Sguardo contemplativo. Saggio su Pietro Damasceno autore filocalico
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Sguardo contemplativo. Saggio su Pietro Damasceno autore filocalico - Maciej Bielawski
Sguardo contemplativo
Saggio su Pietro Damasceno
autore filocalico
Maciej Bielawski
© Maciej Bielawski
Nacissus.me 2014
Indice
Introduzione
1.Agli occhi degli altri
2. Autore filocalico
3. Scrittore
4. Esicasta
5. Esegeta
6. Lettore
7. Contemplativo
Bibliografia
Introduzione
Pietro Damasceno, un bizantino dell’XI secolo, non è stato poco studiato e la bibliografia che lo riguarda è minima. Manca l’edizione critica dei suoi scritti e praticamente non sappiamo niente della sua vita. La sua opera letteraria si trova all’interno della Filocalia con un testo assai ampio. Purtroppo questo autore non gode di buona fama agli occhi dei pochi contemporanei che, ogni tanto, hanno cercato di dire qualcosa di lui; lo consideravano poco originale, lungo, noioso e ripetitivo. A me, al contrario, Pietro Damasceno appare interessante, profondo e saggio.
Pietro Damasceno appartiene al gruppo di scrittori che non fanno carriera, non godono di una vasta popolarità. Pietro non ha fatto la storia
, non è stato coinvolto nelle controversie dottrinali e non è stato complice di una svolta o di una riforma della spiritualità – almeno noi oggi non ne sappiamo nulla. La sua opera non è un ruscello di montagna o una cascata che possiedono in sé il proprio fascino. Il testo che di lui conosciamo, come anche la personalità che da esso emerge, si potrebbero paragonare ad un fiume lungo e largo che scorre tranquillamente. Per scoprirne la bellezza occorre sedersi, sostare del tempo sulla sua riva, abbandonandosi al quasi assente, ma così rilassante suono del suo scorrere. Su questo fiume passano i giorni e le notti che lo sfiorano con la luce e con le tenebre. Nella sua superficie si specchia il cielo. Bisogna lasciarsi incantare dalla bellezza di questo fiume e così si scoprono le sue profondità, le sue meraviglie, i suoi drammi. Come tale fiume è Pietro Damasceno: bello, tranquillo, saggio. Se a qualcuno piace questo stile, perché sente che soddisfa i propri bisogni o perché è conforme al proprio carattere, si sieda e legga e potrà forse veramente gioire della compagnia discreta e così potente di questo uomo e del suo pensiero.
Pietro Damasceno è un saggio. Nel suo modo di pensare, l’aspetto esistenziale e quello conoscitivo si condizionano reciprocamente. Seguendo gli antichi Padri, Pietro sostiene il rapporto strettissimo tra la prassi (praktiké) da un lato e la conoscenza (gnôsis) o la contemplazione (theôría) dall’altro. I modi di pensare e di conoscere il mondo, l’uomo e Dio, sono strettamente legati al modo di vivere. La chiarezza della conoscenza deriva ed è condizionata dal grado di purificazione del cuore. Il pensare significa pensare come vivere meglio per poter conoscere più profondamente, però Pietro non è un moralista. D’altra parte sono proprio i momenti, in cui la realtà conoscente si schiude perché avvolta nella luce di Dio, che illuminano anche il modo di vivere: lo migliorano o lo purificano.
Pietro è ritirato, avvolto nell’anonimato, nascosto nella sapienza. Come un vero saggio ha scelto di conoscere e non di essere conosciuto. Non sappiamo con chi abbia avuto contatti. Nessuno ha testimoniato la sua esistenza. C’è solo il suo testo, sprovvisto delle informazioni autobiografiche o delle note di cronaca. Sembra che lui volesse proprio così: rimanere anonimo e nascosto. Questo fatto mette in rilievo uno dei caratteri propri della saggezza, che richiede la rinuncia di essere conosciuti, ma per conoscere e che si associa all’umiltà. Dietro questo atteggiamento sta la convinzione che essere conosciuti o famosi, comporta il rischio di cadere nella vanagloria che automaticamente separa dall’umiltà e dalla vera pace che sono le porte che aprono la via verso la verità. Perciò Pietro è convinto che quanto più si ritira, e si vive nella rinuncia, tanto più si risplende la verità che si desidera conoscere. Da questo deriva lo stile letterario di Pietro Damasceno che è tranquillo, veritiero, solido.
Pietro non è uno speculativo: è molto concreto. Si potrebbe dire che è incarnato e reale. Questa sua concretezza possiede tre livelli. Scrive su richiesta e per una comunità di monaci. Il suo testo nasce dal rapporto con queste persone. Scrive della propria esperienza. Pietro si rivela un autore maturo, non sogna, non inganna, non illude. Ha visto e vissuto abbastanza, ha letto molto, ha riflettuto un po’. Perciò comprende sia la fragilità della natura umana, sia la grandezza della misericordia di Dio. Non si illude e non illude il lettore: i paradossi sono inevitabili e vivere significa stare in mezzo alle tensioni. Ora scrive tutto ciò che la grazia gli mette sulla penna
e il suo tono è convincente senza nessuna forzatura. Scrive radicato nella tradizione cristiana e bizantina che conosce bene. Si sente erede della saggezza rivelata e tramandata, perciò non inventa, ma si immerge. Non è originale. Non va oltre la sua epoca, non è scioccante. Prende tra le mani quanto si trova a sua disposizione: Bibbia, liturgia, testi dei Padri accessibili per lui nella biblioteca del monastero vicino al suo eremo, guarda la natura che lo circonda e scruta il suo cuore. Questi sono i mezzi con cui cerca di trovare le risposte alle sue domande che sono quelle perenni dell’uomo. Pietro desidera la sapienza per calmare di gioia il suo cuore e condivide le sue ricerche con il lettore.
Pietro Damasceno si interessa dell’interiorità, del cuore e della mente (noûs) dell’uomo. Le prassi esterne e ascetiche come ritiro in un posto tranquillo, digiuno, veglia, salmodia, lettura, servono per svegliare il cuore e per mantenerlo limpido. Anche le attività più sofisticate come la riflessione e la meditazione sono da lui discusse in questa prospettiva cardio-centrica. Le parole, anche quelle della Scrittura, servono solo fino ad un certo punto, poi bisogna navigare attraverso le zone ineffabili. Pietro è capace di scrutare e di parlare persino dei più intimi e sottili impulsi che nascono nel cuore umano, ma lo fa solo perché questo è necessario per decollare dalla terra della parola verso le realtà silenziose di Dio.
1
Agli occhi degli altri
Pietro Damasceno emerge appena e lentamente dalla storia. La sua presenza solo da alcuni è stata notata e sono pochi quelli che hanno scritto qualcosa sul suo conto. Certi lo hanno ammirato, altri invece hanno mostrato riserve riguardo al valore dei suoi scritti. Su Pietro Damasceno tacciono i maggiori dizionari di spiritualità, di teologia e di storia, le enciclopedie e i manuali. Abbiamo dunque a che fare con un autore poco discusso e quasi sconosciuto. Conviene allora raccogliere le voci che ne hanno parlato. Anche se sono poco numerose e non scendono in profondità, di fronte a questo niente
acquistano un valore prezioso e vanno accolte con l’attenzione.
La trasmissione dei manoscritti dell’opera di Pietro Damasceno si estende dal XIII al XVIII secolo e attesta che in queste epoche ci fu un certo interesse riguardo a lui. Una delle prime testimonianza si trova negli scritti di Callisto Angelicude (chiamato anche Cataphugiota o Maleniceota), autore filocalico del XIV secolo, che scrive: «Poiché, dice Pietro Damasceno, l’intelletto si colora secondo ciò che contempla». Ciò pone la questione di come Callisto, vissuto a Nord di Bisanzio, vicino a Melnik (oggi Bulgaria), sia riuscito ad avere e a conoscere gli scritti di Pietro. Tale domanda che sfida l’immaginazione storica deve però rimanere senza una risposta.
Poi ne parla Nil Sorskij (1430-1503), che si colloca circa quattro secoli dopo l’epoca in cui Pietro Damasceno scriveva e, inoltre, fuori dalle terre dell’Impero bizantino. Egli cita due volte, nella sua Regola, i frammenti del libro I di Pietro. Sappiamo che Nil Sorskij negli anni 1465-1478 si recò in Grecia e nel Vicino Oriente e che tra l’altro visitò anche il Monte Athos. È probabile che durante questo viaggio abbia conosciuto gli scritti di Pietro Damasceno. La sua testimonianza è da tenere in considerazione, perché Nil, avendo scritto in slavone, è uno dei primi traduttori del nostro autore.
La più bella testimonianza su Pietro Damasceno proviene dalla seconda lettera di Paisij Velickovskij (1722-1794) a Teodosio che fu scritta nel 1782, ma la storia in essa raccontata risale a circa vent’anni prima. In quei tempi Paisij si trovava sul Monte Athos e intorno a lui si era formato un gruppo di monaci della cui formazione doveva occuparsi. Rendendosi conto dei limiti delle proprie competenze, Paisij si mise a studiare i testi dei Padri. Il desiderio di uno studio approfondito lo spinse alla ricerca di manoscritti, al lavoro di copiatura e traduzione, accompagnati dalla brama di creare per la sua comunità una biblioteca. Quindi questo monaco perfezionò il suo greco e iniziò a visitare i diversi luoghi del Monte Athos, nell’ansiosa ricerca delle opere dei Padri. Un giorno Paisij, insieme a due altri monaci, arrivò al romitaggio di San Basilio il Grande, sotto la collina del profeta Elia, da dove si poteva ammirare una