioni, mostre, e quant’altro utile a rendere attuale quel periodo, anche l’editoria ha contribuito al ricordo
con alcune nuove opere, ma anche con tante ristampe di quelli che sono a ragione considerati i cult
sulla Grande guerra e con cui, negli anni dell’adolescenza, a scuola o per diletto, siamo quasi tutti venuti a contatto.
Ernst Jünger (1895 – 1998)
In questo contesto va inserito senz’altro Nelle tempeste d’acciaio (Guanda – traduzione di Giorgio Zampaglione) di Ernst Jünger, magari non famoso come Niente di nuovo sul fronte occidentale di Erich Maria Remarque o Addio alle armi di Ernest Hemingway, ma considerato, non a torto, una delle opere più importanti e vive sulla Prima guerra mondiale.
Ernst Jünger prese parte al conflitto, finendolo con il grado di tenente, nel reggimento Gibraltar
di Hannover, di cui era originario, e partecipando a quasi tutte le maggiori battaglie sul fronte occidentale, dalla Somme a Cambrai, da Passchendaele alle Fiandre, fino alle ultime grandi offensive del 1918. Fu ferito ben quattordici volte.
Accorso entusiasta come volontario, come tanti studenti dell’epoca, il suo comportamento in prima linea divenne leggendario, elevandolo al rango di vero eroe tedesco, tanto da venire insignito di tutte le onorificenze previste nell’esercito germanico, compresa quella più importante: l’Ordre pour le mérite.
Amante della letteratura, e grande osservatore, Ernst portava sempre con sé un taccuino su cui era solito appuntare, con stile freddo ed asciutto, tutto quello a cui assisteva e partecipava; il padre lo spinse, dopo il conflitto, a trarne un libro, che, pubblicato nel 1920, avrebbe voluto intitolare, in onore del suo amato Stendhal, Il rosso e il grigio, dai colori mesti ed uggiosi della guerra nelle trincee, salvo poi scegliere Nelle tempeste d’acciaio ispirandosi ad un poema medioevale islandese.
Copertina dell’edizione digitale di Nelle tempeste d’acciaio (Guanda, 2014)
Il volume che ne è uscito fuori si può a ragione definire come la più agghiacciante testimonianza sulla Prima guerra mondiale, testimonianza resa con acuto, sovrumano, senso di osservazione, e raccontata con una prosa fredda e cristallina, a tratti quasi imbarazzante nel suo partecipato distacco.
Nelle pagine di Jünger non si trovano richiami politici o dissertazioni filosofiche, come in tanta della prosa successiva al conflitto, ma solo una raccolta di immagini e sensazioni assolutamente schiette, vere, crude, talvolta anche asettiche, che il giovane colleziona, da soldato ormai incallito.
Tutto viene annotato come se stesse passando attraverso l’obiettivo di una telecamera, senza quasi alcuna partecipazione emotiva, le scene, cruente ed orribili, degli scontri e delle morti, si susseguono, quasi senza soluzione di continuità, alternandosi con le quasi bucoliche scene di vita nelle trincee, quando la battaglia è solo un rombo lontano, o con quelle quasi normali
dei momenti passati nelle retrovie, ospiti, più o meno sopportati, delle case degli abitanti francesi e belgi del luogo.
Non c’è spazio per le debolezze, né per i sentimenti: il cameratismo che sappiamo essere il cemento che permette di vivere le tragiche esperienze di guerra, facendo di un gruppo di soldati qualcosa di simile ad una famiglia, si respira tra le righe ma senza mai diventare protagonista, benzina che permette di sopravvivere.
Non ci sono, come ad esempio in Niente di nuovo sul fronte occidentale, degli altri
che assurgono a personaggi reali, ma solo una lunga sequenza di cognomi, da Kjus a Haller, dal piccolo
Schultz a Schlager, che accompagnano, per momenti più o meno brevi, il nostro eroe, ma di cui nulla sappiamo in più di quel che Ernst ci racconta durante le azioni. Lo stesso nemico è quasi un’entità astratta, che sia inglese, francese, indiano, scozzese, neozelandese, è sempre e soltanto quello che sta dall’altra parte, da ammirare e rispettare certo, ma da abbattere e distruggere senza alcun tentennamento quando se ne ha l’occasione. Non ci sono, dunque, parole o incontri o momenti di solidarietà in cui l’altro diviene uomo di carne ed ossa.
Immagine tratta dal film Les croix de bois (1932) di Raymond Bernard
Nelle tempeste d’acciaio mantiene una sua omogeneità inconfondibile, grazie anche alla sua cifra stilistica che è chiara e lineare, regalandoci una tensione costante resa dalla fredda sequela di avvenimenti, azioni, pensieri. L’autore si pone di fronte alla realtà e ce la restituisce, pari pari, senza nulla concedere all’enfasi, alla retorica, alla partecipazione emotiva, conferendole un’autonomia di cui solo il genere epico è capace. Per questo e tanto altro l’opera godette di alterne fortune ed ambigui entusiasmi tra gli anni Venti e Trenta, confermandosi in ogni caso come una pietra miliare, un unicum nell’ambito della letteratura di guerra.
Per la sua specificità il libro in Germania fu molto letto ed analizzato sia durante la Repubblica di Weimar che durante il periodo nazista, in cui la figura dell’Ernst soldato verrà esaltata e idolatrata, finendo per divenire il simbolo dell’ariano tedesco, impavido, obbediente, affidabile, letale, asettico, intrepido. In Italia l’opera apparve, per dirla tutta, solo nel 1961, circolando prevalentemente in ambienti e circoli di destra come testimonianza di un Reich eroico ed invitto.
Immagine tratta dal film Les croix de bois (1932) di Raymond Bernard
Jünger scrisse in seguito tante altre opere, alcune, come Boschetto 125 e Fuoco e sangue, ancora legate alle sue esperienze di trincea, riuscendo pian piano ad essere considerato vero letterato (le sue indubbie doti di acuto osservatore, dallo stile impeccabile, ne fanno uno dei massimi autori tedeschi del Novecento) e a liberarsi di quel ruolo scomodo di eroe senza macchia, a lungo strumentalizzato per fini politici.
Nelle tempeste d’acciaio è dunque un volume da leggere tutto d’un fiato, sapendo già di doversi preparare a vivere in uno stato di tensione emotiva costante, chiamati ad osservare l’asettico orrore di quell’immane mattatoio che fu la Prima guerra mondiale.
Maria Grazia Siliato: gli Eroi di Famagosta
Apr,10 2015
In uno dei miei giri tra le bancarelle dei libri usati mi sono imbattuto, casualmente, in un romanzo storico, edito da Mondadori, ma attualmente fuori commercio e praticamente introvabile: L’assedio(1995) di Maria Grazia Siliato. Un volume che consiglio, senza remore, a tutti gli amanti del genere e a chi voglia sapere qualcosa in più sull’epoca delle Repubbliche marinare e delle lotte contro l’Impero ottomano.
Maria Grazia Siliato è una storica ed archeologa nata a Genova, ma di nazionalità svizzera. Grande studiosa di culture dell’Oriente Mediterraneo, ha compiuto numerosi viaggi di ricerca (Cipro, Turchia, Israele, Egitto), che le hanno permesso di raccogliere tantissimo materiale poi utilizzato nelle sue pubblicazioni. Tra i suoi romanzi possiamo ricordare Caligula (Mondadori, 2005),Masada (Rizzoli, 2007) e il recentissimo Il sangue di Lepanto (Rizzoli, 2015).
Copertina del romanzo L’assedio (Mondadori, 1995)
Siamo a Cipro, nel 1571, più precisamente a Famagosta, dove, da quasi un anno, ingenti truppe ottomane (si parla di oltre duecentomila uomini) cingono d’assedio la città protetta, all’inizio delle ostilità, da settemila soldati della Serenissima
. La difesa della città-fortezza è affidata al prefetto civile, il veneziano Marcantonio Bragadin, e al capitano di ventura, il perugino Astorre Baglioni, ingegnere militare e comandante delle truppe cittadine.
Quella di Famagosta fu una delle pagine più epiche mai scritte dalle armi italiche, inequivocabile dimostrazione della falsità con cui sempre si è dipinto l’italiano ingiustamente ritenuto pavido, incapace di combattere ed inetto: i difensori della fortezza tennero testa ad un esercito nemico immenso, facendo pagare alla Sublime Porta
un prezzo sproporzionato per una vittoria amara. Ma la loro sorte fu terribile, indicibile addirittura quella di Bragadin.
Da questo scenario l’autrice prende le mosse per realizzare un romanzo in cui il generale ed il particolare, l’oggettivo e l’intimo, si fondono perfettamente e così, su due piani distinti, ma strettamente connessi, si consuma la tragedia collettiva e quella dei singoli; chiaro è l’assunto della Siliato: arriva sempre per ognuno di noi il momento in cui si è chiamati a rendere prova del proprio essere e delle responsabilità verso sé stessi e gli altri. Ci colpisce la precisione della documentazione che ci permette di entrare a Famagosta, sentendo quasi il profumo del mare e della vegetazione, ma anche, e, soprattutto, di respirare, fin quasi a soffocare, l’atmosfera cupa e claustrofobica che l’assedio determina giorno dopo giorno. La descrizione delle battaglie, oltre che certosina