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Biografia di una 007
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Biografia di una 007

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About this ebook

Ai nostri giorni si parla tanto di magistratura inefficiente, di giustizia che ha perso il suo valore intrinseco, di vittime di una giustizia male interpretata, di intrighi di palazzo, di mass media che guidano l’opinione pubblica verso sospetti che non necessariamente sono la verità, di poteri occulti. La protagonista sembra essere braccata da tutto questo in un intricarsi di verità nascoste o plasmate. Riuscirà la vittima, semplice Ispettore proveniente dal primo corso della polizia di Stato, ad uscire da questa morsa che la attanaglia?
www.gabriella-gagliardini.com
LanguageItaliano
Release dateMar 3, 2015
ISBN9786050361797
Biografia di una 007

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    Biografia di una 007 - Gabriella Gagliardini

    Gabriella Gagliardini

    Biografia di una 007

    UUID: 18e42950-c1d7-11e4-b4d8-1ba58673771c

    This ebook was created with BackTypo (http://backtypo.com)

    by Simplicissimus Book Farm

    Dedica

    A mia madre,

    a perenne ricordo

    CAPITOLO I

    Arruolamento

    Era la vigilia di Natale, uno dei giorni più romantici e sereni di tutto l’anno, ma un’atmosfera pesante e angosciosa aleggiava tra le stanze di casa. Mia madre, costretta a letto, già da lunga degenza, faceva sentire di tanto in tanto la sua voce e mi chiamava, quasi per chiedere il conforto di una presenza umana a cui dedicare gli ultimi giorni della sua vita.

    Avevo fatto il Presepio, come ogni anno, e l’avevo allestito nel caminetto, con un gioco di specchi ero riuscita a farlo vedere a lei, come misera soddisfazione, anche se costituiva un espediente per non farla pensare al suo destino, che era chiaro ed implacabile per la sua mente lucida e perspicace.

    Da quell’odiato letto mia madre poteva distinguere appena il tempo atmosferico, attraverso la finestra; stava nevicando a larghi e soffici fiocchi e già un bianco tappeto si era adagiato al suolo.

    Quante volte avevo desiderato la neve e quante volte l’avevo ammirata scendere, incantata alla finestra, con una serenità immensa nell’animo! Tuttavia, quel giorno non era come gli altri; un presagio incombente mi atterriva, un lugubre presentimento di qualcosa di tremendo ed irreversibile mi attanagliava la gola. Avevo, fino a quel giorno, benedetto tutti gli istanti che ancora potevo trascorrere con mia madre; ma ora, forse, stava arrivando l’ultimo, l’ultima fioca speranza si stava dileguando nel nulla. Era giunta l’ora di chiamare l’ambulanza e, quando la vidi allontanarsi per le scale, trasportata in quella piccola lettiga, capii che quello era l’ultimo viaggio senza ritorno che stava compiendo.

    La sciarpa rosa, che le avevo messo in testa per proteggerla dal freddo e dalla neve, si stagliava sul tappeto innevato, la seguii con gli occhi fino a quando la chiuseronell’ambulanza e, man mano che si allontanava, sentivo il mio cuore quasi spezzarsi dallo strazio che provavo.

    Il 9 gennaio la mia mamma ci lasciò per sempre, alla precoce età di cinquanta anni, anche se non potrà mai sparire dai nostri pensieri. Restammo, mio padre ed io, in balia di noi stessi; ci sentivamo come due naufraghi,appena approdati su un’isola sperduta e sconosciuta di un oceano.

    Le giornate scorrevano lente, nel perenne ricordo di quel sorriso e di quel volto luminoso che riusciva a farci sperare l’impossibile.

    Verso la fine di febbraio, tempo di carnevale, il più triste che io ricordi, una lettera della Questura di Ancona mi convocava a Nettuno per il giorno 8 marzo per il corso in Polizia, tanto atteso, ma che iniziava proprio in un periodo decisamente non favorevole.

    I pensieri più disparati si susseguivano intrecciandosi nella mia mente, sentimenti di angoscia, di morte, di solitudine e di soddisfazione, benché molto debole, per il mio primo lavoro.

    Non ero mai andata da sola lontano da casa, eccettuato il periodo di preparazione della tesi di laurea a Grenoble, tempo spensierato e felice trascorso in compagnia delle mie amiche gemelle Lunettes et Coccinelle, giorni irripetibili,all'insegna della folie grenobloise; ora era diverso, una cappa di piombo sembrava incombere sullamia testa, un’angoscia disperata era la componente principale delle mie giornate insulse e prive di stimoli. I giorni si susseguivano inesorabilmente uguali, senza entusiasmo e senza voglia di vivere. Un piccolo barlume di speranza faceva capolino, una debole opportunità di ricominciare da capo veniva offerta da questo corso per Ispettore di Polizia. Un tempo ero entusiasta di quel lavoro che ritenevo creativo e in cui trovavano espressione i più alti e nobili valori di giustizia che avevano determinato in me la decisione protesa a diventare Ispettore; quel tipo di lavoro mi aveva affascinato, sin da bambina, a causa delle indagini che si sarebberodovute esperire.

    Mia madre lo considerava rischioso, ma il rischio non mi aveva mai spaventato e continuai ad andare avanti per la strada che mi ero prefissata, incurante e completamente ignara dell’ambiente in cui avrei dovuto operare. Forse anche un pizzico di autodistruzione mi spinse ad intraprendere quella via perché, vedendo consumare mia madre giorno per giorno, comprendevo il dissolversi inesorabile della nostra famiglia felice, in cui, un tempo, regnava l'affetto e la serenità; continuavo a ripetermi che, in quel piccolo nucleo di tre persone, se fosse venuta a mancare la mamma,non sarebbe stato più come prima, quindi, il rischio o il pericolo non mi provocavano la minima reazione.

    I giorni scorrevano senza posa e si avvicinava, così, quello della partenza per Nettuno. Ero come un pulcino che esce dal guscio appena dischiuso; intorno a me sentivo un senso di vuoto inesorabile. Mio padre decise di accompagnarmi a Nettuno perché anche per lui sarebbe cambiata la sua vita: prima per il distacco atroce da mia madre, poi per il mio e sarebbe rimasto solo in quella casa, un tempo radiosa, ora buia e piena di pianto.

    Il giorno 8 marzo arrivò; già di buonora mio padre ed io ci mettemmo in viaggio per raggiungere Nettuno in tempo.

    Di fronte alla scuola di Polizia c’era una marea di gente, tutti gli aspiranti vice-Ispettori -così ci chiamavano- ed i relativi accompagnatori. Mi sono rimaste impresse le lacrime versate dai futuri colleghi, era come un servizio militare vero e proprio e il distacco dalla famiglia si faceva sentire, anche se saremmo diventati dei poliziotti sprezzanti del pericolo!

    Lasciai mio padre con un’amarezza e un vuoto interiore indescrivibili, tuttavia, cercai di reprimere questi sentimenti per non preoccuparlo ulteriormente.

    Una volta entrata in caserma fui dirottata in quella che sarebbe stata la mia stanza per nove mesi. Arrivai in un grande camerone, una stanza dai soffitti altissimi, secondo il vetusto stile architettonico proprio di un tempo, ormai remoto, senza economia di spazio. Tuttavia, lo stanzone non era tutto per me, erano già arrivate altre quattro ragazze ed erano indaffarate a rifare i letti. Le tre ragazze di fronte al mio letto erano allegre e riempivano la stanza con le loro voci argentine. La mia vicina, bruna come me e con i riccioli, mi venne incontro dicendo: Ciao, il mio cognome è simile al tuo e ci hanno messo insieme. Pian piano cominciai a parlare con loro e la malinconia si dissipava a poco a poco, anche se nel fondo del mio cuore regnava la tristezza.

    La zia Sally, così si era autodefinita la mia vicina, si dimostrò molto comprensiva e avvertì subito che qualcosa non andava in me. Cercò più volte di farmi sputare il rospo che mi tormentava, ma più volte le risposi di non avere niente, solo un po’ di malinconia. Alla fine mi decisi a raccontarle la mia storia e, da allora, diventammo amiche inseparabili per tutta la durata del corso.

    I primi giorni furono di ambientamento, grandi corse per ritirare la divisa al magazzino, l’occorrente per i vari sports, le pazze corse verso la mensa, per evitare la fila, dopo le noiose lezioni mattutine che ci provocavano la caduta degli zuccheri! Dopo qualche mese di questa routine, quando la primavera cominciava già a farsi sentire negli animi diffondendo quella specie di speranza che è propria di questo periodo dell’anno, incontrammo, -zia Sally ed io- due colleghi simpatici e cominciammo a frequentarli. Uno dei due aveva due occhi meravigliosamente azzurri, di una tonalità mai vista, era molto simpatico, intelligente e gentile, c’erano tutte le premesse per un grande amore. E, infatti, scoppiò una grande passione, quella che ti fa battere il cuore e ti toglie il respiro. Cominciammo ad avere sempre più bisogno reciproco di vederci tutti i giorni, ad ogni momento: all’intervallo delle lezioni, alla mensa, la sera in pizzeria e così fino alla fine del corso. Non pensavo che potesse essere un amore così intenso e duraturo, ma lo vissi come un dono meraviglioso dell’Imponderabile, come un fiore che sboccia in mezzo ad un deserto fatto di lacrime. Mi aveva ridato la gioia di vivere.

    C’era, naturalmente, qualcuno che era invidioso di questo legame così genuino e pulito. Questo qualcuno era una donna che per me rappresentò la dama nera o la donna di picche dei Tarocchi. Il suo nome era Clodovea, donna meschina e malata di quel sentimento così basso e torbido che si chiama invidia. Faceva di tutto per metterci in ridicolo, arrivando anche a seguirci, un’afosa sera d’estate, mentre cercavamo un qualche refrigerio con un cocomero consumato sulla spiaggia, insieme ad altri colleghi.

    La sua alzata d’ingegno la pubblicizzò addirittura in aula rappresentandola sotto forma di relazione di servizio dipedinamento, compito assegnatoci il giorno prima. Da quel momento, istintivamente, ci dichiarammo guerra.

    Arrivò anche la fine del corso, inesorabile e, come la naia, fu teatro di pianti disperati e di distacchi dolorosi. Anch’io provai questi sentimenti e mi distaccai dallo angelo dagli occhi azzurri con la morte nel cuore pensando di non rivederlo mai più, ma nello stesso tempo, giurandogli amore eterno.

    CAPITOLO II

    Questura di Ancona

    Fui assegnata alla Digos di Ancona e lui a Catania; eravamo talmente lontani che non speravo proprio di continuare un legame di questo tipo, anche se profondo.

    Evidentemente mi sbagliavo tanto che lui, armato dalle migliori intenzioni, chiese poco dopo il trasferimento per avvicinarsi a me e potermi, quindi, sposare. Avevo il cuore pieno di gioia, non avrei mai immaginato che potesse accadere a me tutto questo! Ben presto, la cruda realtà avrebbe, di nuovo, fatto vedere il suo volto. Infatti, la lontananza aveva fortificato il nostro legame, ma la lontananza prolungata e, apparentemente senza fine, è nemica di qualsiasi rapporto e riesce ad incrinare ogni superficie più levigata. Il morbo della gelosia cominciava a tarlare la sua mente e a scavare in lui sempre più in profondità.

    Il trasferimento anche dopo due anni, periodo previsto per le prime assegnazioni, non arrivò e purtroppo decidemmo di interrompere una relazione cominciata dietro un’altra prospettiva che si era totalmente trasformata a causa di fattori esterni, anche se esulavano dalla volontà di entrambi.

    Intanto, nel mio ufficio di prima nomina mi trovavo perfettamente a mio agio, grazie al dirigente e ad un Ispettore Capo donna, ex Assistente di polizia, due persone squisite. Anche il personale era ben amalgamato e volenteroso, costituito per la maggior parte da gente giovane e motivata.

    Cominciai il mio nuovo lavoro con l’entusiasmo di un bambino che si appropinqua a conoscenze nuove, verso sconosciuti mondi da scoprire, inconscio delle insidie che possono esservi celate. Avevamo avuto degli avvertimenti alla Scuola di Polizia circa gli ostacoli che avremmo dovuto superare, ma non ci rendevamo conto del muro che questi ostacoli costituivano e che avremmo dovuto abbattere per continuare ad andare avanti.

    Il primo choc si verificò quando seppi che un sottufficiale era solito asportare soldi liquidi dalle borsette incustodite delle signore che lavoravano in Questura che, disgraziatamente, si dovevano allontanare dalla loro stanza per una ragione qualsiasi. Quest’uomo, sempre allerta, con passo felpato s’introduceva nelle stanze e sottraeva solo una parte del liquido che trovava, lasciando così il dubbio nelle malcapitate.

    Per me era cosa inconcepibile e non riuscivo a capire come nessuno non avesse mai provato ad incastrarlo con qualche trappola, studiata appositamente. Il mio carattere cominciò a ribellarsi a questa situazione che si ripeteva da anni e cominciai a scalpitare per cercare di capire la quasi totale indifferenza di tutti di fronte a tali fatti, per me gravissimi.

    Di solito, ogni situazione inspiegabile ha una sua logica intrinseca, basta riuscire a scoprirla e a penetrarne il suo significato. Cominciai a fare indagini, d’altronde era il mio lavoro, e arrivai alla verità: il sottufficiale era protetto molto in alto perché era in possesso di una buona arma di ricatto nei confronti di un funzionario, anche lui corrotto. La questione era molto seria, ma non mi spaventava più di tanto perché non potevo restare con le mani in mano, dovevo fare qualcosa, dovevo denunciare il fatto. Fui bloccata da un funzionario che lesse la mia relazione relativa, facendomi capire il rischio che correvo di essere fagocitata nello spazio di un attimo con conseguente fine della carriera di Ispettore, poichénon avevo ancora terminato ilperiodo di prova. Accantonai, per il momento, il mio impulso di giustizia ripromettendomi di riprendere il discorso in futuro.

    Intanto, si era creata una certa tensione tra me e la volpe, sembrava che capisse i miei movimenti. Non riuscivo certo a guardarlo in maniera benevola ed ero sempre in attesa di un suo passo falso. Lui era una persona anche molto intrigante, amava mettere zizzania e fare da portavoce a chiunque potesse ripagarlo con dei favori. Io, che non sono stata mai una menefreghista riuscivo solo a consumarmi il fegato perché non vedevo una possibile via d’uscita.

    Mi capitò, nel frattempo, un incarico interessante, avrei dovuto coordinare i servizi di sicurezza per il Principe Andrea d’Inghilterra. Il Console inglese e la guardia del corpo del Principe vennero un giorno in Questura per programmare la missione che avrebbe fatto Sua Altezza proprio ad Ancona con la nave della Royal Navy. I due signori chiesero alla Digos una scorta speciale per l’occasione e una persona fidata che parlasse inglese. Il Questore mi mandò a chiamare ed ebbi un breve colloquio con la guardia del corpo del Principe poi, egli stesso acconsentì alla mia presenza in questa delicata e singolare missione. Un funzionario non fu molto contento della scelta, -uomo frustrato ed invidioso di natura-, non riusciva ad ingoiare il rospo di rimanere nell’ombra, data la sua scarsissima conoscenza della lingua; il suo quadro, non del tutto limpido, era oscurato ancora di più dalla sua stessa ammissione di essere un misantropo e di vedere le donne come il fumo negli occhi. Si prodigò, quindi, in tutte le maniere a che l’Ispettore inglese cambiasse idea sul mio conto e gli prospettò un agente di sua conoscenza che masticava un po’ la lingua. I due signori non si lasciarono convincere e decisero: No, la signorina va bene e poi è preferibile che ci sia un Ispettore come responsabile della scorta. Quelle parole non diedero spazio ad alcuna replica, infatti, bloccarono il funzionario che non osò dire altro, ma ero certa, notando la sua espressione sdegnata, che il suo odio represso l’avrebbe riversato su di me in futuro, in qualche modo.

    Infatti, quando arrivò il giorno tanto atteso lo stesso funzionario, che si occupava dei servizi del personale, fece in modo di cambiare il mio orario per non farmi presenziare all’arrivo del Principe Andrea. Seppi solo il giorno dopo che era stato chiamato quell’agente a fungere da interprete. In quel periodo ero in balia di me stessa perché il mio dirigente era in ferie e mi aveva lasciato in pasto ai lupi non di proposito, ma perché riteneva che potessi cavarmela da sola. Cominciai a riflettere su come poter passare al contrattacco e tra le diverse soluzioni valutai la più adatta alla situazione. Decisi di affrontare il numero uno della Questura senza cercare di arrivarci attraverso vie ausiliarie poco sicure, che avrebbero distorto i fatti e compromesso tutto il servizio.

    Per me era, fino a quel momento, un’idea impensabile andare a parlare direttamente con il Questore, mai avvicinato; eppure mi feci coraggio e chiesi di essere ricevuta. Dopo il primo tentennamento, dovuto ai battiti cardiaci che sembravano impazziti, riuscii a spiegare la situazione e ribadii che il Console britannico e la guardia del corpo del Principe Andrea mi avevano scelto per questa missione.

    Non trovai ostacoli da parte sua e accondiscendendo alla mia richiesta il Questore mi affidò ufficialmente l’incarico.

    Cominciai a prendere a cuore la questione e a prodigarmi affinché tutto quanto fosse organizzato nel migliore dei modi. Sapevo di poter contare sul personale, tutto preparato e in gamba, quindi cominciai a contattare l’Ispettore britannico per il programma di lavoro. A parte gli incontri ufficiali, previsti dal protocollo, il programma era molto singolare perché il Principe Andrea amava tenersi in allenamento e spezzare gli impegni della giornata con il jogging e non gradiva affatto qualsiasi tipo di scorta. Geff, così si faceva chiamarefamiliarmente l’Ispettore, si raccomandò, per contro, di non perderlo di vista un momento; anche lui avrebbe fatto altrettanto.

    Eccolo uscire in pantaloncini e scarpe adatte alla corsa, mimetizzandosi tra la gente comune, lungo i vicoli di Ancona nella zona che va dal porto alla chiesa di S. Ciriaco, che domina il mare. Cercò di seminarci tutti per un paio di volte, ma il nostro scattante autista riuscì sempre ad averlo sotto gli occhi. Ad un certo momento il Principe si diresse verso le scalette che ornano la parte storica di Ancona ed io scesi dall’auto cercando di seguirlo mentre la stessa faceva il giro dell’isolato per poterlo riprendere alla fine dell'angusta stradina. Terminato il suo allenamento, lo vedemmo salire sulla Brazen e sostare all’entrata di essa per rendere omaggio a coloro che si erano repentinamente schierati per ossequiarlo.

    Il nostro compito, per il momento, era finito e rientrammo in ufficio in attesa di nuove disposizioni.

    Poco dopo telefonò Geff che chiese un incontro sulla nave poiché non poteva muoversi e avrebbe dovuto concertare il nuovo programma.

    Andammo, quindi, verso il porto e salimmo, io con un valido poliziotto, sulla nave e, dopo aver assistito allo schieramento degli uomini della Royal Navy, -cosa del tutto insolita per noi e alquanto imbarazzante, - entrammo e chiedemmo dell’Ispettore Geff P. Questi ci venne incontro di lì a poco e ci presentò a Sua Altezza.

    Aveva allora ventisei anni, era al massimo della sua bellezza, alto, asciutto, bruno, due occhi verdi che si stagliavano tra i lineamenti del suo viso. Il sorriso aperto non aveva niente di affettato, né denotava distacco e formalità; lo trovai schietto nei suoi modi, anche se un atteggiamento quasi impercettibile, proprio dei nobili, non faceva dimenticare la sua origine.

    Ci offrì il tè in una saletta della nave e scambiammo poche parole con lui. Le ragazze della Questura erano tutte emozionate al pensiero che il famoso idolo delle donne stesse proprio ad Ancona e non smettevano di chiedere le mie impressioni su di lui ogni volta che dovevo vederlo, per ragioni di servizio. Chissà quante ragazze sarebbero state molto volentieri al mio posto nel momento in cui il Principe Andrea era seduto proprio di fronte a me! Purtroppo non potevo permettermi fantasie e sogni romantici, come avrei fatto anch’io in altre occasioni, ora ero là per lavoro e dovevo compierlo nel migliore dei modi per non dar adito a pettegolezzi ed a denigrazione ingiusti nei confronti delle donne poliziotte!

    Ritornammo, quindi, al nostro programma di lavoro subito dopo la breve pausa del tè, che era servita a far sorgere un’atmosfera cordiale, scevra da ogni tensione emotiva, conseguenza naturale di quel determinato momento.

    Ci sarebbe stata una cena di gala offerta dall’Ammiraglio e la perfezione era di rigore in quell’occasione. La scelta del vestito per la sera si fece ardua poiché avrei dovuto indossare un capo elegante, da cerimonia, che mi permettesse di confondermi tra gli invitati e, nello stesso tempo,che fosse in grado di celare la pistola che portavo al mio fianco destro.

    Optai per un completo pantalone verde con una camicia ricamata di seta che dava un tono un po’ civettuolo, non svelando, però, il mio vero compito in sala.

    Gli invitati erano elegantissimi, c’erano i personaggi più in vista della città e tutta la nobiltà di Ancona. Tutti erano trepidanti nell’attesa di Sua Altezza il Principe Andrea di Inghilterra e il brusio che riempiva la sala faceva aumentare l’ansia.

    All’improvviso, un silenzio assoluto annunciò l’arrivo del Principe. Non posso nascondere che era bellissimo nella sua alta uniforme, con quel suo sorriso smagliante che metteva in risalto i denti bianchissimi, illuminando l’espressione dei suoi occhi.

    Le ragazze della sala erano tutte intorno a lui e ciascuna sembrava immedesimarsi per un istante con la bella favola di Cenerentola e del suo Principe Azzurro. Ad un tratto una ragazza piccolina, bruna, vide il suo sogno quasi avverarsi. Infatti, era corsa dal padre, un importante ufficiale della Marina, per dirgli che sarebbe uscita con Sua Altezza Andrea. Questi le rispose, affatto disturbato, ma del tutto compiaciuto: Non fare tardi e, mi raccomando!

    Il Principe e la ragazza fecero due passi a piedi; erano molto allegri entrambi, frutto di una splendida serata che si riprometteva ancora migliore. Si diressero verso il porto e, arrivati alla nave, il Principe disse qualcosa all’orecchio di Geff il quale si rivolse a me con fare segreto e mi pregò di aspettare l’uscita della ragazza con la scorta e di accompagnarla a casa. Io, allibita, replicai prontamente che la nostra scorta non era un servizio di taxi e che noi eravamo addetti solo alla persona di Sua Altezza il Principe Andrea; quindi, una volta salito il gradino della passerella della Brazen il Principe era in territorio britannico e la nostra giurisdizione, di conseguenza, cessava di essere. Geff non osò insistere, data la risolutezza delle mie parole; disseancora qualcosa al Principe, poi ci salutammo con il proposito di risentirci l’indomani.

    Contrariamente a quanto si afferma che dopo la tempesta viene il sereno un vero e proprio tornado si scatenò il

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