Realtà parallele che si intersecano
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About this ebook
Questo libro nasce proprio con l’intento di trovare una risposta a tale quesito, attraverso una serie di racconti ispirati all’attualità, ma anche includendo pillole di filosofia, politica e psicologia, in un mix di fiction e non-fiction che delizierà ogni palato.
L’importante è affrontare quest’opera con la dovuta apertura mentale e, soprattutto, la voglia di imparare a guardare il nostro mondo con un occhio critico diverso dal solito.
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Realtà parallele che si intersecano - Dario Adinolfi
Dario Adinolfi
Realtà parallele che si intersecano
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Indice dei contenuti
L’unione e la forza
Realtà parallela 1
Il bisogno di universalità
Realtà parallela 2
Il potere
Il viticoltore del castello vicino Bordeaux
Realtà parallela 3
Il fascino del male
Il cinismo della televisione
La giacca jeans
Realtà parallela 4
La macchina del tempo
Realtà parallela 5
Le grandi contraddizioni delle persone e dei popoli
L'indifferenza
Realtà parallela 6
Siamo tutti utenti, siamo tutti clienti
Idee sulla religione
Realtà parallela 7
Il potere dei mass-media
Realtà parallela 8
La sindrome del semaforo
Le Pen, Salvini, Berlusconi...o si può ambire a meglio?
Realtà parallela 9
L’unione e la forza
L’unione fa la forza, e questa è un’affermazione difficilmente negabile. A parte rare eccezioni, per poter emergere serve, oltre che una buona dose di talento, anche il fatto di far parte di un gruppo con il quale condividere le proprie aspirazioni ed i propri sogni. Più l’unione è forte, più la forza è grande. Credo che sia difficile negare anche questa affermazione. Anche se nel mondo contemporaneo la maggior parte dei legami fra le persone sono superficiali, comunque tutti desideriamo avere un certo numero di rapporti dal carattere forte, profondo. Ho un amico di famiglia che conosco da tanto tempo, un chirurgo, un’ottima persona ed un bravo professionista. Alcuni anni fa ho saputo che quest’uomo appartiene alla loggia Massonica; questo inizialmente mi ha un po’ turbato, ma poi a giudicare dalla libertà con cui ne parlava, e dal fatto che mi aveva regalato un libro su questa loggia, ho capito che era profondamente legato a questa associazione e ci credeva veramente.
Ultimamente ho visto un episodio del cartone animato Peppa Pig, il cui legame con il caso del mio amico Massone è difficile da individuare, ma esiste. In questo episodio, alcuni bambini/animali avevano deciso di fondare una cerchia
per pochi, ed i membri di questa cerchia si riunivano in una capanna, all’interno della quale era possibile entrare solo se si era in possesso di una password. Che si tratti di un ingenuo gioco fra bambini o di un’associazione matura e ragionata fra adulti, spesso gli esseri umani formano cerchie, gruppi, in maniera da sentirsi più confortati, più forti. Ma più forti rispetto a chi? Semplice, ed è questo il lato a volte negativo di questo tipo di raggruppamenti: rispetto a tutti gli altri esseri umani. In un certo senso contro
tutti gli altri esseri umani.
Esiste un altro tipo di legame forte fra le persone: l’amore, inteso come sentimento fra un uomo ed una donna, ma anche fra i membri di una famiglia. Questo tipo di legame, a differenza di quello evidenziato prima, di solito non implica una chiusura rispetto all’esterno, ma al contrario è un legame solare, che porta ad aprirsi agli altri. Questa caratteristica ovviamente non è una costante, perché a volte, cosa che succede in particolare in alcuni paesi del sud dell’Europa, la famiglia è vista come un rifugio nel quale ripararsi dai pericoli del mondo esterno, il quale è dunque guardato con diffidenza e non con apertura. Uno dei tipi di legami più forti che si possano avere fra individui, è quello che si basa sull’istinto di sopravvivenza. Questo tipo di legami si stabilisce fra le persone ad esempio durante le guerre, ed è uno dei temi attorno al quale si articola il racconto che segue, Tribù moderne
. Questo racconto inoltre mette in rilievo un altro concetto che accomuna gli esseri umani: il concetto di Nazione.
Realtà parallela 1
Tribù moderne
In questa realtà, in un’epoca molto lontana, esisteva un pianeta in cui c’era la vita, e la vita assumeva molteplici forme. In altre parole, c’erano diverse specie viventi in questo pianeta. Ma una specie era predominante rispetto alle altre: essa non si distingueva per la forza fisica, ma per il fatto che aveva sviluppato una maggiore adattabilità alle mutazioni dell’ambiente, oltre alla capacità di modificare l’ambiente stesso. Questa specie aveva sviluppato più delle altre il proprio organo di pensiero, il cervello. Era una specie che viveva in branchi, in tribù. In quel periodo, infatti, nel pianeta la cosa più importante era una sola: sopravvivere. E per questo ci si doveva unire in gruppi, perché da soli sopravvivere era impossibile.
Spesso, in periodi di carestia, le tribù si dovevano spostare per andare in cerca di posti in cui si trovava più cibo. Ma il problema era che questo voleva dire che spesso arrivavano in regioni in cui vivevano altre tribù, e che c’erano spesso guerre per la sopravvivenza. Queste guerre avevano come effetto secondario quello di rafforzare i legami fra i membri di ciascuna tribù. Infatti ci si sentiva più uniti per il fatto di avere un nemico comune. Dunque il legame fra i componenti di una tribù era il più forte che si potesse avere: perché esso andava di pari passo con l’istinto più forte che ci sia, cioè quello di sopravvivenza.
Questa era la situazione in cui viveva la specie più evoluta del pianeta, all’alba della sua esistenza. Diverse decine di migliaia di anni dopo, le cose erano notevolmente cambiate. Non esistevano più le tribù, ma esistevano comunque delle suddivisioni territoriali del pianeta, e l’identità di ciascun individuo era legata ad una particolare zona geografica. Malgrado questa suddivisione geografica, non esistevano muri fra le diverse zone, e gli individui potevano emigrare, nel caso per esempio in cui prediligessero il cibo o il clima che si trovava in altre regioni. Questo notevole progresso sociale aveva però un effetto collaterale: gli individui avevano un legame meno forte, meno profondo, fra di loro. Un legame che non era più basato sull’istinto di sopravvivenza.
Con il passare degli anni, molti individui cominciarono a sentire istintivamente la mancanza di questa atavica catena che anticamente li legava ai componenti delle loro tribù. E l’unico modo per ricreare il calore ed il conforto che i legami con i propri simili davano agli individui in epoche remote, consisteva nell’identificare con il male chiunque non appartenesse alla propria cerchia od alla propria zona geografica. In altre parole, il rifiuto di coloro che erano lontani, o diversi, non avrebbe potuto che migliorare la qualità dei legami fra quelli che si sentivano vicini e simili. Questo almeno era quello di cui, inconsciamente, erano convinti alcuni individui. Inconsciamente soltanto, perché da un punto di vista pratico questo atteggiamento mentale si traduceva semplicemente nella diffidenza, se non nel rifiuto, per chi era lontano o diverso. Ma questi individui cominciarono a diventare sempre più numerosi, e si cominciò a sentire sempre di più il bisogno di avere delle barriere fra le popolazioni, che corrispondessero con le barriere che questi individui avevano nelle loro teste. Ma come creare queste barriere?
Intanto si erano fatti grandissimi progressi tecnologici, che avevano fra l’altro permesso di esplorare lo spazio circostante il pianeta. Alcune persone ebbero un’idea: dato c’erano diversi pianeti abitabili in questo spazio, avrebbero potuto colonizzarli tutti, le risorse e le possibilità tecnologiche lo permettevano. Non solo, ma gli individui di ciascuna zona geografica avrebbero potuto trasferirsi in un proprio pianeta; questa era la soluzione perfetta per avere, finalmente, una netta separazione fra gli individui delle diverse regioni! Ci vollero alcuni decenni, ma alla fine quello che era il sogno di molti fu realizzato: le diverse popolazioni del pianeta si erano spartite i pianeti circostanti, e finalmente si era cancellata l’insofferenza verso chi era diverso, chi era lontano, dato che chi era lontano lo era a tal punto che non ci si aveva più niente a che fare.
Altri anni passarono per i nuovi abitanti di quel grappolo di pianeti. Nelle loro attività quotidiane, essi avevano sviluppato modi sempre più diversificati di fare le cose. Inoltre la crescente complessità della società aveva fatto sì che ciascuno aveva una propria idea su come gestire questa complessità. Ma fra queste innumerevoli idee diverse si potevano trovare delle somiglianze, dei punti in comune. E così gli individui cominciarono a riunirsi in gruppi. E nuovamente, l’atavica, istintiva ed inconscia necessità di immedesimare con il male chiunque sia lontano, ebbe il sopravvento. Si trattava allora di una lontananza non fisica, bensì ideologica, ma questo non cambiava le cose: gli individui si erano, per la terza volta nella loro storia, riuniti in tribù.
E non fu l'ultima volta: all'interno di ciascun gruppo si formarono dei sottogruppi, in un certo senso altre tribù, formate da individui che avevano trovato delle affinità fra di loro, affinità che li contraddistinguevano dalle altre persone e li facevano sentire superiori. E questo processo che si era innescato, che generava insofferenza verso le differenze sempre più sottili riscontrate negli altri individui, sembrava non finire mai, era irreversibile. I gruppi, i clan, erano sempre più numerosi e formati da un numero sempre più piccolo di persone. Ma inevitabilmente questo processo una fine doveva averla: il processo finì quando ciascuno capì che era solo contro tutti.
Fu l'inizio di un'era governata dall'individualismo, in cui non c'erano legami fra le persone che non fossero sporadici, e legati alle necessità del momento. E dunque quell'esigenza di legami forti fra le persone, che si era tradotta, molti anni prima, nella nascita di tribù, aveva innescato un meccanismo che paradossalmente portò ad una società in cui predominava l'individuo rispetto al gruppo, ed in cui i legami fra le persone che non fossero parenti stretti erano tutt'altro che forti, anzi erano molto superficiali. Alcuni cominciarono allora a pensare che sarebbe stato più semplice cercare, invece che sottili differenze e similitudini fra persone, il minimo comune denominatore fra di esse: il fatto di essere per l'appunto persone, esseri umani.
Tornando al nostro mondo reale, credo che la prova del fatto che è nel destino delle popolazioni che esse prima o poi si debbano mischiare fra di loro, sia costituita non tanto da fatti di cronaca come quelli che si sentono attualmente, e cioè che l'Europa è invasa da migliaia di rifugiati che fuggono da situazioni di guerra e miseria. La guerra e la miseria non sono condizioni intrinseche alla condizione umana. Piuttosto, la prova del fatto che siamo destinati a coabitare con un numero sempre crescente di persone di altri paesi, risiede nel grandissimo numero di episodi di invasioni e colonizzazioni che ci sono state nella storia. L'impulso di espandere geograficamente la propria esperienza, di viaggiare, di andare oltre
, è una caratteristica propria degli esseri umani, a prescindere dalla condizione in cui essi si trovano.
Il bisogno di universalità
Noi esseri umani siamo un puntino insignificante rispetto alla grandezza dell’universo. All’inizio della nostra evoluzione, anche se non avevamo la coscienza dell’immensità che esiste al di fuori delle nostre vite quotidiane, i nostri sensi ci permettevano di entrare in relazione con cose molto più grandi di noi, come il cielo, le montagne, ed il mare. Questa grandezza un pochino ci intimoriva, così come lo fa adesso.
La religione ci permette di sentirci uniti, da un punto di vista però universale
; la forza dell’unione che si instaura fra i credenti in una religione, non ha niente a che vedere con il legame fra i componenti di una tribù, di una setta, di un clan, o di una corrente politica: il legame fra i credenti in una religione trae la sua forza dal suo carattere di universalità
, che rende gli individui più forti non perché sono pochi, speciali, ed hanno un nemico comune contro il quale canalizzare le proprie energie, ma al contrario perché sono tanti, ed il Dio in cui credono non fa discriminazioni ma al contrario li vede tutti allo stesso modo.
Il bisogno di universalità, di sentirsi parte di un tutto e non di qualcosa di ristretto, oggigiorno trova grande soddisfazione grazie alla tecnologia. A parte i social network su internet, che costituiscono la forma tecnologica più avanzata tra quelle che permettono di proiettare gli individui in una dimensione universale, basti pensare alla televisione. Fra due diverse trasmissioni televisive, a parità di qualità dei contenuti, lo spettatore medio è molto più attratto dalla trasmissione che vanta dieci milioni di telespettatori rispetto a quella che ne vanta meno di un milione. Perché più il numero dei telespettatori è grande, più ci si sente parte di un tutto. E più ci si sente parte di un tutto, più la propria esperienza di essere umano è vista in maniera relativa, ed i propri problemi individuali assumono un carattere insignificante. Perché guardo il festival di San Remo? Forse perché penso che sarò fra i primi a scoprire il nuovo Paul Mc Cartney? No, guardo San Remo perché lo guarda mio cugino, la sorella del mio collega, ed il mio barbiere.
Alcuni anni fa ci fu il