La perversa giovinezza di Rodrigo Borgia
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About this ebook
Figlio di un fiero ma oscuro nobile di Jativa - paese a sud di Valencia - ha la fortuna di essere nipote del potente cardinale Alonso Borgia che lo vuole a Roma accanto a sé.
L’atmosfera frizzante dell’Urbe seduce il giovane Borgia che diventa da subito attivo protagonista di quel mondo, ma il destino gli riserva un imprevisto che scompagina la sua vita di gaudente: l’amore.
Non un amore giocoso e fugace, né mercenario o di convenienza, ma un sentimento mai provato prima, che porta con sé anche sofferenza. La prescelta è Vannozza Cattanei: sensibile, pepata, dall’intelligenza vivace e dai seni generosi .
Il Borgia per un giorno intero lascia le sue incombenze di cardinale e galoppa attraverso la campagna romana fino a Ostia per riflettere sul suo passato e scandagliare il fondo della sua anima.
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La perversa giovinezza di Rodrigo Borgia - Michela Martignoni
Elena Martignoni, Michela Martignoni
- MEMORIE E PECCATI -
La perversa giovinezza di RODRIGO BORGIA
Romanzo storico-erotico
© 2015 Elena Martignoni, Michela Martignoni
Tutti i diritti riservati
2° Edizione digitale: febbraio 2016
realizzata da At-Shopnet S.r.l.
Ufficio stampa: Mariacristina Riva cristina.bragolusi@yahoo.it
Questo eBook è stato auto-pubblicato dalle autrici Elena e Michela Martignoni tramite StreetLib.
La legge sul diritto d’autore protegge quest’opera di Elena e Michela Martignoni. È vietata ogni duplicazione traduzione o adattamento anche parziale senza l’autorizzazione delle autrici.
Ringraziamo la At-Shopnet S.r.l., Ugo Sinigaglia e in modo particolare Alessandro Fucci per la realizzazione di questo eBook.
ISBN: 9786050367294
Aitante e nerboruto, bellissimo secondo i canoni della sua epoca,
con quel faccione fiorente e quei maschi occhi di velluto scuro
sotto gli archi ben disegnati delle sopracciglia,
irresistibile per calor di parola e squisitezza di tratto,
Rodrigo è quel che si dice un incantatore.
Clemente Fusero, I Borgia
Prologo
1474
Non sembro un uomo di Dio.
Porto gli stivali da caccia, la casacca, il cinturone. A cavallo sembro un guerriero, ancora nel fiore degli anni.
Non ho il volto da santo di mio zio, papa Callisto III. Nel mio aspetto nulla richiama patimento, rigore e semplicità, piuttosto salute, forza maschia, voglia di piacere.
Sono alto, massiccio, esuberante e molto conosciuto a Roma, ma vestito come un comune cavaliere non sarà facile riconoscermi in questa fuga dall’Urbe.
Cerco la solitudine. Ho bisogno di sentire il vento contro, di respirare l’aria fresca profumata di salmastro, di pensare, e soprattutto di strapparmi dalla mente il viso triste di lei.
Affiancato da una piccola scorta, galoppo lungo la riva del mare, nei pressi di Ostia.
Gli schizzi di sabbia bagnata mi colpiscono il viso. Il mio cavallo è lanciato, inebriato da questa inaspettata libertà, e io lo lascio sfogare. Lo seguo assecondando il movimento dei suoi fianchi sudati, inspirando con lui nell’affanno delle falcate.
Il volto di lei assilla i miei pensieri. Lo vorrei scacciare e allo stesso tempo trattenere.
Avrei voluto asciugare le sue lacrime con le labbra e scacciare il dolore che la incupiva stringendola tra le braccia. Avrei voluto amarla con passione per vederla ridere di nuovo.
Invece non mi sono nemmeno avvicinato.
Ho seguito il corteo funebre da lontano, senza farmi vedere. Lei era stretta a sua madre: due figure nere e avvilite dietro la bara.
Era bella e desiderabile anche nel momento doloroso in cui seppelliva suo padre.
Avremmo potuto non incontrarci mai, penso quasi con angoscia, e ora non sarei qui.
Il destino si diverte a muovere le persone come fossero pedine sopra una scacchiera, poi però lascia che ognuno di noi conduca il suo gioco.
E proprio per gioco ho iniziato con lei, come ho fatto con le altre.
La credevo una delle tante, invece è una creatura speciale, una donna non comune. Parlo con lei come parlerei con Guillaume o con altri amici. Non dice sciocchezze, sa ascoltare, sa ridere al momento giusto, e piangere di commozione.
E il suo sapore di pane fragrante, mischiato al pepe delle sue carezze, mi fa perdere la ragione.
Tiro le redini per fermare la corsa. Riprendiamo fiato, io e il cavallo. L’animale tiene le zampe nell’acqua per rinfrescarsi dopo la galoppata, io asciugo il sudore che mi bagna la fronte.
Guardo il mare. Una distesa azzurra lievemente increspata. Per me uno dei grandi miracoli di Dio. La sua bellezza mi emoziona sempre e il profumo pungente della salsedine rinvigorisce il corpo.
Il mare mi ha portato in Italia, seguendo una rotta tracciata per me da Nostro Signore, il mare mi ha portato fortuna, anche se, una volta, stava per prendersi la mia vita…. È un punto fermo della mia esistenza, qualcosa di tangibile e di ineffabile al tempo stesso.
Ripenso a quello che Guillame mi ha chiesto l’altro ieri: Rodrigo, da quanto tempo non ti fermi a guardare il cielo?
Ha ragione. Da quanto tempo, travolto dagli affanni, dall’ambizione, dalla smania di possedere sempre di più e di provare ogni tipo di piacere, non guardo in alto, verso l’Universo?
Guillaume ha un nipote cieco che gli chiede sempre: Com’è il cielo, com’è il mare?
Siamo davvero ricchi io e te, Rodrigo, mi dice l’amico cardinale, non solo di ducati, siamo ricchi perché possiamo godere. Con gli occhi, con le mani, con il corpo.
Lo sciabordio delle acque accompagna i miei pensieri. Si susseguono come le fragili onde che s’infrangono sugli zoccoli del mio cavallo.
L’animale guarda avanti, verso i cespugli che crescono selvaggi sulla costa e apre le froge agli odori che il vento porta fino a riva. Lo sento vibrare sotto la sella quando, all’improvviso, come un’apparizione, dalla macchia silvestre che delimita la spiaggia esce un gruppo di cinghiali. Li vediamo sfrecciare davanti a noi avvertendo la loro paura, la loro sorpresa: non si aspettavano di trovare uomini in quella landa solitaria.
È una madre, seguita da quattro cuccioli robusti.
Spaventati dalla nostra presenza invertono la marcia e scappano di nuovo nel bosco, grugnendo e portandosi dietro un intenso afrore di selvatico. Io resto fermo a guardarli, trattenendo il cavallo che scalpita.
Le mie guardie hanno dipinta sul volto un’espressione interrogativa. Sanno che amo catturare le prede e non me ne lascio sfuggire nessuna.
«Non siamo venuti per cacciare» dico invece in tono fermo, smontando di sella.
Ho interpretato quella visione come un presagio, e non riuscirei a trafiggere quei cinghiali.
Mi siedo sopra un masso sprofondato nella rena umida, mentre un gabbiano lancia nel cielo il suo grido stridulo.
Chi è oggi Rodrigo Borgia? mi chiedo.
Un uomo di fede o un opportunista che punta al sommo potere, uno schiavo delle proprie pulsioni o invece solo un uomo innamorato e indebolito dai dubbi?
Forse, per trovare una risposta, devo ripercorrere la mia esistenza, da quel lontano giorno quando la mia vita ebbe un brusco cambio di rotta…
I
Addio, Jativa
1448
I capezzoli che stringevo tra le labbra avevano un gusto di latte cagliato. Come quelli della mia balia Catalina, succhiati fino ai due anni di età. Almeno così ricordo.
Questi invece appartenevano a Juana. Giovane, infuocata e incosciente. Aveva diciott’anni e stava ancora allattando il suo secondo figlio. Così non resto incinta, mi diceva aprendosi la camicia.
Io tenevo le mani a coppa intorno ai suoi seni lattosi e succhiavo, ora uno ora l’altro, i due bottoncini rosei e saporiti. L’odore del fieno mi stordiva e mi eccitava insieme, lo strame mi pungeva le gambe nude mentre con le brache abbassate mi strusciavo sopra di lei in quel fienile poco lontano dal palazzetto della mia famiglia.
Da un paio di settimane il deposito di paglia e granaglie era un fantastico letto per noi. Il marito di Juana era un fattore pagato dalla mia famiglia, e a lei, affamata e viziosa, non bastava il suo nerbo di vecchio stallone.
Io ci perdevo la ragione. A diciassette anni la ragione non è così salda, mentre il corpo trabocca di energie e di voglie.
Frequentavo già da due anni i bordelli di Valençia e corteggiavo donne oneste e poco oneste che contribuivano alla mia educazione, ma a Jativa oltre alla caccia, l’unico mio svago era Juana. Le altre donne o erano brutte da non potersi guardare o erano tenute sottochiave, quindi irraggiungibili.
«Rodrigo! So che sei lì! »
La voce infastidita che dal cortile gridava il mio nome apparteneva a mia madre.
Feci cenno a Juana di non muoversi: donna Isabel non si sarebbe inerpicata sulla scala a pioli per stanarmi, ma non potevo fingere di non sentirla.
«Rodrigo, scendi o mando su Fernando a prenderti col forcone!»
Fernando era il nostro factotum, e aveva braccia e mani molto convincenti. Ero certo che fosse lì, accanto a mia madre, ansioso di usarle.
«Proprio adesso…» piagnucolò Juana accarezzandomi il sesso in erezione.
«Vado a sentire cos’ha da dirmi e torno. Tu non ti muovere da qui…» bisbigliai alzandomi.
Le diedi una palpatina tra le gambe e mi tirai su i pantaloni, cercando di nascondere la mia eccitazione, poi comparvi sul limitare del fienile, simulando uno sbadiglio.
«Perdonate, signora madre, stavo dormendo» mentii, appoggiando una mano sugli occhi per proteggermi dall’accecante sole estivo.
Lo sguardo di riprovazione che lei mi rivolse esprimeva senza dubbio che non mi credeva, ma io sapevo come farmi perdonare.
Scesi a precipizio la scala e mi inginocchiai davanti alle sue sottane e le presi una mano, baciandogliela.
Donna Isabel indugiò un attimo a quel contatto, poi la ritirò con uno scatto nervoso. Mi girò le spalle e mi fece cenno di seguirla.
«Ti ho fatto cercare ovunque,» mi disse masticando la rabbia tra i denti «alla fine ho dovuto venire io di persona! Possibile che tu abbia sempre…»
«Sonno. Molto sonno arretrato» la anticipai. «I trattati giuridici sono impegnativi: ho studiato tutta la notte fino a stamattina…»
La risatina beffarda che sfuggì a Fernando gli procurò un’occhiata severa di mia madre.
«Non sono venuta per farmi prendere in giro da te,» mi interruppe brusca «ma per una questione molto importante. Un corriere mi ha appena consegnato una lettera dello zio Alonso: ti vuole a Roma, con Pedro Luis. Dobbiamo tornare subito a Valencia per organizzare il vostro viaggio. Partirete al più presto.»
Il cuore mi balzò nel petto.
Lo zio Alonso era un cardinale molto potente e la sua chiamata era l’occasione che aspettavo.
«Subito?» mormorai con disappunto, pensando che mi sarei perso però la fiera del bestiame d’agosto che portava gente, feste, corride e puttane anche a Jativa.
Mia madre si fermò in mezzo all’aia.
Ne ricordo ancora la figura alta, dritta come una palma, chiusa in un abito nero, nonostante la calura feroce di luglio. Una brezza rovente sollevava nugoli di polvere che le si depositavano sulle sottane. Lei, con un colpo deciso, le scuoteva per pulirle, muovendo le incredibili mani bianche dalle dita inanellate.
Austera, devota e determinata,