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All'ombra del castello, sotto il manto di Re Lupo
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Ebook170 pages1 hour

All'ombra del castello, sotto il manto di Re Lupo

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Nel titolo sembra si voglia rievocare una caratteristica propria di noi, borghigiani ossolani, che si distinguono dalle altre contrade a noi confinanti perché storica- mente quando eravamo in difficoltà pote- vamo rinserrarci “all’ombra del Castello” (...) chiedendo asilo al “manto del Re”, ovvero ad una autorità che era in grado di proteggere Vogogna e con essa i suoi abitanti e la sua Storia. E’ un’immagine che vale per ieri, ma vale per oggi e per domani.
dalla prefazione di Enrico Borghi
LanguageItaliano
PublisherLuca Ciurleo
Release dateAug 22, 2014
ISBN9786050318159
All'ombra del castello, sotto il manto di Re Lupo

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    All'ombra del castello, sotto il manto di Re Lupo - Luca Ciurleo

    978-88-909025-8-1

    Indice:

    Vogognesità (Enrico Borghi) 5

    L’autore 8

    Introduzione 9

    Parte I:

    Vogogna vista da fuori, Vogogna vista da dentro 15

    Parte II:

    Chi è Re Lupo? 24

    Parte III:

    La paura del tempo che passa 48

    Parte IV:

    La paura dei morti e delle streghe 65

    Parte V:

    Il mercato, l’alimentazione, la sussistenza 77

    Parte VI:

    Altri ricordi 86

    Parte VII:

    Migrazione ed integrazione 96

    Appendice fotografica 104

    Bibliografia 113

    Vogognesità

    Cinque anni fa, con i colleghi dell’Amministrazione Comunale, decidemmo di dedicare buona parte dell’attività culturale della consiliatura al tema della identità vogognese.

    Questo libro è il suggello di un lavoro intenso e approfondito, del quale desidero ringraziare tutti gli amministratori che vi si sono impegnati, le associazioni, i volontari e gli studiosi che hanno cooperato con il loro lavoro e la loro opera a dare corpo a questo progetto, piuttosto singolare per un piccolo Comune.

    In realtà, se Vogogna è limitata sia dal punto territoriale e demografico, altrettanto non può dirsi sotto il profilo culturale.

    Nel nostro bagaglio etnico e culturale di Vogognesi, infatti, ci portiamo dietro un’eredità straordinaria.

    Una storia plurimillenaria, visto che le prime tracce di Vogogna compaiono in un documento del 970 dopo Cristo, a testimonianza di una comunità evidentemente preesistente come comprova la lapide romana della Masone e il passaggio di Settimio Severo nel 196 d.C.

    Un ruolo secolare di spicco e di guida, sostanziato sia negli oltre cinquecento anni di capitale dell’Ossola Inferiore sia nell’organizzazione territoriale ed urbanistica giunta fino a noi. Una tradizione culturale di tutto rispetto, che la vide dapprima centro cosmopolita per le attitudini dell’epoca in quanto luogo di concentrazione della borghesia ossolana per molti secoli e in funzione di ciò produttrice di veri e propri protagonisti della cultura del territorio. I nomi del Lossetti Mandelli, dell’architetto Vietti Violi, di don Airoldi o di Francesco Zoppis – per citarne alcuni - hanno segnato la produzione culturale ossolana, regionale e addirittura nazionale se si pensa all’esperienza di Vietti Violi.

    Questa storia, questa eredità, questa tradizione hanno forgiato la Vogogna di oggi. La sua identità. Identità è un parola che deriva dal latino idem, lo stesso. Rispecchiandoci nella stessa identità, ci sentiamo uguali, anche se abbiamo origini biologiche diverse, culture differenti, credi politici o religiosi difformi. Lo stesso Aristotele, quando descriveva l’identità la definiva come unità nella sostanza. Abbiamo così deciso di lavorare su questa identità, perché essa non è mai stabile o fissa, altrimenti finirebbe per trasformarci in folklore e farci fare la fine degli Indiani d’America nelle riserve, costretti ad autoperpetuarsi nelle forme e nelle culture solo per appagare chi li osserva da fuori. L’identità, il chi siamo, è invece - per dirla alla Heidegger - nella relazione, si costruisce cioè dentro la dinamica e il fluire della Storia e delle relazioni umane.

    E la sua natura risiede nella consapevolezza del fatto che la propria esistenza deve essere continuativa nel tempo.

    Quando hai una identità vera, forte, sincera, la trasmetti alle generazioni che vengono. Con le eredità culturali - il linguaggio, il dialetto, gli usi e i costumi - e con quelle fisiche.

    I Vogognesi che costruirono il Castello, il Pretorio, la Chiesa non pensavano a se stessi, o non solo. Pensavano alle future generazioni, all’esigenza di costruire un’espressione visibile della Vogognesità forte al punto da potersi trasmettere di generazione in generazione dentro la funzione attribuita al monumento. E forte al punto da voler legare a questi monumenti i tratti della propria filosofia di vita (le lapidi del Pretorio, che abbiamo restaurato) e addirittura i nomi delle proprie famiglie (nelle colonne della Chiesa parrocchiale, anch’essa salvaguardata in questi anni con la nostra azione comunitaria). Nella consapevolezza di questa esistenza oltre il tempo fisico della vita temporale, e quindi la ricerca di chiavi di lettura che si potessero trasmettere di generazione in generazione per perpetuare non solo la specie biologica, sta l’identità collettiva di una comunità.

    Nel libro che il dottor Luca Ciurleo ha realizzato, e che desidero ringraziare, c’è un racconto di un pezzo rilevante di questa nostra identità vogognese.

    E nel titolo stesso sembra si voglia rievocare una caratteristica propria di noi, borghigiani ossolani, che si distinguono dalle altre contrade a noi confinanti perché storicamente quando eravamo in difficoltà potevamo rinserrarci all’ombra del Castello (mentre gli altri erano privi di riparo dalle scorrerie e dalle invasioni che nella nostra terra di confine erano quasi il pane quotidiano), chiedendo asilo al manto del Re, ovvero ad una autorità che era in grado di proteggere Vogogna e con essa i suoi abitanti e la sua Storia. E’ un’immagine che vale per ieri, ma vale per oggi e per domani.

    Ieri i rischi arrivavano da chi arrivando dall’esterno voleva depredare il paese, e sottometterlo per il suo ruolo storico e politico (i Domesi, gli Svizzeri, i Guelfi, gli Spagnoli, Napoleone, i Savoia, i repubblichini…). Oggi i rischi arrivano da modelli di una società consumistica, secolarizzata e ipertecnologica che rischia di disconnetterti del tutto con la tua storia, la tua cultura, te stesso (rieccola, l’identità) per concepirti non come Persona, ma come oggetto, come consumatore, come terminale periferico e individuale di un gioco deciso molto lontano. Un po’ come quando l’arcivescovo di Milano decideva di costruire il Castello, oppure il Doge di Venezia, i Medici di Firenze o il Papa di Roma facevano dipingere il nome di Vogogna nelle mappe che adornavano i loro palazzi più preziosi. Eravamo pezzi di un gioco grande e distante, e disponevano di noi come volevano.

    Lavorare sull’identità, capire chi siamo, da dove arriviamo è quindi la strada più sicura per non perderci, e per consentire alle giovani generazioni di essere in grado di continuare lungo questa strada tracciata dai nostri padri più di mille anni fa in questo piccolo angolo di Val d’Ossola. E per imboccare la strada dell’avvenire, senza paura. Con un piede nel passato, per dirla alla Bertoli, e lo sguardo dritto e aperto nel futuro.

    Spero che ciascuno di Voi possa ritrovarsi in queste pagine, e riscoprire la bellezza di un Paese che se è tra i più belli d’Italia è perché ha avuto tanti uomini e donne che gli hanno voluto bene per secoli.

    Sta a noi essere all’altezza di questa magnifica e impegnativa eredità.

    Auguri a tutti.

    Il Sindaco

    Enrico Borghi

    L’autore

    Luca Ciurleo, nato a Domodossola il 1 aprile 1983, si è laureato in Antropologia culturale ed Etnologia presso l’università degli studi di Torino dopo aver conseguito a pieni voti la laurea in Studio e gestione dei beni culturali all’Università del Piemonte Orientale, con specializzazione beni etnoantropologici.

    Giornalista ed organizzatore di eventi, ha pubblicato racconti di narrativa sulla rivista Controcorrente e sulla Rivista Ossolana.  Tra le sue pubblicazioni di saggistica: I medici di Montecrestese (2003) e Da Abissinia a Cappuccina (2006) , Amministrare Domodossola dalla prima alla seconda Repubblica (2008), Padre Michelangelo, una vita per gli altri (2009) [tutti con Antonio Ciurleo], ed ha curato i volumi Sempione: la sottile linea scura (2006) e Walter Alberisio: una vita per la poesia (2007). Tra le ultime pubblicazioni Gente di paese, Paese di gente, Indagine etnografica sul Comune di Piedimulera (2010) e Tradizioni di pastafrolla (2013).

    Ha compiuto inoltre diverse ricerche antropologiche sul territorio ossolano, in particolare sulle Cavagnette e gli alberi rituali, e sul folklore e fakelore, anche in campo alimentare.

    Introduzione

    La paura di dimenticare

    La paura è sempre stata uno dei fattori peculiari per la specie umana, fin dalla preistoria.

    Fu proprio questa alla base della religione, dei rituali e, soprattutto, della calendarizzazione ciclica dell'anno e della nascita di alcune forme artistiche (cfr Ciurleo, 2013A).

    Se prima il timore era quello della scomparsa del sole (sia quella notturna che, a maggior ragione, delle eclissi, dove la sparizione era repentina ed imprevedibile), piano piano i timori sono diventati altri.

    Negli ultimi decenni del Novecento si è assistito allo sviluppo di diverse paure, che nulla avevano a che fare con quelle dei nostri avi. I timori della guerra fredda, delle catastrofi nucleari, dell’autodistruzione… Oggigiorno le paure si sono evolute, in risposta dei tempi: non è più il fantasma del comunismo a terrorizzare gli Stati Uniti e l'Europa, ma lo spettro cinese e la crescita di quello che viene definito comunemente l'impero di Cindia (Rampini, 2007).

    L'uomo contemporaneo, o per meglio dire post-moderno, ha perso anche i suoi punti di riferimento dati da quella tradizione, che per definizione (naturalmente semplificando al massimo il discorso) consideriamo tramandarsi uguale nel corso del tempo: una certezza per generazioni.

    La caduta di questo modello, negli anni '50 e '60 del Novecento, ha portato a quella che Grimaldi e Bravo definiscono la crisi dell'uomo post-moderno, caratterizzata da una perdita dei valori, e delle certezze, date dalla co-discendenza (il senso della famiglia), dalla co-residenza (il senso del paese, di appartenenza ad un'entità culturale territorializzata ben specifica) e della co-trascendenza (il senso religioso, che include sia la religione vera e propria, ma anche le superstizioni, le devozioni particolari, le feste calendariali…).

    L'uomo contemporaneo si trova così smarrito completamente: nel giro di un ventennio si è passato dalla gaberiana Come è bella la città (del resto, che stai a fare in campagna?) a Voglio andare a vivere in campagna! e Viva la campagna!.

    La campagna come ritorno alla tradizione ed uscire dal circolo vizioso del tempo parcellizzato per tornare ad un contatto più vero con la propria naturalità (cfr Grimaldi, 1998). Un tempo un giorno lavorativo poteva durare quasi 18 ore, ma anche solo poche ore, a seconda di diverse variabili (in primis il

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