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Fin troppo buoni. Un anno di scuola nelle e-mail tra due insegnanti
Fin troppo buoni. Un anno di scuola nelle e-mail tra due insegnanti
Fin troppo buoni. Un anno di scuola nelle e-mail tra due insegnanti
Ebook108 pages1 hour

Fin troppo buoni. Un anno di scuola nelle e-mail tra due insegnanti

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«I ragazzi sono stanchi delle prediche; cercano in noi degli adulti capaci di camminare con loro nella ricerca di alternative ai modelli societari che non parlano più alla loro vita. Francesca, una ragazza di quinta, ha scritto in un tema: “Voi insegnanti ci dite che noi giovani non siamo come quelli di una volta. Che prima i giovani credevano in qualcosa e ora non più. E chi ve lo dice che noi non crediamo più a niente? Ci dite che la società è cambiata in peggio. Ma non siamo stati noi a cambiarla. Ci dite che i valori sono scomparsi. Ma non siamo stati noi ad ucciderli”».

Elena Marilena D'Angiolella insegna Italiano e Storia presso l'I.P.S.S.A.R.T. di Aversa (CE); esperta in dinamiche della comunicazione, ha conseguito un master in Pedagogia clinica e ha fatto parte della Direzione dell'Istituto Pontano di Napoli. Attualmente è assessore alle Politiche sociali e all'Istruzione del Comune di Parete (CE).

Angela De Rosa, abilitata all'insegnamento in Storia dell’arte e specializzata per l'insegnamento ai diversamente abili, lavora presso la sede coordinata dell'IPIA "Michele Niglio" di Frattamaggiore. Si è occupata di sensibilizzazione alle scelte eco-sostenibili presso istituzioni scolastiche e gruppi cittadini e ha dato vita al laboratorio "Ricreando" che progetta e realizza oggetti di design da materiali di scarto.
LanguageItaliano
Release dateDec 8, 2014
ISBN9786050341638
Fin troppo buoni. Un anno di scuola nelle e-mail tra due insegnanti

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    Fin troppo buoni. Un anno di scuola nelle e-mail tra due insegnanti - Elena Marilena D'angiolella

    Elena Marilena D’Angiolella

    Angela De Rosa

    FIN TROPPO BUONI

    Un anno di scuola nelle e-mail fra due insegnanti

    © 2014 Elena Marilena D’Angiolella, Angela De Rosa

    ISBN 9786050341638

    UNA VORAGINE TRA LA SCUOLA E LA VITA

    Qual è l’obiettivo della scuola? Intanto, cominciamo col dire che la scuola è prima promulgatrice di una sfilza di messaggi sbagliati.

    Uno di essi è che per imparare qualcosa io, alunna, dovrò recarmi in un determinato posto, chiamato appunto scuola, e sedermi di fronte ad uno sconosciuto, chiamato professore, che a quanto pare ha il compito di insegnarmi tutto di un cosiddetto programma – ma puntualmente io non imparerò, o meglio, non come dovrei.

    Gli insegnanti danno all’alunno l’impressione di una totale indifferenza. L’alunno, in un rapporto freddo, distaccato, incolore, anonimo, dovrà fare una fatica tremenda, in un posto in cui non vuole stare, finendo per non imparare nulla. Automaticamente si troverà a pensare che prima riuscirà a venire fuori da quel calvario, prima inizierà la vita. In questo modo i ragazzi sviluppano un odio, un disprezzo nei confronti della scuola, delle sue discipline e dei suoi docenti che difficilmente riusciranno a sanare dopo, e che molti si porteranno dietro per sempre. Allo stesso tempo maturano un apprezzamento per le persone che fanno fare loro il meno possibile – quelle che affermano di capire la loro situazione, di voler mettere in chiaro le cose, e che invece fingono e farebbero carte false per sbarazzarsi di quel punto interrogativo che hanno di fronte, non desiderando altro che tornare a casa il prima possibile. Quello che viene apprezzato di più è colui che esige di meno, che pretende meno, che fa meno. Alunno o insegnante che sia. Invece chi si dà da fare viene messo in disparte e definito noioso, lagnoso, seccante. In fondo, si sa, il massimo risultato si ottiene con la minore fatica. È così che va avanti il mondo oggi, o almeno è quello che credono la gran parte delle persone – e si adeguano a questa norma.

    Inoltre la scuola educa, a volte in maniera subliminale, altre in maniera piuttosto esplicita, a non questionare con le autorità, a non mettere in dubbio ciò che viene richiesto. «Tu fai quello che devi fare, non porti domande e in qualche modo ubbidisci agli ordini».

    L’alunno non è solo disinteressato: non ha nemmeno il diritto di incuriosirsi. Questo è il miglior modo per stroncare sul nascere la curiosità di una persona, per raderla al suolo. Inconsciamente l’alunno limita le proprie conoscenze attenendosi solo ai programmi scolastici, ormai convinto che non ci sia più niente da imparare, quindi niente più da scoprire. Un giorno un professore terminò prima del tempo la sua lezione perché, si scusò, aveva degli esami da sostenere. Un alunno, sconcertato, chiese ad un suo compagno cosa mai avesse ancora da studiare un professore, se già sa tutto. Ciò mi destabilizzò non poco – la mentalità dei miei simili tradotta in una domanda.

    Uno dei messaggi impliciti della scuola, dunque, è che essa è il solo e unico luogo in cui si impara tutto, qualsiasi cosa al mondo la si può imparare soltanto a scuola. Ciò è quanto di più falso ci sia. Molte persone, tra le quali la sottoscritta, hanno saputo dare sfogo alle proprie passioni al di fuori della scuola (perché al suo interno questo non sembra permesso), dandosi da fare, senza aspettare che qualcuno infonda loro la voglia di conoscere. Ma ognuno è diverso dall’altro, c’è chi sa farsi da solo e chi non sa da dove iniziare. In futuro ci ritroveremo in una società che proverà disgusto, senso di nausea, ripugnanza nei confronti della cultura e delle persone ricche di cultura.

    Il senso, il succo di un altro messaggio sottinteso che manda la scuola ai giovani è riassunto in quanto segue: «È risaputo che sei un incapace svogliato, che se non fossi obbligato a imparare quattro parole a memoria te ne staresti disteso sulla spiaggia con un gelato in mano, oppure a letto a ronfare come un bue. Guardati bene: sei così stupido che ti dobbiamo costringere a venire qua, insieme a tutta questa gente stupida come te, e quando sarai grande tratterai da stupidi tutti coloro che avrai intorno».

    È provato che una persona impara le cose soltanto se ha con esse un collegamento emotivo, soltanto se è interessata. Uno studente a cui venga imposto di imparare qualcosa che non gli interessa, al massimo tratterrà le nozioni nella memoria fino al momento in cui dovrà ripeterle, o finché il suo cervello non se ne stuferà e, appena possibile, se ne libererà. Non impara nulla perché è un’imposizione esterna. Nel caso, invece, che l’alunno fosse interessato e intervenisse con una domanda curiosa verrebbe subito zittito oppure invitato a tacere, perché l’insegnante sa cosa insegnargli, come insegnarglielo e con quali tempi, senza che venga interrotto dalle domande altrui. Gli studenti sono solo dei recipienti da riempire finché non traboccano.

    Il fatto che il docente ha in qualche modo potere sull’alunno – poiché ha il diritto di decidere quando il ragazzo è pronto ad uscire, quando è pronto per il mondo e per la vita – ha come conseguenza che molte cose si fanno per il suo compiacimento. Ciò crea un clima di costante  competizione (io so fare meglio di te, tu sei uno zero), annullando così il senso di reciproco aiuto che dovrebbe esserci in una classe.

    Non si ha scelta. In futuro la gente imparerà non per il proprio piacere ma perché messa alle strette, perché obbligata. È così che la scuola sta formando le persone oggi. Ed è così che sta creando una voragine tra se stessa e la vita. Perché una persona, appena esce da scuola, appena divenuta matura, se la deve creare da sola una vita. Non c’è un manuale di istruzioni.

    Quello che la scuola dovrebbe fare è proprio questo, spronare l’adolescente a fare da solo le proprie scelte, mostrargli ogni possibile via in modo tale che sia in grado di scegliere quella più adatta alle sue aspettative e alle sue esigenze. Ecco cosa dovrebbe fare la scuola: offrire possibilità. E l’unico modo per farlo è eliminare la freddezza dei rapporti distaccati docente-alunno, favorire confronti faccia a faccia, senza barriere invisibili.

    Quello di cui stiamo parlando è la felicità di una persona, e la necessità di dare un senso a quanto si fa. Ciò che la scuola non sta facendo più è dare spazio ai ragazzi, se una cosa del genere è mai avvenuta. Dovrebbero essere i ragazzi a scegliere cosa fare, dovrebbero essere i ragazzi ad interpellare gli insegnanti per colmare la propria curiosità – ma si finisce sempre con gli insegnanti che cercano di cavare loro qualche parola di bocca per giustificare il voto sul registro a fine interrogazione.

    Si è perso l’interesse per la cultura, per il sapere. Da bambini ci si chiedeva perché il cielo è blu e ne facevamo una questione di vitale importanza, da adolescenti accantoniamo questa domanda senza cercare risposta, da adulti daremo la risposta per

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