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Incompiuto
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Incompiuto

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About this ebook

Un protagonista ignaro e impreparato che viene catapultato in un'avventura da film. A sua volta tira con sé una nuova amica e se ne sentirà responsabile. Un commissario di polizia in cerca di un amico scomparso. Il tutto fra le più belle scenografie romane.
Tre personaggi incompiuti; l'arte di Michelangelo Buonarroti, definita incompiuta anch'essa; un vero incompiuto dell'artista, nascosto da qualche parte per centinaia di anni.
"La mente vede ciò che è abituata a vedere."
LanguageItaliano
PublisherMarco Reale
Release dateNov 20, 2014
ISBN9786050337648
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    Incompiuto - Marco Reale

    In copertina: fotografia di Mauro Greco Sindici e Federico Aniballi

    Art director:Federico Aniballi

    Creazione E-Book:Cetta De Luca

    © 2014 Marco Reale

    I edizione Novembre 2012

    http://realemarco.wordpress.com/

    Incompiuto

    Marco Reale

    Dedico questo mio lavoro alle persone che amo e che ho amato.

    Sotto tutte le forme che l’amore può avere.

    Me compreso.

    1

    C’era un’aria strana quella mattina. Si era alzato dal letto, nonostante fuori la luce facesse ancora fatica ad arrivare, con il presentimento che quel giorno sarebbe successo qualcosa. Non riusciva più a dormire.

    Andò in bagno e, dopo essersi spogliato, si gettò sotto l’acqua scrosciante della doccia. Era tutto perfetto lì dentro: gli asciugamani piegati e infilati nell’apposito sostegno, le piastrelle lucenti come se fossero ancora nuove e nessuna traccia di calcare.

    Aveva fatto sesso fino a tardi e in svariati modi, ma non era appagato. Niente più, in realtà, sembrava appagarlo. Fu proprio quella mattina che si rese conto di non avere nessun odore. Si fissò allo specchio: i capelli ancora corvini e bagnati erano scompigliati da un passaggio di telo da bagno; la barba s’intravedeva dopo un giorno trascorso dall’ultima rasatura; gli occhi azzurri erano più freddi del solito.

    Sorrise di sé; si compiacque nel vedersi quello che era. Scrutò il corpo nudo ancora prestante. Ogni mattina sentiva di essere lupo, mentre il mondo lo credeva pecora. Sarebbe durato poco quel momento, lo sapeva, ma aveva bisogno di uscire allo scoperto ogni tanto. E con il tipico sorriso di chi è complice di ciò che lo specchio riflette, passò la schiuma da barba sulla mascella e sul collo. Senza mai spostare lo sguardo dai suoi occhi.

    Uscito dal bagno sembrava un altro: curato e ordinato. Si vestì in fretta, senza preoccuparsi della donna addormentata nel suo letto. Sapeva che era troppo stanca dopo le loro acrobazie notturne e, anche se così non fosse stato, non gliene sarebbe importato granché.

    Pantaloni di stoffa blu scuro ben stirati, camicia celeste con colletto e polsini bianchi, chiusa con precisione e classe. Dopotutto erano vestiti creati su misura per lui. Gli piaceva pensare che nessun altro poteva calzarli allo stesso modo. Narcisismo? No, molto di più. Era pienezza di sé e convinzione che prima o poi avrebbe dato il colpo di coda, sorprendendo persino Dio. E, forse, il tempo non era troppo lontano. Come un mimo, tirò su il colletto della camicia e annodò la cravatta fino a lasciare in bella vista il marchio giallo ocra dello stilista. Chiuse i polsini con un paio di gemelli d’oro, e allacciò le scarpe lucide.

    Stava per andar via quando gli cadde lo sguardo sulla compagnia addormentata. Si raddrizzò in silenzio e le fece scivolare, con un gesto deciso e gentile, il lenzuolo sulla pelle candida. I segni delle pratiche notturne erano evidenti. Si compiacque. Le lunghe strisce violacee sulla schiena di lei lo facevano sentire padrone di tutto. Forse aveva esagerato stavolta, ma non era ancora abbastanza: anche il sangue non gli sarebbe dispiaciuto. Poi lasciò cadere il lenzuolo che si adagiò dispettoso, a caso.

    Il cellulare era abbandonato sul comodino. Un messaggio non era stato ancora letto: Ti Amo. Sei il marito che tutte le mogli desiderano. Spero di essere in parte anch’io la moglie che un marito come te non si stancherà mai di amare. Forse sono troppo romantica, ma mi piace pensare che sai ciò che provo per te. Non ti stancare troppo al lavoro. Una moglie innamorata. Inviato da AMORE il 26/01/06 alle ore 6:30. Non lo cancellò.

    Stette ancora lì fermo a guardare quella donna nel letto.

    Prese trecento euro dal portafogli e li gettò con sprezzo sul comodino, sempre con quel maledetto sorriso sulle labbra. Si voltò e uscì.

    Nella hall c’era un bel po’ di gente che vagava in attesa di una camera e conferenzieri pronti a elargire consigli indispensabili sui più vari argomenti. Al bancone, un giovane portiere stava trattando, in un inglese quasi madrelingua, con una coppia di turisti facoltosi. Non appena si fece notare, il giovane licenziò in modo sbrigativo i turisti con un: – Wait a moment, please – e si mise sull’attenti davanti a lui.

    – Tra mezz’ora sali nella mia solita camera e butta fuori quella puttana che sta ancora dormendo – sussurrò al giovane che annuì – …e per la prossima volta trovami una russa e un’orientale. Che siano molto belle, e sarai ben ricompensato. Intesi?

    Senza attendere risposta prese una banconota da cinquanta euro e gliela mise nel taschino della divisa. Si voltò, sorrise ai turisti in attesa e andò via. Salì rapido su un’auto che l’attendeva. Via Veneto era piena di gente.

    2

    Sono uno che si fa trascinare dagli eventi. Se credo nel destino? Be’, dovrei dire di sì, per ovvietà di cose. E invece non ci credo neanche un po’, o forse ci credo così tanto da pensare che ci siano più destini, e che proprio noi decidiamo quale prendere per poi proseguire verso un altro bivio. Solo alzarsi al mattino è una scelta che in modo inevitabile ci cambierà la giornata. Poi, andremo a prendere il caffè? Altra scelta. Mescoleremo lo zucchero in senso orario o antiorario? Altra scelta. Ci laveremo i denti prima o dopo il caffè? Questa è già più complicata: dipende dal ritardo che abbiamo, perché l’effetto dell’accoppiata caffè/menta, be’… bisogna stare attenti se non c’è molto tempo.

    Tutto è un’enorme scelta. Tanti bivi che condurranno in un punto piuttosto che in un altro. E quando ci penso, credo che spesso avrei dovuto scegliere l’altra strada. L’ideale sarebbe vivere in un videogioco, così si ricomincia dal punto in cui si preferisce, con la possibilità di finali multipli.

    E infatti sono qui a decidere se alzarmi oppure rimanere a dormire beato. Ma il grillo parlante che è dentro di me non mi dà tregua. Odio la mattina!

    Per fortuna ho un capoufficio che tenta di fare l’amico così posso permettermi il lusso di un sms all’ultimo momento: Sto malissimo, se non c’è del lavoro urgente preferirei rimanere a casa. Subito dopo spengo il cellulare e chi si è visto si è visto.

    Il letto è caldo e fuori fa freddo. Questo è il vero dramma. Se mi alzo lo so che poi non mi viene più voglia di tornare sotto le coperte, ma chi ce la fa a farsi pugnalare da quell’aria gelida in agguato non appena alzi il piumone? La sento, mi sta aspettando. E siccome ho i riscaldamenti centralizzati, dovrei stare qui rintanato fino alle tre del pomeriggio e aspettare che la cavalleria venga a salvarmi sbucando dal termosifone.

    E basta! Dico al grillo parlante che mi ripete di essere vigile ai miei doveri. Credo che mi tocchi affrontare le pugnalate.

    Ho i miei riti quotidiani.

    Primo step, bagno. Per capire cos’è quel sentimento d’oppressione che mi pervade tutte le mattine. Dopo aver tirato lo scarico, di solito, lo capisco e mi sento più tranquillo.

    Secondo step, la cucina. Qui, pensando ancora al calore del piumone, appoggio la testa contro il pensile sopra al lavello mentre maledico me stesso per non aver sciacquato la moka la sera precedente. Mani sotto l’acqua fredda. Altre pugnalate. Preparo il caffè che dimentico sempre sul fuoco. Stamattina però devo farci attenzione.

    Terzo step, la mia camera. Mi tocca decidere cosa indossare. Apro le ante centrali dell’armadio. Lasciamo stare, troppo casino. Apro quelle a destra… vabbe’, mi metto quello che avevo ieri. No! I panni sullo stendino!

    Quarto step, il salotto. Lo stendino di solito è non nascosto accanto al termosifone. Ormai è diventato un elemento d’arredo. Le poche volte che amici e parenti non l’hanno visto mi hanno chiesto preoccupati se si fosse rotto. Comunque, cerco di prendere due calzini identici, ma lo so, non ci riuscirò e quando qualcuno se ne accorgerà dirò che ho un mio carattere artistico.

    Quinto step, bagno. L’acqua calda mi fa stare un po’ meglio. Se non fosse per il fatto che, quando decide lui, lo scaldabagno, fa uscire fiotti di acqua gelida. Forse sono segnali, dovrei tornare a letto?

    Sesto step, camera da letto, ancora. Dovrei vestirmi. Cazzo, il caffè!

    Sesto step e mezzo, cucina. Lasciamo stare le condizioni del piano cottura. Spengo il gas, tolgo la macchinetta e la lascio raffreddare mentre mi vesto. Anche stamattina non ci sono riuscito.

    Settimo step, camera da letto-cucina-bagno, per l’ennesima volta. Devo vestirmi e sono anche in rirardo. Bevo di corsa il caffè e mi lavo i denti. Giaccone e sono fuori.

    Per fortuna lavoro in un centro stampe molto vicino; faccio il grafico pubblicitario ma… entro ed è tutto buio. Strano.

    – Non c’è corrente per tutta la giornata, – mi ferma la voce del capoufficio – stanno facendo dei lavori, quindi siamo aperti solo per trattare col pubblico. Per oggi puoi pure andare a casa… t’è andata bene!

    Cerco di tirar fuori una faccia affranta, ma credo che la luce nei miei occhi tradisca il finto dispiacere. Saluto, esco e mi sento libero.

    Non ho voglia di tornare a dormire. E poi è una bella giornata, fa molto freddo ma a guardare il cielo sembra quasi primavera. Ma sì, vado a fare un giro, è tanto che non vado a zonzo per Roma. Mi rilasserò, dimenticherò il trantran quotidiano.

    Il primo grande bivio della giornata è andato male. Diciamo che sarebbe stata una scelta giusta se oggi non fosse il quattordici febbraio. Ah be’, non l’ho ancora confessato, sono single da ieri, per scelta… di altri. Come sto? Male direi, ma riesco a sopportarlo.

    Così, alle nove di mattina, vado alla fermata dei bus. Meta, Trastevere. Un bel giro nei vicoletti e poi il mio caffè preferito.

    Altro segno che questa sia la scelta sbagliata: il mio autobus arriva quasi subito, cosa sospetta. Dovrei accorgermi che l’arrivo istantaneo non è un colpo di fortuna, ne pagherò le conseguenze.

    Di solito quando prendo i mezzi pubblici evito di sedermi perché a quest’ora, oltre i liceali che vanno a scuola e ai lavoratori pendolari stressati che sono in ritardo per colpa del traffico creato dai lavoratori automuniti, ci sono le signore che escono soltanto per guardarti male quando non cedi loro il posto. Ti si mettono vicine come degli avvoltoi e aspettano il momento buono. Per fortuna oggi niente bacucche appollaiate.

    Seduto accanto al finestrino, rifletto. E penso a un po’ di cose confuse. La mente va da sola, collegando immagini con velocissimi fili intrecciati che non saprei ripercorrere con lucidità. Vado a ieri, ad anni fa, alle mie passioni, alle mie emozioni. Ai miei rancori. Ogni tanto me ne accorgo e torno alla realtà, quella dei cartelloni politici che s’inseguono per strada.

    Scendo e il sole mi colpisce il viso mentre guardo la vita andare avanti e indietro sui marciapiedi di viale Trastevere. M’incammino osservando quello che mi succede intorno: persone, fatti, luoghi. Mi piace scrivere e i quartieri popolari e turistici sono i migliori per trovare, con un po’ di fortuna, situazioni interessanti. Oggi non mi sembra ci sia niente di particolare,

    o forse non sono così recettivo.

    Non devo neanche attraversare, ecco lì il vicolo del mio caffè. Quanti saranno, duecento metri? Forse meno. Svolto a sinistra e lo vedo, in fondo alla strada.

    È quasi vuoto. Ma che bellezza! Mi piace quest’intimità. Mi piace quando mi riempiono di attenzioni. L’ultima volta che sono stato qui, c’era una cameriera molto carina. Dopo aver ordinato una cioccolata calda, mi portò una ciotola piena di panna e, sorridendo, mi disse: – Be’, se proprio hai deciso di farti del male, almeno fallo per bene!

    Oggi invece c’è soltanto un ragazzo italoinglese che ciancia con il barista. Lei non c’è, peccato. Decido il tavolo, sedia all’angolino. Ho una vera e propria fissazione per gli angoli.

    – Ciao – sento dietro. Mi volto. Non ci posso credere, è lei. Strano trovarla qui anche di mattina, credevo facesse il turno pomeridiano, o forse lavora a tempo pieno. Oppure, be’… questa si chiama fortuna. Ancora. Oddio, mi dovesse capitare qualcosa di brutto?

    – Guarda, basta il menù della cioccolata.

    – Ah, vuoi proprio farti del male?

    – Sì! Però non so che prendere, tu che dici?

    Mi consiglia una cioccolata all’arancia e cannella. Ci sarà da fidarsi? Lei dice che è allergica alla cioccolata, quindi non sa com’è, però la cannella l’ispira. Vabbe’ mi fido, è carina.

    Mentre aspetto la cioccolata osservo il bar, è ben arredato, anche se non capisco i tappeti sul soffitto…

    – Perso qualcosa? – mi chiede – Anche perché se l’hai persa lì su mi devi spiegare come hai fatto!

    Abbasso la testa e impiego un attimo prima di guardarla e sorridere. Un attimo che serve al mio cervello per comandare l’afflusso di sangue alle gote. Divento tutto rosso. Ottimo inizio. Farfuglio qualcosa misto ad un sorriso, ma il bluff è durato poco

    – Be’ niente, osservavo… molto carini i tappeti sul soffitto, bell’idea.

    – Se lo dici tu… – si stringe nelle spalle – Io non ne ho mai capito il motivo, e detto tra noi non mi piacciono nemmeno.

    Il sorriso svanisce dalla mia faccia. Dalla testa sento una voce che grida: serve altro sangue! Lei mi fa l’occhiolino e posa la tazza sul tavolo. Abbasso lo sguardo e mi lancio nella cioccolata. Scotta, cazzo! Fa una risatina, abbraccia il vassoio. Sono proprio patetico. Però la cioccolata è buona, bella densa come piace a me.

    – Spero d’averci azzeccato – mi dice.

    – È proprio buona!

    – Vuoi un po’ di panna?

    Annuisco con ancora le labbra sporche, mi sento come un bambino goloso. Credo lo stia pensando anche lei. Non so neanche come si chiama.

    – Be’, se proprio hai deciso di farti del male, almeno fallo per bene! – mi sorride.

    Va via subito, mentre nei miei pensieri più intimi si ferma, si siede di fronte a me e sta lì a osservarmi mentre gusto la cioccolata calda. La realtà è un’altra.

    Mi volto

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