i disturbi del sonno
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i disturbi del sonno - Edmond Schuller
dedicato!
1. La storia del sonno
Anche i testi più antichi accennano al sonno. Prima della creazione del mondo «Dio fece cadere l’uomo in un profondo sonno… » e al risveglio una donna era accanto a lui. Il sonno fu considerato dunque sin dalle origini un’immagine della vita; esso però doveva divenire assai rapidamente l’immagine dell’assenza, vale a dire l’immagine della morte. L’inquietudine dei discepoli davanti a Cristo addormentato è stato mirabilmente tradotto da J. S. Bach nella Cantata n. 81 («Gesù dorme: cosa posso sperare? »); e chi non ricorda il celebre episodio del Vangelo (Matteo ix, 24): «Allontanatevi perché questa giovane donna non è morta, ma dorme… » che ricollega l’immagine della resurrezione a quella del risveglio? Anche il sonno dei discepoli a Gerusalemme ci sembra possa rappresentare l’immagine dell’abbandono che precede la morte.
La mitologia greca insiste molto sull’importanza di Morfeo, figlio del Sonno e della Notte. Omero evoca sovente « l’ora del dolce sonno… » e il sonno medesimo «dolce per gli infelici ». L’immagine della morte è stata spesso indissolubilmente associata al sonno: davanti al vestibolo degli Inferi si ritrova, assieme al Dolore e al Lutto, il Sonno, fratello della Morte. Sulle tombe Ipnos raffigurava il sonno eterno. Tutto ciò che c’era di spiacevole e di sinistro nei presagi veniva considerato come una emanazione della notte.
I romani ebbero una visione un po’ meno pessimistica del sonno: la Speranza era sorella del Sonno e questo sospendeva i pensieri e le pene. « Sonno, riposo degli esseri; sonno, il più dolce degli dei, pace dell’anima; sonno, che ristori i corpi affaticati dal duro mestiere e ridai loro le forze per continuare… scrive Ovidio nelle Metamorfosi. Il Sonno, figlio della Notte, è stato anche considerato il padre dei sogni e Virgilio, alla fine del libro vi dell’Eneide, mette in bocca ad Anchise una curiosa descrizione: «… c’erano due porte del sonno: una di corno e attraverso di essa le ombre vere trovavano facile passaggio; l’altra di avorio smagliante brillava per il suo biancore, ma attraverso di essa i Mani non inviavano verso il cielo che fantasmi ingannevoli». Possiamo quindi immaginare che i sogni veri uscissero dalla porta di corno e visitassero i mortali dopo mezzanotte (e ciò corrispondeva pressappoco ai ricordi dei sogni del mattino) e che i sogni falsi al contrario uscissero attraverso la porta d’avorio prima di mezzanotte: essi rappresentavano i dispiaceri e il sonnambulismo che potevano in effetti arricchire la prima parte del sonno. Queste due «porte del sonno » erano già state descritte nell’Odissea e da Orazio. Le allusioni al sonno « consolatore » si moltiplicheranno in seguito nella letteratura, specialmente con Shakespeare nel xvi secolo: «Vi prego, Signore, non respingete il sonno che vi si offre, esso è un
consolatore" dichiara Sebastiano nella Tempesta. L’immagine della morte riapparirà anche in una replica di Prospero: «Noi siamo fatti della stessa materia dei sogni e il sonno conclude la nostra breve esistenza…». Come un’eco, due secoli più tardi Chamfort scriverà: « Vivere è una malattia dalla quale il sonno ci porta un sollievo temporaneo; ma è un palliativo: la morte è il vero rimedio…».
Nel xix secolo i poeti inglesi, e Shelley in particolare, parlano a più riprese del sonno «fratello della morte », proprio come Novalis nella sua opera Inni alla notte, uno dei capolavori della letteratura romantica tedesca. E chi non ricorda le righe iniziali di Aurelia: «I primi istanti del sonno sono l’immagine della morte. Un annebbiamento scende sui nostri pensieri e noi non siamo più in grado di determinare l’istante preciso in cui il nostro Io, sotto un’altra veste, continua l’opera dell’esistenza. È un sotterraneo vago che si rischiara a poco a poco e dove si aggirano nell’ombra e nella notte le pallide figure immobili che abitano il limbo. Poi il disegno si forma: una chiarezza nuova illumina e fa muovere queste apparizioni bizzarre; il mondo degli Spiriti si apre per noi ». Meravigliosa intuizione di Gérard de Nerval su questa continuità della vita scientificamente dimostrata. Marcel Proust descrive lungamente e minuziosamente i suoi assopimenti e le sue insonnie con un’evocazione intuitiva del ruolo del sonno nei ritmi biologici: «Un uomo che dorme tiene in cerchio intorno a sé il filo delle ore, l’ordine degli anni e dei mondi. Egli consulta istintivamente queste cose nel risvegliarsi e legge in un secondo il punto della terra che occupa e i tempi che sono trascorsi sino al suo risveglio».
L’insonnia appare nella vita di numerosi artisti, in particolare in alcuni compositori di genio come Ciaikovski e Wagner. Quest’ultimo descrive nei ricordi le difficoltà di sonno che hanno travagliato tutta la sua vita. Sonnambulo nell’adolescenza, soffrirà più tardi di crisi depressive che si possono collegare facilmente con una paranoia sensitiva’: egli scriverà le sue pagine più belle nel corso dei suoi accessi malinconici con idee suicide e dirà allora agli amici: « Non ho che un desiderio: dormire… ». Suo ammiratore (anche se temporaneo), il celebre filosofo tedesco Nietzsche segnalerà anche lui in un testo celebre questa indicibile pace che apporta il sonno: « Esso non arriva! Noi dormiamo, dormiamo e questo stato è bello, è bello… ». Rimbaud, in un poema assai celebre (Il dormiente del Val), ricorderà che nulla assomiglia di più al sonno che la morte.
Più vicino a noi, all’inizio del xx secolo, le allusioni al sonno si moltiplicano, in particolare nell’opera di Bergson e in quella di Alain. Questi nel suo celebre Propos aveva descritto con precisione le condizioni necessarie per dormire bene: «Lo sforzo di dormire allontana il sonno… prima di dormire noi stessi, bisogna mettere a dormire i nostri pensieri» e questo curioso rilievo sembra prefigurare i metodi di rilassamento ben noti:
« Voi che volete dormire, non rifiutate nulla alla pesantezza… ». Nel suo Diario Gide descrive periodi di sonno di cattiva qualità dove interferiscono pesantemente i problemi affettivi e l’autoerotismo: «Insonnia del nuovo, angoscia, esasperazione e finalmente abbandono, non tanto per eccesso di desiderio, ma per finirla e poter dormire in seguito; tuttavia il sonno si burla di questi appagamenti mediocri e qualcuno ci tiene tesi in seguito » (4 marzo 1918).
La storia ricorda, d’altra parte, l’importanza del sonno nella vita di molti uomini illustri: pare che alcuni interrompessero spesso e facilmente l’attività diurna per un breve sonno dal quale riemergevano con rinnovato vigore qualche istante dopo. Questa abitudine dei « brevi assopimenti"è soprattutto quella di Napoleone che aveva la meravigliosa facoltà di addormentarsi rapidamente in ogni luogo e per la durata che voleva. Egli era capace di dormire tre o quattro ore di un sonno profondo per risvegliarsi fresco e disponibile anche in piena notte: chiamava allora il suo segretario, lavorava alacremente con lui, poi si riaddormentava per una o due ore. J. F. Kennedy, la cui rocking-chair (seggiola a dondolo) è d’altronde rimasta celebre, pare che avesse il medesimo dono. Paul Valéry, al contrario, dormiva la maggior parte della giornata e cominciava la sua attività letteraria solamente verso la fine del pomeriggio, rivelando così, anche sul piano biologico, una personalità singolare.
2. Le scoperte scientifiche dei meccanismi del sonno
È soltanto all’inizio del xx secolo che compaiono i primi studi scientifici sul sonno. Non bisogna però dimenticare la celebre opera dello psicologo francese Alfred Maury il sogno e i sogni
comparsa nel 1862; si trattava però di uno studio non medico, dovuto a uno psicologo, più orientato sui rapporti del sogno e dell’alienazione mentale, sul sonnambulismo e sull’estasi che sui meccanismi del sonno. Come non dimenticare tuttavia le ultime righe della prefazione: «… i progressi dell’anatomia e della fisiologia un giorno serviranno di controllo. La conoscenza della composizione e dell’azione dell’encefalo è ancora allo stadio infantile. Le analisi chimiche che sono state fatte non sono che rozzi tentativi. Esiste tutta una fisica fisiologica che reclama illuminazioni dalla chimica organica oggi appena costituita… ». La scoperta di sostanze chimiche che permettono la trasmissione dei messaggi nervosi necessari al sonno avrebbe in effetti richiesto un secolo per dare risposta a questa visione profetica.
La ricerca sul sonno si può schematizzare in tre fasi.
La prima fase ingloba i primi 20-25 anni del secolo: essa è essenzialmente clinica, caratterizzata soprattutto dall’opera di un medico viennese, Konstantin von Economo, nel 1918 in occasione dell’epidemia di encefalite letargica, meglio conosciuta sotto il nome di «influenza spagnola », di natura virale. Le lesioni osservate in questa malattia prevalevano soprattutto a livello della regione ipotalamica (fig. 1), in prossimità del terzo ventricolo: egli dunque fu tentato di localizzare in questa sede il sistema della veglia, e poiché certi malati affetti da insonnia presentavano per contro lesioni diffuse intorno all’acquedotto di Silvio, von Economo suppose che esistesse in questa porzione del tronco cerebrale un sistema responsabile del sonno.
Gayet, medico dell’Hótel-Dieu di Lione (Lione è dunque sempre stata la capitale del sonno, poiché è ancora oggi in questa città che si sviluppano la maggior parte degli studi più importanti sul sonno sotto la direzione di Michel Jouvet), aveva osservato un malato che presentava una marcata sonnolenza. All’esame autoptico del paziente egli poté scoprire che esistevano evidenti lesioni emorragiche in una regione assai vicina a quella descritta da von Economo. Fu subito identificato il responsabile di questa encefalopatia che porta da allora il nome di Gayet: l’alcoolismo.
La seconda fase della ricerca inizia nel 1924 con la scoperta dell’elettroencefalografia da parte di uno psichiatra di Iena, Hans Berger. Praticamente nello stesso periodo un fisiologo svizzero, Walter Rudolf Hess, sulla base di osservazioni del secolo precedente sistemava degli elettrodi di profondità a livello del talamo e dell’ipotalamo del gatto. Allorché si stimola il talamo, il gatto, dopo un certo tempo dallo stimolo, va alla ricerca di un posto per dormire e si addormenta. Al contrario la stimolazione elettrica dell’ipotalamo conduce a reazioni di rabbia, di spavento o di fuga. Successivamente altri fisiologi ottennero ugualmente comportamenti di sonno stimolando altre regioni del cervello, per cui fu abbandonata l’ipotesi della localizzazione di un centro unico del sonno nella parte mediana del talamo, idea primaria di Hess. Molti pensarono allora che dovesse esistere un centro della veglia, anziché dei centri del sonno e queste idee condussero automaticamente alla teoria di un sonno « passivo » risultante dalla messa a riposo del centro della veglia. Parallelamente a questi studi sull’animale gli elettroencefalografisti Adrian in Inghilterra e Jasper negli Stati Uniti dimostrarono che l’ampiezza e la frequenza dei ritmi cerebrali variavano molto nel corso del sonno a secondadella sua profondità e in funzione del grado di vigilanza.