Cantiere Expo - I gatti di Mozart sui tetti di Milano
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Book preview
Cantiere Expo - I gatti di Mozart sui tetti di Milano - Filippo Senatore
Filippo Senatore
Cantiere Expo I gatti di Mozart sui tetti di Milano
«Ritroviamo in questo gustoso balletto, collocato nel tempo
che fu, persone, luoghi, avvenimenti che, felicemente raffrontati ad analoghe situazioni del nostro tempo, suscitano memorie e rimpianti, rievocano sorrisi e affetti. Ricca di rimandi e citazioni, la raccolta cattura la curiosità del lettore accompagnandola insieme alla puntuale cronaca del Corriere della Sera, attraverso errori e glorie di Milano che l’autore, cosentino di nascita, ha imparato ad amare come fosse un nativo, ad apprezzarla o – amorevolmente – biasimarla, spronandola ad maiora » .
Wanda Allora
UUID: 978-88-98740-04-8
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Table of contents
Cantiere Expo
I dimenticati di Via Solferino e altre divagazioni
Antichi mestieri
Aspirante capitale
Podestà e sindaci
Casta e divi
Animali esotici e luoghi magici
Tempio musicale
Resistenze e Risorgimenti
Olio di gomito
Extra Expo
Cieli rasserenanti
Note
Ringraziamenti
Cantiere Expo
I gatti di Mozart sui tetti di Milano
«Nel suo profondo vidi che s’interna
legato con amore in un volume,
ciò che per l’universo si squaderna»
(Dante, Commedia, Paradiso, 33° canto)
«What are the roots that clutch, what branches grow
Out of this stony rubbish? Son of man,
You cannot say, or guess, for you know only
A heap of broken images, where the sun beats,
And the dead tree gives no shelter, the cricket no relief…»
(Thomas S. Eliot, The Burial of the Dead)
«Ma intanto lei, portata via dal sonno, inconsapevole del male che ha fatto e che farà, si libra sotto i tetti
i lucernari le terrazze le guglie di Milano, è una cosa giovane piccolissima e nuda,
è tenero e bianco granellino sospeso pulviscolo di carne,
o di anima forse con dentro un adorato e impossibile sogno».
(Dino Buzzati, Un Amore)
Tutti i diritti riservati all’Autore
Indice
La città piena di vita di Gian Antonio Stella
La galleria della mente di Marco Travaglio
I dimenticati di Via Solferino e altre divagazioni
I Labirinti
II Archivi
III Avrei bisogno subito
IV Nostromo
V Barzini e Montanelli
VI Il venditore di almanacchi
Antichi mestieri
VII Quando i Cesaroni vivevano a Milano
VIII Il mio nome è Lara
IX Quei due spari in Via Fiori Chiari
X Poeti maledetti
XI Banditi a Milano
XII Ieri e oggi
XIII Per non dimenticare Ernestina
XIV Mussolini e le milanesi
XV Movida infinita
Aspirante capitale
XVI Quando Giulio Cesare scoprì il burro
XVII Un inno da strada per Expo 2015
XVIII Milano da Costantino a Expo
XIX Cicco e i suoi fratelli
XX L’amico Fritz e le sue impressioni su Milano
XXI Gli orti di Milano
Podestà e sindaci
XXII Oldrado e la casta (nel 1229)
XXIII I bambini di Vienna e i tramvieri milanesi
XXIV La filosofia di Antonio Greppi
XXV Il sindaco ambientalista
Casta e divi
XXVI Deputato milanese senza compensi
XXVII Il lamento della casta
XXVIII Le due prime del 1953
XXIX ‑Quel giorno in pretura
XXX Ruggero Ruggeri
Animali esotici e luoghi magici
XXXI L’iguana e il boa
XXXII D’Amora noir
XXXIII Il romanzo di Milano
XXXIV La Bullona, una stazione in cerca di futuro
XXXV La maledizione della torre fantasma
XXXVI I tremila passi
XXXVII L’Anfiteatro romano in condominio
XXXVIII La fontana che guarì il nipote del re
Tempio musicale
XXXIX Prima alla Scala
XL Il sogno di Mariafrancesca
XLI Verdi in Piazza Scala
XLII Un autore dimenticato
XLIII Prove generali per una Milano migliore
Resistenze e Risorgimenti
XLIV La signora del Risorgimento
XLV Adele, quell’amore per Milano
XLVI Comandante Giustizia
XLVII Tafferugli alla Scala
XLVIII La marcia di Radetzky
XLIX Da Ventotene a Via Solferino
L Come Antigone 117
LI La tregua 118
LII L’amico di capitan Facchetti
Olio di gomito
LIII Albergo Candidezza
LIV Il giudice onorario
LV Pugni
LVI Il milanese che inventò il ventilatore
LVII L’artificio e l’invenzione
LVIII Raimondo Guaita
LIX Fotografia in movimento
LX Raffaele e Guglielmina
Extra Expo
LXI Scossi come siamo
LXII La bicicletta dell’equilibrista
LXIII Il poeta cancelliere
LXIV Convergenze parallele
LXV Le vedovelle milanesi
Cieli rasserenanti
LXVI Stelle cadenti
LXVII ‑Quando la tristezza si dissolve
come la nebbia al sole
LXVIII Addio Maestro
LXIX Verga e Milano
LXX I gatti di Mozart e la Marsigliese
PREFAZIONI
La città piena di vita
«C’è un Duomo con tante guglie appunto perché ogni immigrato ne scelga una e vi alzi o vi ammaini la sua bandiera. Io così feci, la mia era una guglia nana, secondaria, verso il Corso Vittorio Emanuele, ma agì come qualsiasi altra e Milano mi trattenne, eccomi qua».
Forse nessuno, fra tutti coloro che hanno amato e raccontato Milano, è riuscito a cogliere con tanta poesia una delle cose che per decenni hanno segnato questa città: lo spirito di accoglienza, magnificamente descritto da Giuseppe Marotta alla fine degli anni Quaranta in questo articolo sul Corriere d’informazione
intitolato «Piazza Duomo». Spiegava il grande scrittore partenopeo: «Del giorno in cui vennero a Milano molti di noi parlano come di una loro seconda nascita». E proseguiva, descrivendo quelle guglie: «Chi avrà ora la mia guglia, un manovale di Pontassieve o un baroncino di Catania? Tieni duro, amico: è una cara vecchia guglia che in principio sta sulle sue ma poi cede, ma poi si scalda. Mettiti all’angolo di Via Pattari, lasciati vedere e guardala, sembra un dito puntato sui santi per dirgli tirate a sorte fra voi ma il designato si spicci, aiuti questo ragazzo che ha i giorni di pensione contati, che diavolo ci state a fare lassù?».
Scrisse negli anni del boom Indro Montanelli che il capoluogo lombardo era «la città italiana meno xenofoba e quindi la più qualificata a diventare una metropoli. Le industrie non bastano a creare un clima cosmopolita. Torino di industrie ne ha quante Milano, ma rimane chiusa nelle sue allergie razziali, quindi è provinciale. Milano è aperta, anzi spalancata, come lo sono tutti i porti franchi
».
Forse quest’idea di «Milan col coeur in man» era un po’ troppo ottimista. E dettata dall’amore che il grande giornalista di Fucecchio provava verso quella città che gli aveva dato tutto: «Io sono un contadino, uno cresciuto nella campagna delle Vedute e tra i boschi della Cerbaia. Un contadino
che andò a Milano con quattro stracci e poi ebbe molto da quella città, dall’Ambrogino all’ambrogione"». Una città che aveva mantenuto con lui le promesse dei miti infantili quando andava pazzo «per certe scatole di burro che si chiamava, ricordo, Locate Triulzi » e che il nonno riportava dai suoi viaggi nel capoluogo lombardo: «Il burro nostro era certamente migliore perché ce lo facevamo in casa col latte delle nostre mucche. Ma il Locate Triulzi era il burro della domenica perché veniva da