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Come aquiloni... o quasi
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Ebook494 pages6 hours

Come aquiloni... o quasi

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About this ebook

381 pag

Dalla quarta di copertina:

“I figli sono come gli aquiloni, passi la vita a cercare di farli alzare da terra” (E.Bombeck)

Ma non tutti i figli voleranno via... liberi e soli come è giusto che sia.

Alcuni si impiglieranno nei rami di un albero, altri, troppo goffi e pesanti, o forse malcostruiti, a fatica si alzeranno da terra per ricadere subito dopo voli brevi e certamente non arditi, altri ancora magari riusciranno a volare... ma non potranno mai "spezzare il filo"...

La forza del genitore sarà anche in quel caso quella di correre insieme a loro... magari più piano, meno spesso, e alla fine, quando correre non avrà più senso né scopo, sedersi ed abbracciarli, con la tenerezza di chi sa di aver fatto solo ciò che un genitore "deve" fare... amare il proprio aquilone. (Alessandro Mosconi)

Il volume “Come aquiloni… o quasi” tratta di disabilità e normalità, partendo dalla originale esperienza dell'Autore come padre di tre figli, due dei quali disabili intellettivi per diverse condizioni genetiche casuali: raccoglie similarmente ad un colorato patchwork frammenti di vita vissuta, esperienze e sentimenti, in modo solo apparentemente (e volutamente) un po’ casuale… proponendosi in modo serio ed al tempo stesso ironico, pieno di speranza e disincanto… gioia e dolore… così come normalmente è la vita dei genitori “disabili”.

Uno stupendo l'AbbeceDario che fa da contrappunto ai singoli capitoli dimostra attraverso una sottile e spesso irriverente ironia quanto poco si conoscano queste persone e quanto radicati e dannosi siano spesso tanti stereotipi e comportamenti.

Un'anteprima del libro e il booktrailer sono visibili sul sito ad esso dedicato www.comeaquiloni.com

Del libro esiste anche la versione su carta, uscita a Dicembre 2010, 496 pag, Ed. Tracce

LanguageItaliano
Release dateMar 26, 2012
ISBN9788863697841
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    Book preview

    Come aquiloni... o quasi - Alessandro Mosconi

    Come aquiloni… o quasi

    Alessandro Mosconi

    A tutti gli aquiloni

    che prima o poi nella vita

    hanno provato la paura

    e la gioia di spiccare il volo,

     il dolore e la vergogna

    del fallimento

     schiantandosi a terra…

    …ed il desiderio di riprovarci.

    La quasi totalità dei brani raccolti in questo libro è tratta dal forum di discussione su internet www.pianetadown.org, strumento di informazione, discussione e condivisione dell’Associazione PianetaDown, di cui l’Autore è consigliere.

    Dario ha un sito internet www.darioweb.com, e la mail cui scrivere eventuali commenti è comeaquiloni@gmail.com

    In copertina: Idillio II, olio su tela di Valentina Minutoli, 2010 (visita il sito www.trattieritratti.net).

    Indice

    Indice

    Prefazione

    Introduzione

    Prologo

    Dario, 1987

    Simone, 1991

    Marialetizia, 2000

    Una vita… a tre velocità

    AbbeceDario (s)ragionato sulla Sindrome di Down e la disabilità in genere

    A come Affettuosi:

    B come Benevoli, Buoni:

    C come Castrati:

    D come Down… oppure Daun:

    E come Eterni bambini:

    F come Fantastici, Fenomenali:

    G come Generati:

    H come… come… ah già: Handicappati!

    I come… Idiota mongolo:

    JK come J.K.

    L come Lavoratori:

    M come Mongoloidi :

    N come Nati

    O come Ostinati, Oppositivi:

    P come Pigri

    P come Pigri

    Q come Quarti:

    R come Ritardati mentali:

    S come Semplici:

    T come Testoni, Testardi, Teste di… rapa, ecc:

    U come Unici:

    V come Vistosi:

    W come W… o WWW:

    X e Y come… XX e XY:

    Z come Zotico:

    Già… E se non ne fosse valsa la pena ?!

    EPILOGO

    Postfazione

    Prefazione

    Non prendere mai la vita troppo seriamente perché, comunque sia, non ne uscirai vivo.

    Jim Morrison

    Questo aforisma così come questo libro intenso, sofferto, tormentato, complicato, pensato - ma necessario e fortemente voluto dall’autore -, è per chi ama la vita e per le persone che la vivono seriamente senza mai rinunciare ad un pizzico di ironia. Perché il mio amico Sandro è così: sensibile ma concreto, dubbioso ma significativo, disincantato ma ottimista. Ottimista sì, perché l’essenza dell’ottimismo non è soltanto guardare al di là della situazione presente, ma è la capacità di stoppare con un fermo immagine momenti di vita vissuta traendone forza vitale, la forza di sperare quando gli altri si rassegnano, la forza di tenere alta la testa quando sembra che tutto fallisca, la forza di sopportare gli insuccessi, una forza che non lascia mai il futuro agli avversari perché il futuro lo rivendica a sé ed ai suoi tre meravigliosi e sorprendenti figli: Dario, Simone e MariaLetizia.

    Milena Portolani

    Mamma di Francesca

    Autrice del libro E’ Francesc@ e basta

    Consigliere dell’Ass. Pianeta Down

    Introduzione

    Richiudi il libro con un sorriso. Da un po’ di tempo hai ripreso gusto a leggere: anche questo volume è finito.

    Non ci hai messo più di tre giorni a leggerlo, nonostante il poco tempo a disposizione nella tua giornata media e le sue quasi 300 pagine.

    Ma il tempo passato in bagno il mattino, in coda sulla tangenziale andando o tornando dal lavoro (!) e qualche volta in pausa pranzo (tu, che a mezzogiorno non mangi mai da anni!), ti è stato sufficiente.

    Una lettura piacevole, coinvolgente e allo stesso tempo mai banale.

    E pensi: che bella la freschezza della scrittura di una ragazza di vent’anni alle prese con la scoperta della propria vita, in perenne lotta tra idealità e opportunismo, tra la razionalità innata e la sensualità esplosiva tipica dell’età, tra la necessità di trovare la propria identità originale nel mondo e il desiderio di confondersi nel branco, tra l’amore per i genitori e l’odio per ciò che rappresentano ai suoi occhi, che fondamentalmente si può riassumere nel desiderio di non diventare mai come loro.

    Un libro scritto tutto con frasi brevissime, quasi fossero slogan, a volte impressioni, più spesso sentenze, frecciate, a volte carezze, più di sovente epitaffi… pennellate di vita su una tela ancora in gran parte da dipingere, senza nessuna idea di quale sarà il risultato finale dell’opera; tutte tinte forti comunque, decise, senza tentennamenti se non quelli relativi alla scelta del colore da utilizzare, il bianco o il nero.

    Tu non sei così: a cinquant’anni suonati da un po’ il colore che con più frequenza incontri e vivi nelle tue giornate è il grigio, un grigio che il più delle volte non è grigiore, ma è fatto di sfumature, di bianco e di nero mischiati insieme in varie proporzioni, altre volte (e ti chiedi: quanto spesso?) è composto invece... solo di se stesso, di grigio.

    Talvolta non è facile distinguere le due diverse circostanze.

    E questo è triste, decisamente più triste del colore in sé, e dei tuoi frequenti tentennamenti quando sei costretto a scegliere tra le sue tonalità fumo di Londra e canna di fucile.

    Allora ti assale la voglia di vedere se c’è differenza tra questi due grigi, quello composto da un miscuglio di bianco e di nero e l’altro… se utilizzando qualche stratagemma, o l’esperienza accumulata in tanti anni di intensa vita interiore, ma non astratta, non sia in qualche modo possibile distinguere… il grigio buono, da quello cattivo, quando questi sono così simili nella loro tonalità da non poterne risalire all’origine.

    Ti viene voglia di cercare di gettare un ponte tra queste generazioni così diverse, la tua e quella, anzi quelle dei tuoi figli (perché al giorno d’oggi, le generazioni non sono più divise dal ciclo naturale della vita nascere-sposarsi-generare, appunto, ma sono molto più fitte, separate solamente da pochi anni di differenza, perché il mondo odierno corre veloce… troppo veloce rispetto ad un tempo, o forse solamente rispetto a te, che hai rallentato?!); un ponte per cercare di capire se c’è soluzione di continuità tra i vari periodi della vita, se si può individuare un momento in cui i colori diventano sfumature, o se questo processo fa parte della naturale evoluzione dell’esistenza e se l’originalità, la diversità di ognuno di noi, è tale solo in superficie e si uniforma in realtà con le originalità degli altri, nell’immenso calderone del tempo che scorre e che un abile, immaginario stregone rimescola, amalgamandone gli ingredienti, spesso apparentemente incompatibili tra loro.

    E tu di diversità… sei in qualche modo esperto, se non altro nel ruolo di padre, visto che almeno due dei tuoi figli… sono diversi… disabili… handicappati; e allora è giusto che tu parta da lì, da quella diversità così evidente, sfacciata, gettata in faccia a te e al mondo come si lancia una sfida, come si grida uno scandalo, come si racconta una barzelletta, come si urla un dolore. Perché spesso o forse sempre… nella comicità del quotidiano, sta la tragedia della vita, e nella tragicità dell’oggi sta la sua stessa leggerezza.

    Ma per provare a gettarlo questo ponte, è necessario voltarsi indietro e ripercorrere alcuni momenti significativi del tuo essere uomo, figlio, padre.

    Non avresti mai pensato di ritrovarti un giorno davanti allo schermo di un computer con poche idee, se non quella di scrivere un libro, ma con tanto vissuto da raccontare… eppure oggi, dopo tanto tergiversare, lo hai fatto.

    Il perché oggi, non lo saprai mai, o meglio non lo sapranno mai i pochi lettori che avranno la fortuna-sfortuna di incrociare le tue parole e la tua vita attraverso alcune pagine scritte durante minuti-ore strappate ad altre attività alle quali hai già sacrificato troppo tempo, troppa vita negli anni passati.

    Tuttavia sai da subito che non riuscirai a dipingere un quadro così chiaro come quello che hai appena finito di osservare nel libro che hai appena letto, o come quello appena prima … scritto da un comico francese che parlava di disabilità con professionale ironia… perché nel tuo di libro non ci saranno frasi corte e facili da comprendere, ma lunghi periodi pieni di incisi, richiami e citazioni, puntini di sospensione e punti di domanda, perché la vita è così, è un groviglio di fatti, desideri, rimpianti, gioie, dolori, scelte e casualità, certezze (poche) e dubbi (tanti), speranze, cose, persone ed avvenimenti che si influenzano a vicenda e che determinano il tuo e l’altrui futuro, in maniera quasi mai dipendente dalla volontà e dalla determinazione dei protagonisti.

    E siccome la vita è fatta anche… di piccoli episodi, è perciò questo lo stile che sceglierai per il tuo libro, non la grande storia, il melodramma, il romanzo… ma le piccole rivelazioni che nascono da episodi apparentemente insignificanti, tuttavia spesso carichi di significati espliciti e simbolici. Alcuni li hai già scritti, magari in un forum su internet dove le persone sono più disponibili spesso a mettersi in gioco, altri li conservi nel tuo cuore e alcuni di questi li scriverai sicuramente, ben sapendo tuttavia che è difficile trasporre su carta le emozioni ed i significati che solamente la vita vissuta fa sperimentare, altri ancora infine... la maggior parte probabilmente, devono ancora accadere.

    Non c’è alcuna pretesa però nelle tue intenzioni, nessun desiderio di insegnare alcunché a chicchessia, perché l’acqua che scorre calma verso la foce del fiume non può avvertire quella che zampilla dalla roccia alla sorgente, né quella che scende impetuosa lungo i fianchi scoscesi della montagna sa del resto cosa l’aspetta nel suo tragitto verso il mare; può solamente rallentare, girarsi indietro un attimo sfruttando qualche vortice della corrente ormai calma, per osservare, riflettere, piangere sorridendo… come capita a volte in cielo, quando appare un arcobaleno, mentre ancora sta piovendo… e cercando magari di imparare qualcosa da questa vita, che non smette mai di stupirti.

    Due extrasistoli, quel fastidioso anche se innocuo inconveniente che da pochi giorni si è sovrapposto nel tuo cuore a vecchi e nuovi problemi, ti ricordano improvvisamente che il tempo che ci viene dato o donato (a seconda di ciò in cui vogliamo credere) in questa vita non è infinito, ha una sua durata, è una risorsa limitata e va utilizzata, possibilmente al meglio.

    E’ perciò venuto semplicemente il momento di parlare, di raccontare, di raccontarsi. E allora su, dai... si comincia.

    Prologo

    I figli sono come gli aquiloni, passi la vita a cercare di farli alzare da terra.

    Corri e corri con loro fino a restare tutti e due senza fiato.

    E tu rappezzi e conforti, aggiusti e insegni.

    Li vedi sollevarsi nel vento e li rassicuri che presto impareranno a volare.

    Infine sono in aria: gli ci vuole più spago e tu seguiti a darne.

    E a ogni metro di corda che sfugge dalla tua mano, il cuore ti si riempie di gioia e di tristezza insieme.

    Giorno dopo giorno, l'aquilone si allontana sempre di più, e tu senti che non passerà molto tempo che quella bella creatura spezzi il filo che vi unisce e si innalzi, come è giusto che sia, libera e sola.

    Allora soltanto saprai di avere assolto il tuo compito...

    ERMA BOMBECK

    C'è una verità incredibile, naturale e stupenda in queste parole... scritte non da un filosofo o da un poeta… ma da un comico (e un comico donna!), una verità che è subito chiara ad un genitore disabile (quale sono io… abituatevi a questo linguaggio che trasferisce su di me ciò che in realtà è un problema di due dei miei tre figli), che da subito a differenza di tanti altri... intuisce immediatamente e più facilmente credo che questo sarà lo scopo della propria vita: aiutare il proprio aquilone... a volare via, da solo! Ma questa frase contiene anche una terribile verità per alcuni genitori, cui molti dei passaggi descritti sono probabilmente negati all'origine. Perchè non tutti i figli voleranno via... liberi e soli come è giusto che sia..., alcuni si impiglieranno nei rami di un albero, altri, troppo goffi e pesanti, o forse malcostruiti, a fatica si alzeranno da terra per ricadere subito dopo voli brevi e certamente non arditi, altri ancora magari riusciranno a volare... ma non potranno mai spezzare il filo... e quel genitore dovrà un giorno per morte, stanchezza o anche solo per scelta cedere il rocchetto con il filo a qualcun'altro, con la speranza che gli sforzi fatti per farlo alzare fino magari a pochi metri da terra correndo fino a sfinirsi, e molto più velocemente degli altri genitori dagli aquiloni leggeri, non siano vanificati da un pilota incapace di spremersi allo stesso modo, per mancanza di amore, di tempo, o solamente di fiducia in quell'aquilone.

    Altri strisceranno inesorabilmente dietro di te, nonostante i tuoi sforzi sovrumani... senza sollevarsi di un solo centimetro da terra. Altri ancora, come capita spesso, sembreranno alzarsi ma poi all'improvviso, con una brusca virata punteranno verso terra e lì si schianteranno al suolo, senza magari la possibilità di essere riparati. E la cosa strana è che chi regge il filo spesso è cosciente di dove potrà arrivare quell'aquilone, o forse meglio dire di dove... non arriverà... mai. A volte si intestardisce e non smette di correre, altre volte la delusione cocente fa sì che nemmeno ci provi a farlo sollevare quell'aquilone, quando alcuni metri di cielo avrebbe in realtà potuto solcarli... altre volte ancora i sensi di colpa per i danni provocati al proprio aquilone per aver osato volare con troppo o troppo poco vento lo schiacceranno, impedendogli di ragionare...

    Chi si ritrova in una di queste possibili situazioni, che non consentono, di fatto, il taglio del filo, è forse meno genitore per questo? E' magari, per trasportare in maniera egocentrica sul genitore ciò che in realtà è un problema… per il figlio, un genitore imperfetto? Non credo, se come sono convinto, il valore dell'essere genitore sta più nel viaggio che non nella meta... nel correre insieme al proprio aquilone, anche sapendo che comunque si rimarrà legati a lui per sempre... o che addirittura si potrebbe anche sopravvivere ad esso.

    Ci sono anche condizioni, infatti, nelle quali l'aquilone... perfetto o imperfetto che sia alla nascita... può poi avere dei guasti irreparabili, che diventano degenerativi.

    La forza del genitore sarà anche in quel caso quella di correre insieme con lui... magari più piano, meno spesso, e alla fine... quando non avrà più senso né scopo, sedersi ed abbracciarlo, con la tenerezza di chi sa di aver fatto solo ciò che un genitore deve fare... amare il proprio aquilone.

    Credo che questa coscienza, insieme con il senso pratico che ad essa si deve accompagnare, e che fa in modo che le proprie forze vengano distribuite nel modo più efficace ed efficiente per far volare tutti gli aquiloni della propria collezione... maturi piano piano e aiuti a diventare persone piene, non a metà... né perfette né imperfette... e parlo di chi corre, ma anche di chi è trascinato da lui... e dal vento.

    Riflessioni sulla sfortuna... e sul calcolo delle probabilità.

    A 27 anni io e 25 mia moglie perdiamo un bimbo al terzo mese di gravidanza... (probabilità non ben definita).

    Quando nasce Dario con la Sindrome di Down io ho 29 anni, Paola 27 (1 su 1.200)

    Quando nasce Simone (con una Sindrome cromosomica ben più rara, anche se altrettanto casuale, la Sindrome di Wolf-Hirshorn) io ho 33 anni mia moglie 31 (1 su 1.250.000).

    Quando nasce Marialetizia... beh lì il capolavoro (42 io e 40 la moglie)! In barba alla statistica che sempre assegna una grossa % di rischio genetico con l'età... patrimonio genetico normale!!! (1 su ???).

    Un calcolo combinatorio ben assestato sulle varie probabilità permette di concludere che la probabilità che tutto questo avvenisse in un’unica famiglia... è di qualche ordine di grandezza inferiore alla possibilità di fare 6 al superenalotto giocando 6 numeri soltanto...

    Ecco come normalmente spiego la fortuna che ci è capitata (a noi come genitori, non certamente ai nostri figli!), quando mi viene chiesto se considero queste nascite diverse un dono oppure… un pacco, ottenendone in risposta un salomonico… Entrambe le cose!.

    Se da una parte anche contro ogni ragionevole considerazione l'istinto e sicuramente in parte anche la fede, pur se piccola e fragile, mi spingono a credere che tutto ciò non è solo un caso, una sfortuna, un non so... dall’altra penso perciò che le parole fortuna, privilegio... quello che volete, pur non essendo applicabili alla realtà della sindrome in sé (che è negativa, cavolo se è negativa!), lo sono in modo indiretto… perché per il solo fatto di averci a che fare, nel bene e nel male, si assiste ad un incredibile aumento dell'intensità della propria vita; una vita dove la gioia è più gioia, il dolore è più dolore...

    Se c'è un privilegio quindi, è proprio quello che deriva da una rinnovata consapevolezza che costringe a vivere intensamente ogni attimo, sentimento, realtà… siano o no collegate all’esperienza della disabilità.

    E questo è sicuramente arricchente, per noi e quindi di riflesso anche per i nostri figli; spero lo possa perciò diventare anche per chi ha il coraggio o anche solo la curiosità di confrontarsi con la realtà della disabilità …magari anche solo leggendo un libretto come questo… che raccoglie in modo forse confusionario (e perciò certamente simile a ciò che un genitore prova e sperimenta in quel calderone dell’anima pieno di un miscuglio di sentimenti belli e brutti, nobili e meno… a volte incomprensibili, sicuramente indipendenti tra loro pur essendo costretti a miscelarsi di fronte all’handicap del proprio figlio) cinque anni di frammenti di vita e di pensieri, di vita vissuta e di sogni, speranze, ricordi, rimpianti.

    Dario, 1987

    Il primo mongoloide

    Ludovico... la prima persona con la SD... già proprio la prima... almeno per me: la prima persona con la Sindrome di Down che ho conosciuto nella mia vita... e della quale conservo ancora un ricordo struggente... e che mi fa commuovere ogni qual volta, per qualche motivo, mi torna alla mente...

    Cercherò di raccontarvi il perchè!

    A 15 anni ero un assiduo frequentatore dell'oratorio della mia parrocchia... facevo l'educatore (che parola grossa eh? Non mi sento di usarla per la mia persona nemmeno a 50 anni... figuriamoci come potevo educare allora!) dei ragazzini delle elementari e poi delle medie... cercando di condividere con loro essenzialmente parte del mio tempo e del mio entusiasmo di adolescente per imparare insieme ad amare la vita...

    In oratorio c'era una presenza... inquietante... da sempre per quel che mi ricordo (almeno da quando avevo cominciato a frequentare l'ambiente a 7-8 anni, non ricordo bene): era Ludovico... una persona down... no cosa dico un... mongoloide, non c'era ancora fra la gente comune un altro termine per definire quelle persone... e anche noi giovani, non senza un briciolo di disagio (cominciava allora forse un po' di presa di coscienza?) se parlavamo di Ludovico... lo chiamavamo così!

    Era lì... sempre presente ed assente dal mondo allo stesso tempo... cercando forse con le sue sole forze... quell'integrazione allora così lontana dalla realtà del tempo (le persone down non si vedevano mica circolare come ora!) di cui forse sentiva l'intimo bisogno... profeta incompreso di un futuro non lontano... ma che lui non avrebbe conosciuto.

    Aveva un'età indecifrabile, almeno per le mie possibilità di comprensione di allora... probabilmente (con il senno del poi) intorno ai 35 anni. Era il fratello della lattaia e viveva con lei... privilegio di pochi a quei tempi... in cui la stragrande maggioranza delle persone down erano istituzionalizzate...

    Ben lungi dal concetto di autonomia cui noi genitori moderni tendiamo per i nostri figli... viveva tuttavia una realtà relativamente felice... girando da solo per il quartiere, l'oratorio, andando a messa tutti i giorni... e facendo la spesa da solo (ma già... allora c'erano altri rapporti con i negozianti... ci si conosceva, c'era il libretto su cui si segnava il conto da saldare a fine mese... perchè Ludovico non conosceva il valore del denaro).

    Da quando ho iniziato ad avere un ruolo più attivo all'interno dell'oratorio... mi si è subito attaccato... mi ha scelto, insieme con un altro ragazzo della mia età... per essere suo amico...

    Ludovico aveva uno struggente bisogno di amicizia... lo manifestava come poteva... cantando a volte squarciagola in un idioma per molti incomprensibile i nomi (o i cognomi... io per lui ero Mocconi) delle persone cui teneva in modo particolare.

    La cercava anche con il contatto fisico... insistente... a volte sicuramente imbarazzante... con quella sua mano molliccia che malcelava la sua marcata ipotonia... con delle parole sicuramente fuori luogo (quante volte mi sono sentito dire ti amo, mocconi) ma che esprimevano sicuramente il suo bisogno vero, profondo e sincero di amicizia...

    Gli sono stato amico, come ho potuto e saputo fare... con semplicità... come la mia età e il tempo in cui vivevo mi consentivano... non respingerlo (come la maggior parte dei ragazzi facevano... spesso con disprezzo) deve essergli sembrato già molto! Ricordo che pochi anni prima di morire (è morto intorno ai 40 anni) avvenne una cosa per lui... inaspettata, un episodio che per lui deve essere stato molto importante. Come vi dicevo tutti i giorni andava a messa... arrivava un quarto d'ora prima e si inginocchiava a pregare... nessuno può immaginare come pregasse in cuor suo in realtà...

    Poi partecipava alla S.Messa come poteva... rispondendo, cantando (era oltre che incomprensibile... stonatissimo… ma veniva tollerato) e mettendosi in file per ricevere la S.Comunione... ma anche in questo... erano altri tempi. Una volta arrivato davanti al sacerdote, infatti, si genufletteva... e si metteva da parte... faceva il segno della croce e tornava al proprio posto... più compunto e meno distratto della maggioranza delle persone che avevano ricevuto l'ostia. Una domenica... il giovane sacerdote dell'oratorio che l'età e le idee progressiste avevano reso un po' il nostro eroe di adolescenti dai grandi ideali... mentre Ludovico come al solito si faceva da parte per lasciare spazio a chi aveva diritto a ricevere la S.Comunione... lo fermò, lo fece tornare indietro... gli disse due parole con il sorriso sulle labbra, e gli fece la sua prima comunione...

    Tornando al suo posto i nostri sguardi si incrociarono; strano... non alzava mai la testa, quando tornava a posto... ma quel giorno mi guardò, di proposito... aveva un sorriso radioso sul viso... e piangeva... di gioia... di quella gioia che viene da dentro, quando una persona si sente accettata e voluta bene per quello che è... dopo avere atteso per tanto tempo che questo succedesse.

    Qualche anno dopo morì...

    Fu per me la cosa più naturale del mondo pensare subito a Ludovico, quando nacque Dario, il mio primo figlio... con il disagio che derivava dal ricordo di una persona sicuramente non bella, che creava disagio intorno a sé, per come era, per come parlava e per come si rapportava con gli altri... era ancora allora l'unica persona con la Sindrome di Down che avevo veramente conosciuto. Ma lo pensavo anche con la tenerezza di quegli episodi che chiaramente mi avevano dimostrato la sua umanità... oltre l'apparenza di una vita sicuramente piena di infelicità...

    Sebbene i tempi fossero cambiati... ho dovuto ancora (e quasi sempre per riuscire a farmi capire) dire che Dario era nato mongoloide (la gente chiedeva sempre... ma cos'è la Sindrome di Down? E alla parola mongoloide abbassava lo sguardo dicendo ah... ecco! o altre imbarazzate frasi di circostanza).

    Ho subito rifiutato l'immagine di Ludovico che conoscevo... come profezia del futuro di Dario... i tempi e la fortuna mi hanno dato ragione... ma ho anche capito (ed anche grazie a lui!) che in quel bambino che partiva per la sua corsa della vita... con un marchio indelebile... con un handicap così infamante... c'era potenzialmente la stessa umanità... la stessa voglia di vivere che c'era in ognuno di noi...

    Se penso a Ludovico mi commuovo, ho pianto anche scrivendo questo breve scritto... ora sapete anche voi perchè...

    Perchè anche grazie a te Ludovico... il mondo è cambiato un pochino in meglio... ed i nostri figli oggi hanno molte più possibilità di quelle che hai avuto tu... di realizzare il tuo sogno, il tuo desiderio di amare e di essere amato... ed anche perchè mi hai reso migliore... aiutandomi ad amare subito mio figlio Dario...

    Grazie Ludovico, il tuo amico Sandro

    Simone, 1991

    Vita da… cavie!

    Le cavie… dette anche Porcellini d’India (chissà perché visto che sono originarie del sudamerica!) sono degli animaletti molto timidi… timorosi. Sono infatti animali tanicoli generalmente predati con la tendenza quindi ad essere abbastanza paurosi… ed a spaventarsi con i rumori improvvisi o forti. Non da ultimo, questa loro naturale caratteristica ci ricorda (anche se senza collegamento con la loro triste condizione) …che le cavie sono appunto quegli animali tristemente noti ai più per la loro attitudine a venire utilizzati a scopo di sperimentazione medico-farmacologica… tanto da aver dato origine alla famosa espressione... fare da cavia!

    Tra le altre particolarità, sicuramente merita menzione il fatto che soffrono particolarmente gli sbalzi di temperatura, ammalandosi per esempio di raffreddore se esposti alle correnti, e di gravi colpi di calore se lasciati a temperature elevate. Mangiano spesso e crescono poco.

    Si nutrono essenzialmente in natura ed in cattività di vegetali freschi (da cui prendono tutto ciò di cui abbisognano, specialmente la vitamina C che al pari degli esseri umani non riescono a sintetizzare in quantità sufficiente per il reale fabbisogno) e fieno (come tutti i roditori hanno bisogno di limare i denti a crescita continua) … a meno che i loro padroncini non siano un po’ maniaci del consumismo sfrenato… e perciò li nutrano con costosissime (e dannosissime!) confezioni di preparati per cavie (pellets, crocchette, biscotti ecc… un po’ come se noi mangiassimo sempre da McDonald) ricche di sostanze che a loro non servono e che per di più rischiano di far loro del male, perché incapaci di metabolizzarle. Sono molto delicati, ed anche fragili, e perciò vanno maneggiati con cura, facendo specialmente attenzione ai loro arti inferiori, che possono subire facilmente disarticolazioni e fratture. Vivono in gabbie più o meno ampie, dalle quali difficilmente escono, anche se lasciate perennemente aperte, per gli stessi motivi per i quali credo noi umani usciamo poco di casa… e sono animali sociali, nel senso che se lasciati da soli in gabbia intristiscono… molto meglio tenerne una coppia, per riuscire a vederli sereni e gioiosi saltellando qua e là con il loro tipico atteggiamento (il pop-corning, nome di evidente derivazione… che descrive il gioioso ed improvviso, quanto apparentemente fuori di testa… saltellamento contemporaneo sulle quattro zampette, in preda ad apparenti, imprevedibili ed incomprensibili attacchi di agitazione … ad imitazione dell’improvviso scoppiettare dei chicchi di granturco quando vengono fatti saltare in padella per essere trasformato appunto nell’onomatopeico anglofono granoturco-che-scoppia).

     Sono sessualmente molto prolifici, e perciò normalmente vengono sterilizzati, per cui non esercitano il loro naturale istinto. Al contrario di tanti altri cuccioli di animali… non instaurano delle grandi relazioni con gli umani… se si esclude una progressiva anche se relativa fiducia che arriva fino ad un’intima e delicata leccatina… ed il richiamo mattutino o comunque ricorrente ogniqualvolta hanno fame… nei confronti di chi normalmente li nutre, con un tipico ed acuto squittio che assomiglia quasi ai gridolini di un bambino che non sa parlare. In compenso… non dormono quasi mai… e non è infrequente sentirli durante la notte emettere i loro caratteristici versi-lamenti… quasi dei brontolii, con i quali normalmente comunicano.

    Insomma… non proprio un grande animale da regalare ad una bambina che voleva un cucciolo da accudire, anche se infarcito di belle intenzioni… tipo così vediamo se te ne sai prendere cura… oppure in casa un altro animale senza poter uscire soffrirebbe o ancora pensa che prima che l’adottassimo noi era tenuto in condizioni disumane (o avrei dovuto dire… discaviesche?) ecc …

    Eppure… questo è l’animale che a Natale dell’anno scorso abbiamo regalato a Marialetizia dopo che da diverso tempo chiedeva di poter avere un cucciolo su cui riversare il proprio affetto e la propria tenerezza di bambina di 8 anni…

    E mentre ieri seduto sul divano in fianco alla gabbia aperta, assorto in questi pensieri, con in braccio un animaletto brontolante dico a Marialetizia che è ora di pulire la gabbia dai loro escrementi… faccio mentalmente un riassunto di tutto ciò che questi animaletti sono… (e che vi ho raccontato in questo brano):

    + Delicati… soffrono sia il freddo che il caldo...

    + Fragili agli arti inferiori…

    + Cagionevoli di salute eppure sfruttati dalle industrie medico-farmaceutiche per la sperimentazione…

    + Bisognosi di vitamine…

    + Mangiano tanto e crescono poco...

    + Consumano i denti sfregandoli in continuazione...

    + Animali da relazione… con cui è difficile relazionarsi…

    + Sessualmente impossibilitati ad esercitare…

    + Che vivono in cattività … spesso ignorati...

    + Si pensa che vengano dall’India e invece sono originari del sud-america (della serie… nessuno ne capisce!)

    + Timidi e paurosi, specie dei rumori improvvisi… ma capaci di gioia improvvisa, illogica ed incomprensibile

    + Animali che non dormono praticamente mai … e che quando tu dormi... brontolano

    + Che ti leccano (sono in effetti tutto "sbausciato")…

    + Che spesso vanno puliti...

    + Che necessitano di qualcuno che se ne prenda cura... e se li tratti bene ti fanno sentire più buoni...

    + Che ti chiamano per avere da mangiare…

    … richiamando la tua attenzione con dei gridolini acuti... proprio come quelli che mi sta facendo ora quello che ho in braccio in questo momento… allungandomi la bavaglia (la bavaglia?!?) prima che io dica… dapprima distrattamente …poi con un improvviso lampo di dolorosa coscienza… che comprende tutti i punti sopracitati… a quella forma di vita che da quasi vent’anni si accompagna alla mia, da quando nacque con una rara e casuale malformazione cromosomica, così apparentemente priva di dignità eppure nonostante tutto a volte misteriosamente ed evidentemente felice:

    "No Simone… è ancora presto per mangiare"…

    Marialetizia, 2000

    Al buio

    Prima di quella volta non mi era mai capitato di avere paura del buio. E nemmeno della luce…

    Era una radiosa mattina di settembre, il 24 per la precisione, il giorno del mio compleanno.

    Fuori il sole splendeva già alto e ancora caldo in quella giornata teoricamente autunnale, in realtà ancora decisamente estiva.

    Io però, accovacciata nella buia penombra della mia piccola stanza, pur se già sveglia da tempo, stavo ancora riposando pigramente, rannicchiata in posizione fetale per non disperdere il calore (dormo sempre così!).

    E nonostante avessi coscienza del fatto che prima o poi avrei dovuto farlo… non avevo alcuna voglia di abbandonare quel tepore ed uscire... e cercavo perciò di rimandare il ferale momento fingendo di dormire immobile nel mio comodo giaciglio… senza nemmeno fiatare per non farmi sentire… illudendomi forse che in quel modo si sarebbero dimenticati di me…

    Ma così ovviamente non poteva essere… lo sapevo, anche se ero del tutto ignara di quel che di lì a poco mi sarebbe capitato.

    I rumori mi giungevano attutiti, morbidi, quasi a sottolineare il mio stato di semi-coscienza (o semi-incoscienza… è l’eterna diatriba del bicchiere mezzo pieno/mezzo vuoto), ma al tempo stesso chiari e dolci, e come a tutti capita quando non ci si vuole alzare dal letto… rifiutavo l’idea di dover presto abbandonare il mio caldo rifugio per essere catapultata nel grigio, freddo, pericoloso ed insensibile mondo esterno. Lo so che non sarebbe stato così terribile in realtà, ma nella mia situazione in quel momento veramente trooooppo bella... era difficile anche solo concepirlo!

    Ah… dimenticavo di presentarmi.

    Lo faccio ora… prima di continuare con il racconto, se no poi non capirete nulla di ciò che vi dirò.

    Mi chiamo Marialetizia… e sono una bimba di dieci anni, terzogenita di una famiglia un po’ particolare.

    Ho due fratelli più grandi: Dario e Simone.

    Dario, detto il fratellone, ventidue anni … fa l’aiuto cuoco nell’hotel più lussuoso della città, ne è molto fiero.

    Ha una ragazza, che non mi sta proprio simpaticissima diciamo (sono sempre stata un po’ gelosa lo ammetto!). Ma mi ci sto abituando.

    Con lei condivide oltre che tempo, sogni sul futuro insieme e lunghissime chiacchierate telefoniche (abita ad un’ora di treno di distanza da qui) anche la passione per lo sport (il nuoto e lo sci in particolare, che entrambi praticano a livello agonistico) ed il fatto di avere… un cromosoma in più: infatti, entrambi sono persone con la Sindrome di Down.

    Dario è tifoso dell’Inter, da sempre, lo è stato anche in tempi in cui questa fede era al di sopra di ogni sospetto, perché in grado di procurare solamente sofferenze e nessuna soddisfazione.

    Ora che non è più così… e le vittorie sono molte di più delle sconfitte, a volte da interista per tradizione famigliare (magari da adolescente per affermare la mia personale identità potrei cambiare squadra… devo solo decidere quale farebbe più alterare i miei genitori! Eh eh) mi viene da chiedermi se in un certo senso non era meglio prima… quando almeno ci si poteva arrabbiare con la sfortuna, con gli arbitri, con la Juve, con il fato, il destino, a volte anche contro oscure lobby e complotti … ma al tempo stesso si poteva almeno nutrire con indomito orgoglio e fiera dignità la speranza che un giorno non lontano tutto questo sarebbe cambiato.

    Come del resto è stato… perché fortuna e sfortuna spesso ed inevitabilmente si alternano.

    L’uomo si abitua presto… alle cose belle e alle cose brutte… anche se più facilmente alla prime.

    Ed il cambiamento, quando tutto va bene… è sempre devastante.

    Non importa se stai bene o male in assoluto… importa molto di più se il cambiamento è capace di migliorare anche solo di un poco la qualità della vita… oppure se al contrario la peggiora: siamo degli esseri relativi

    Nel primo caso, pur nel timoroso e scaramantico pudore di chi non vuol rovinare tutto ammettendo e svelando al mondo la coscienza della propria fortuna… ci si rallegra di ogni piccolo miglioramento, spesso con il cuore gonfio di gratitudine universale, verso il benefattore di turno… persona o circostanza che sia.

    Ma se al contrario un qualsiasi contrattempo viene a modificare anche se impercettibilmente il nostro stato di benessere… è molto più semplice avere reazioni spropositate, per intensità e tipologia… di rabbia, rancore, vendetta… imprecare contro il destino, il Governo, Dio (anche se magari non si crede alla sua esistenza) e contro tutti  coloro che consapevolmente o meno, a ragione o a torto ed a qualsiasi titolo potrebbero essere stati anche solo la con-causa della perdita di un angolo di Paradiso, del quale magari fino al giorno prima non avevamo nemmeno  cosciente ed umile consapevolezza.

    Perché i veri privilegi (tipo mangiare due pasti al giorno, avere acqua da bere, scuole dove imparare, tutte cose spesso scontate in

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