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Un caso televisivo: la vicenda “Costa Concordia” e la crocifissione mediatica del Comandante Schettino: Il naufragio dell’informazione con opinionisti, conduttori, giornalisti
Un caso televisivo: la vicenda “Costa Concordia” e la crocifissione mediatica del Comandante Schettino: Il naufragio dell’informazione con opinionisti, conduttori, giornalisti
Un caso televisivo: la vicenda “Costa Concordia” e la crocifissione mediatica del Comandante Schettino: Il naufragio dell’informazione con opinionisti, conduttori, giornalisti
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Un caso televisivo: la vicenda “Costa Concordia” e la crocifissione mediatica del Comandante Schettino: Il naufragio dell’informazione con opinionisti, conduttori, giornalisti

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Un’analisi a sfondo sociologico di alcuni meccanismi delle comunicazioni di massa, nello specifico del mezzo televisivo. L’osservazione, con un approccio critico oltre che descrittivo, delle modalità con cui la televisione ha trattato la vicenda/naufragio della “Costa Concordia”. Sotto osservazione sono l’atteggiamento dei giornalisti, conduttori e opinionisti della tv. L’approccio al caso da parte del sistema della comunicazione e dell’informazione televisive, dal punto di vista di una sociologa e studiosa di mass media (nipote di navigante di Meta di Sorrento), ha suscitato grande interesse.
LanguageItaliano
Release dateDec 23, 2014
ISBN9788865378991
Un caso televisivo: la vicenda “Costa Concordia” e la crocifissione mediatica del Comandante Schettino: Il naufragio dell’informazione con opinionisti, conduttori, giornalisti

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    Un caso televisivo - Anna R. Canelli

    2014

    Introduzione

    L’elemento da cui il presente lavoro trae origine è il drammatico naufragio della nave da crociera Costa Concordia, avvenuto nei pressi dell’isola del Giglio venerdì 13 gennaio 2012. Un evento di cronaca, dunque, del quale tuttavia non si intende fornire mero resoconto né semplicemente illustrare la sequenza dei fatti.

    Cercherò di spiegare i motivi che sono alla base di tale scelta e il tipo di approccio che la sostiene.

    Si tratta di una trama intessuta di passione che vuole però svilupparsi anche in virtù di un discernimento critico, razionalmente fondato.

    Parlo di passione riferendomi a un personale coinvolgimento, non nell’accaduto in sé ma nella cultura che lo avvolge con i suoi protagonisti. È la cultura del mare e della navigazione, è un mondo che mi appartiene per storia personale, ambiente di provenienza, tradizione familiare.

    Quel mondo è fatto di memoria e credenze, di atmosfere e suggestioni, di mille storie ascoltate, infine di conoscenze acquisite. Più avanti sarà approfondito questo aspetto dagli affascinanti risvolti antropologici.

    Portarsi dentro un piccolo universo e riconoscerlo parte della propria vita conduce al coinvolgimento che ho definito passionale. Le emozioni, perciò, muovono l’interesse, non costituendo però la sola linfa che alimenta l’osservazione dell’evento.

    Il verificarsi di fenomeni mediatici, televisivi particolarmente, in corrispondenza di accadimenti drammatici e dal forte impatto, è di palmare evidenza.

    Si potrebbero citare vari esempi, ma qui si esamina il più recente, appunto quello clamoroso della Costa Concordia.

    Un’indescrivibile e chiassosa rincorsa al fatto è scoppiata sulle reti televisive, con una programmazione che fino all’inverosimile ha cercato di fornire descrizioni, rappresentazioni e commenti, finendo con il creare una dimensione dai caratteri salienti, realtà a sé stante e avulsa dal proprio oggetto, estranea al compito dell’informare.

    Un segmento significativo del fenomeno deve essere individuato in un tratto di interpretazione che ha accomunato osservatori e cronisti: la spiegazione dell’evento attraverso la ricerca catartica del capro espiatorio, attraverso la colpevolizzazione esclusiva di un uomo, il comandante della nave Concordia.

    Un simile orientamento di pensiero mi è sembrato illogico e inaccettabile fin dall’inizio della vicenda, a onta del possente coro televisivo che imperversava. Lo affermo con cognizione e spirito critico, non sull’onda emotiva dell’appartenenza a un territorio di origine che mi accomuna a quella persona. Nessuna difesa aprioristica, ma volontà di giungere a rappresentazioni congruenti.

    L’analisi dei comportamenti televisivi di fronte al fatto costituisce altro asse portante di questo lavoro, in una prospettiva anche sociologica.

    Ci riguardano la manifestazione e lo sviluppo di taluni meccanismi dei programmi televisivi di informazione, nonché ruoli e figure che in quell’ambito vanno affermandosi.

    Particolarmente, sarà oggetto di riflessione il ruolo degli ospiti chiamati al commento e al racconto dei fatti, coloro che si usa definire opinionisti.

    Una serie di comunicazioni in forma di e-mail andrà a costituire la struttura del presente lavoro, con spazi di intervallo in cui potranno svolgersi descrizioni e riflessioni in funzione di collegamento e ampliamento del discorso.

    Le comunicazioni sono state elaborate successivamente alla visione dei segmenti di programmi televisivi, soprattutto delle reti RAI e Mediaset, dedicati alla vicenda Concordia, e trasmesse alle rispettive redazioni. Si è cercato in questo modo di dar vita a una sorta di contraddittorio, un dialogo a distanza tra chi fa un certo genere di televisione e chi osserva il prodotto dal punto di vista di una riflessione a carattere sociologico. Si è voluto specialmente analizzare il significato, il comportamento e il ruolo di una pletora di soggetti, i commentatori intervenuti nei diversi programmi sull’argomento in questione, cercando di comprendere quale logica sottenda l’impostazione data dagli autori.

    Alcune delle diverse articolazioni (i singoli messaggi) saranno pressoché simili tra loro nella premessa, per poi differenziarsi sulla base di considerazioni svolte in rapporto al contenuto specifico del programma.

    Un punto saliente sarà quello del contributo recato dai commentatori televisivi, in termini di apporto comunicativo e incremento di conoscenza. Una prima, sintetica annotazione su quelle figure porterebbe a concludere che, il più delle volte, il criterio di scelta sta nell’appartenenza a circuiti chiusi e privilegiati, parrocchie o conventicole che amalgamano ordini professionali, dirigenza televisiva, appartenenze politiche. Anche da qui parte il fastidioso (per il pubblico) fenomeno del protagonismo, dei soliti volti onnipresenti.

    Naturalmente, pur nell’ambito di un canovaccio omogeneo nei suoi tratti salienti, si osserveranno quelle differenze di atteggiamento tra il giornalista-opinionista che appare riservato e prudente e l’altro che tende a esibirsi in chiassose invettive.

    Solo a scopo esemplificativo, un programma che a lungo ha dato risalto al nostro evento, creando al proprio interno uno spazio apposito a cadenza quasi quotidiana, è Italia sul 2, condotto da Infante in fascia pomeridiana. Si parlerà poi della galleria di personaggi che hanno animato la scena di questa trasmissione.

    Qui basterà accennare a qualcuna delle loro esternazioni per farsi un’idea iniziale dello spessore dell’impianto e della forza dei contributi forniti da ciascuno. L’affermazione-modello è riferita al comandante della Concordia e contiene la speranza o l’augurio che questi non abbia più pace nella sua vita.

    Premesse psicologiche e ragioni di questo lavoro

    Se è vero che una decisione può essere influenzata da svariati motivi che concorrono a determinarla, vorrei brevemente raccontare qualcosa di personale e descrivere le ragioni per le quali ho voluto intraprendere un lavoro sul caso della Costa Concordia.

    È ben evidente come la dimensione televisiva dei caso abbia di molto sopravanzato l’oggettiva entità dell’accaduto, fino a configurare una specifica costruzione mediatica.

    Riguardo all’aspetto personale, devo riferirmi necessariamente al mio amore per Meta, dove ho vissuto i primissimi anni di vita: un’esperienza che instaura un legame indissolubile e segna la memoria e lo spirito. Meta è un paesino affascinante, per le sue stradine strette e le grandi case dagli alti soffitti, per i suoi profumi e per i colori. Il giallo dei limoneti, il blu del mare rimangono impressi nella mente, così come le sensazioni legate alla biancheria profumatissima riposta nei cassettoni in casa di mia nonna.

    Man mano che seguivo in tv gli sviluppi della vicenda Concordia riaffioravano in me certi ricordi e i contenuti di racconti lontani da sempre ascoltati, racconti di mare e di naviganti. Gli abitanti della Penisola Sorrentina sentono parlare quotidianamente della vita di bordo dei marittimi; chi ha familiari e parenti che fanno quel lavoro sa molto bene che si tratta dell’argomento predominante di conversazione, in casa e in strada. Il ritorno a casa di una persona di famiglia dopo un periodo di navigazione è vissuto come una festa, un momento che celebra qualcosa di bello ritrovandolo nel senso di appartenenza, nello scampato pericolo, nella devozione e in una forte identità. È dalla profondità di un tempo risalente all’infanzia che sgorga un ondeggiare lieve e struggente di oggetti nell’anima, capaci di fondersi in una percezione unica: sono i ricordi della festa di sbarco insieme con gli odori, i suoni e una luce assoluta che imprime nei colori bellezza e vigore.

    Di fronte allo scempio compiuto dai media (in primis a televisione) sul caso della Concordia, una sociologa e studiosa delle comunicazioni di massa, nipote di un navigante metese e figlia di quella dolce terra, non poteva rimanere in silenzio.

    Inizialmente l’intento era solo quello di svolgere qualche riflessione a sfondo sociologico sul pessimo modo di fare informazione televisiva. Poi, però, mi sono resa conto che l’oggetto richiedeva un approccio più incisivo e un maggiore approfondimento, poiché progressivamente si manifestavano i risvolti peggiori della comunicazione mediatica e della maniera di fare giornalismo.

    Dopo il drammatico incidente della Concordia è stata eretta una sorta di impalcatura idonea a sostenere un flusso inarrestabile di superficialità, falsità e sciocchezze. L’intreccio di tanti elementi ha costituito una trama con scopi ben diversi da quelli dell’informare onestamente e del ricercare la verità dei fatti. Abbiamo assistito a un’intollerabile escalation di giudizi disonesti espressi a sproposito da giornalisti e opinionisti televisivi, al trionfo del vaniloquio.

    Mi domandavo, con rabbia e amarezza, cosa certa gente, che si divertiva a distruggere l’immagine del comandante di Meta, sapesse di quei luoghi, di quel mondo e dei naviganti della mia terra. Per tutto questo mi piace dire che, in un certo senso, non ho scelto io di scrivere il testo in questione, ma è esso stesso che mi è venuto incontro, scegliendomi.

    Mi piacerà anche dedicare il mio lavoro a tutti coloro che amano il mare e ne vivono la cultura e i valori più autentici, oltre che, naturalmente, a chi è interessato allo studio dei meccanismi massmediatici.

    Spero sia finalmente chiara una verità. Se il naufragio della Concordia ha rappresentato, in presenza di vittime, una sciagura, a esso si sono accompagnati altro naufragio e altra sciagura, pure drammatici: quelli dell’informazione, del giornalismo, della televisione.

    Il fatto. Naufragio della Costa Concordia

    La sera del 13 gennaio 2012 la nave passeggeri Costa Concordia, della società armatrice Costa Crociere, è in navigazione nel Tirreno, di fronte alla costa toscana, con circa tremila passeggeri a bordo. In ossequio alla diffusa pratica di navigazione turistica, si è deciso che la Concordia faccia un passaggio ravvicinato davanti all’isola del Giglio (è la consuetudine del saluto della nave da crociera, il cosiddetto inchino).

    Per cause che rimangono da accertare e chiarire a fondo, la rotta seguita risulta essere ravvicinata più del normale, e la velocità troppo elevata nella circostanza (sembra si tratti di 16 nodi contro i 4 abituali sotto costa). Una contraddizione apparentemente inspiegabile, giacché è la stessa pratica del saluto che richiede, per sua natura e per logica, una velocità della nave molto ridotta durante il passaggio. Alle ore 21:42 la Concordia urta lo scoglio delle Scole, presso l’isola del Giglio. La roccia apre uno squarcio di circa settanta metri sulla fiancata sinistra. Fuori controllo, la nave comincia a imbarcare acqua. I passeggeri avvertono l’urto, va via la luce, si accende l’illuminazione di emergenza.

    Successivamente la nave perde stabilità e comincia a inclinarsi, viene dato l’ordine di evacuazione e si calano, con difficoltà, le scialuppe di salvataggio.

    Secondo il sistema che permette di ricostruire la rotta delle navi (Ais-Automatic identification system), alle ore 21:37 la Costa Concordia viaggia a 15,9 nodi, con rotta 276, verso Cala delle Caldane. Dopo l’impatto con lo scoglio, con i motori fuori uso e una diminuita velocità, prosegue verso nord-est. Doppiata la Punta del Lazzaretto, la nave comincia a ruotare su se stessa in senso orario, descrivendo un occhiello che la riporta indietro.

    Infine, ruotando di 180°, si incaglia su una secca di fronte alla Punta del Lazzaretto. L’incidente provoca la morte di trentadue persone tra i passeggeri, per annegamento conseguente alla rotazione della Concordia.

    E-mail inviata a La vita in diretta, RAI 1, 24 gennaio 2012

    Mi chiamo Anna, cinquantenne e nativa di Piano di Sorrento. Vivo a Bologna da una decina d’anni.

    Posso dire che, fin da quando ero in grembo a mia madre, ho ascoltato racconti di mare, storie di gente che va sull’acqua salata rimanendo mesi e mesi lontano da casa. Il mio nonno materno ha lavorato sul panfilo reale di Vittorio Emanuele e della regina Elena di Savoia. Anche molti altri della mia famiglia, zii, cugini, si sono a suo tempo imbarcati ed hanno lavorato in mare.

    Quasi non c’è famiglia della penisola sorrentina che non abbia avuto almeno un componente con esperienza di imbarco.

    Ancora, il mio primo fidanzato è stato il più giovane comandante d’Italia. So molto bene che si tratta di un lavoro usurante, che nasconde insidie e pericoli, e loro, gente di mare, sono consapevoli che con il mare non si può sbagliare, non si possono commettere bravate! Sono sottoposti a selezioni rigidissime e a una disciplina ferrea. Ogni imbarco potrebbe essere l’ultimo, proprio per i rischi insiti in quel tipo di lavoro, e tanti non sono mai più tornati a casa.

    Rimane tragicamente nella memoria il naufragio del mercantile Marina di Equa nel golfo di Biscaglia, anno 1981.

    Dicevo che ho ascoltato tanti racconti di mare e partecipato a tante feste di sbarco. Sì, lo sbarco è vissuto nel senso antropologico come una festa, lì dove si celebra lo scampato pericolo (nelle chiese ci sono tanti ex voto). Le famiglie attendono con ansia quel giorno e il rientro è considerato un vero miracolo.

    Conosco bene la personalità dell’uomo di mare: è un lavoro che intraprendono con passione e con forte spirito di abnegazione e di sacrificio.

    Riguardo al recente evento della Costa Concordia, naufragata in prossimità dell’isola del Giglio, premetto che non ho conoscenza diretta del comandante Schettino ma, considerata l’età di quest’ultimo, presumo che non fosse al suo primo viaggio in mare.

    L’osservare certi contenuti di informazione televisiva in questo periodo sta facendo maturare in me la convinzione che il personaggio sia divenuto oggetto di un processo frettoloso e perciò ingiusto, che si stia rappresentando una sorta di crocefissione mediatica. Appare deleteria e insana l’opera di commentatori e opinionisti che hanno voluto puntare l’indice esclusivamente sulla base della loro carente conoscenza dei fatti.

    Vorrei esprimere tutta la mia delusione per quanto ho osservato e ascoltato, questo pomeriggio, nel segmento condotto da Mara Venier.

    Uno degli opinionisti in studio, Roberto Alessi, ha definito il comandante della Concordia un delinquente, senza che la conduttrice prendesse minimamente le distanze da un simile comportamento, offensivo e arrogante, dissociandosi o richiamando l’ospite.

    Opportunamente faccio notare il diverso atteggiamento di altro conduttore televisivo, Milo Infante, nel corso del programma Italia sul 2, qualche giorno fa. Infante ha saputo fronteggiare con eleganza una situazione analoga, quando tale Guendalina Canessa, ospite in studio, ha parlato con ilarità di Schettino il cretino. Lì è intervenuto il conduttore che, con garbo e fermezza, ha fatto notare all’ospite quanto fosse inopportuna quell’affermazione, invitandola ad assumersi la responsabilità di una frase detta a sproposito in quel contesto e di uno stile da lui non condiviso.

    Concludo con un’annotazione di carattere sociologico, tornando allo spunto di partenza.

    Una nave e il suo equipaggio costituiscono una piccola comunità, in cui hanno luogo rapporti gerarchici, scambi, relazioni di tipo sociale e, per questo, anche contrasti, dissidi, situazioni. conflittuali.

    Può diventare difficile, in quella sorta di famiglia allargata, mantenere un clima di armoniosa collaborazione tra gli stessi componenti dell’equipaggio e governare una rete di rapporti dai contenuti e significati più vari.

    E-mail inviata a La vita in diretta, RAI 1, 26 gennaio 2012

    Ancora una volta, due giorni dopo la precedente comunicazione, vi scrivo in merito alla Costa Concordia e al modo in cui vengono gestiti gli interventi dei tanti opinionisti. Prendo atto che il comandante Schettino è ormai il vituperio del momento, tuttavia non posso esimermi dall’invocare, anzi pretendere, equilibrio, buon gusto e sensatezza nei programmi televisivi. Un’affermazione, in particolare, mi ha piccato: quella del giornalista Pier Luigi Diaco, secondo il quale il comandante avrebbe commesso una guapperia. Preciso che ho sempre stimato Diaco (ascoltavo un suo programma in radio), ma qui osservo mancanza di aplomb professionale. L’affermazione è gratuita e infondata, oltre che priva

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