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Thera

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About this ebook

Da sempre appassionato di antiche civiltà, il ventisettenne Jake Shaw, professore di informatica al MIT, vede il mondo crollargli addosso quando Sean, il suo amico archeologo, scompare nel nulla mentre è alla ricerca del continente perduto di Atlantide. Jake si ritroverà, così, coinvolto in una fitta rete di misteri e dovrà dare tutto se stesso per salvare l’amico da un pericoloso antagonista.
LanguageItaliano
Release dateOct 14, 2014
ISBN9786050327243
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    Thera - Valerio Bauducco

    Valerio Bauducco

    THERA

    Copyright © 2014 Valerio Bauducco

    Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell’autore e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o scomparse, è assolutamente casuale.

    A te, che mi rendi migliore giorno dopo giorno.

    Innanzi a quella foce stretta che si chiama colonne d’Ercole, c’era un’isola. E quest’isola era più grande della Libia e dell’Asia insieme.

    In tempi posteriori, essendo succeduti terremoti e cataclismi straordinari, nel volgere di un giorno e di una brutta notte, tutto in massa si sprofondò sotto terra, e l’isola di Atlantide similmente ingoiata dal mare scomparve.

    Platone, Timeo

    PROLOGO

    Erano solamente le diciassette, ma quel giorno era stato diverso dagli altri; diverso perché avevano finalmente trovato quello che cercavano da quasi tre anni. Non sapevano ancora bene a che cosa sarebbe servito al loro capo, tutto ciò che gli importava, era che quel giorno avrebbero finito le ricerche prima del solito. Avrebbero avuto ancora un paio d’ore di luce per tornare alla base. Ancora un paio d’ore, poi l’oscurità avrebbe inghiottito quel lato di mondo dimenticato da Dio e il solito freddo polare avrebbe portato la temperatura a diversi gradi sotto lo zero.

    L’escursione termica nel deserto del Sahara era terrificante: di giorno le temperature superavano i cinquanta gradi centigradi ma appena scompariva il Sole si verificavano cali di oltre quaranta gradi, condizioni estreme anche per dei soldati addestrati come loro.

    Il comandante della spedizione, Max Tuckerman, detto Tuck, aveva accettato l’incarico offertogli da un misterioso individuo quasi quattro anni prima e da allora quell’impiego non gli aveva dato grosse soddisfazioni. Quel giorno, però, era cambiato tutto; in quel particolare giorno gli eventi avevano preso una piega decisamente diversa e lui sapeva che quella scoperta avrebbe cambiato tutto. Sapeva che lì, da qualche parte, nascosto nell’oceano, si celava uno dei misteri più antichi dell’umanità, e sapeva bene che quel segreto non sarebbe rimasto nascosto ancora per molto.

    1

    Un suono improvviso tuonò nella stanza e Jake Shaw si svegliò di soprassalto. Come ogni mattina degli ultimi due anni e mezzo quella sveglia aveva suonato alle sette, e come molte mattine di quegli stessi ultimi due anni e mezzo, non era la prima volta che suonava; quel giorno era esattamente la quinta e Jake, come al solito, era in ritardo per la sua lezione delle otto e al rettore non sarebbe affatto piaciuto. Di nuovo.

    Jake non era il tipico professore universitario; non era nemmeno quello che si può definire un ragazzo con i piedi per terra, se per questo; ma da quando gli era stata affidata la cattedra di scienze informatiche al Massachusetts Institute of Technology, le cose sembravano andare meglio, aveva addirittura trovato una ragazza che lo sopportasse, cosa a dir poco impensabile per lui fino a qualche anno prima. Gli occhi ambrati del ragazzo brillarono solo per un secondo prima che si rendesse conto di essere nuovamente in ritardo, poi si alzò di scatto, prese i primi vestiti che gli capitarono a tiro e, non che avesse molta scelta, si mise infine i soliti abiti trasandati che lo definivano ormai da svariati anni a questa parte: pantaloni verde scuro a quadri scozzesi e una camicia bianca infilata di fretta sotto un maglioncino scollato di un blu spento.

    Che cosa ci faccio qui.

    Nonostante le cattive abitudini, Jake era un ragazzo molto ordinato, quasi in maniera maniacale; nell’appartamento preso in affitto dalla signora Callaway, la padrona di casa ultraottantenne che aveva ormai raggiunto l’apice della sordità, regnava l’ordine e ogni piccolo oggetto sembrava avere una sua precisa collocazione in quell’enorme attico nel centro di Boston, esattamente all’angolo tra Beacon Street e la Arlington, vicino al Friends of the Public Garden.

    Era una calda mattinata di fine giugno e le lezioni volgevano oramai al termine; l’ombra della figura alta e robusta del professore ventisettenne si posò solo per qualche istante sul portone di casa prima di schizzare via con una fretta che aveva già da tempo abituato i vicini. Jake inforcò la sua bicicletta da corsa e si precipitò lungo Beacon Street, per poi imboccare l’Harvard Bridge sulla Massachusetts Avenue che, con i suoi seicentosessanta metri di lunghezza, attraversava l’imponente Charles River. Il ponte era stato in passato oggetto di un elaborato scherzo alle matricole dell’università da parte di alcuni membri della confraternita Lambda Chi Alpha: alle matricole era stato fatto credere che il ponte venisse misurato in un’unità di misura chiamata Smoot, prendendo spunto dal nome del confratello Oliver Smoot. Uno Smoot era uguale all’altezza del ragazzo, circa un metro e settanta; ancora oggi il ponte continua a essere misurato sia in metri sia in smoot, perfino Google adotta questa misura nei suoi software di mappe.

    Quando non era in ritardo, Jake preferiva coprire i due chilometri di strada che lo separavano dall’università a piedi; quella mattina, però, come troppo spesso succedeva, aveva dovuto prendere la bicicletta per sperare di arrivare in orario.

    Il campus dell’MIT era deserto, le matricole erano probabilmente, come ogni anno, rinchiuse nei loro alloggi a studiare per gli esami, mentre il resto degli studenti aveva già cominciato le lezioni, tranne i suoi ovviamente. Gli studenti di Jake erano la cosa migliore che gli fosse capitata dopo Sarah, la sua ragazza; con loro riusciva a scherzare e di conseguenza era visto più come un coetaneo che come uno di quei vecchi professori rigidi e con regole ferree. Nonostante ciò, nessuno gli aveva mai mancato di rispetto e in oltre due anni di permanenza in quel posto non gli era mai stato fatto nemmeno uno scherzo.

    Erano passate da poco le otto e trenta quando il ragazzo posò la bici rosso fiammante al solito posto e sfrecciò a tutta velocità per i corridoi della scuola; quando arrivò davanti alla porta dell’aula, però, quel giorno, davanti ai suoi studenti, trovò il rettore Anderson. Terry Anderson era un uomo di colore, alto e sulla sessantina; faceva parte di quel tipo di persone che potevano avere ragione solamente guardandoti e che sapevano sempre alla perfezione quello che facevano. Jake e il rettore non condividevano solamente la passione per la scienza, ma erano stati ottimi amici fin da quando il ragazzo era stato assunto all’MIT; i due erano usciti perfino insieme un paio di volte. Quella mattina, però, Terry aveva uno sguardo diverso dal solito, uno sguardo più mansueto e lugubre ma allo stesso tempo furibondo.

    «Venga con me, professor Shaw.» esordì l’uomo non appena lo vide.

    «Buongiorno, rettore Anderson. Che sorpresa averla qui.» esclamò Jake fingendosi stupito. In realtà credeva di sapere bene di che cosa si trattasse, ma non volle pensarci più di tanto lì per lì.

    Usciti dall’aula, il solito odore di umidità del corridoio dell’edificio centrale dell’MIT, inondò le narici di Jake, facendolo sentire per qualche motivo ancora più nervoso; il rettore Anderson non parlò per tutto il tragitto che portava al suo ufficio, cosa insolita per uno come lui, uno di quelli che approfittava di qualsiasi momento di silenzio per scatenare una delle sue micidiali battute. Le due figure si fermarono in fondo al corridoio e, dopo aver svoltato a sinistra, si ritrovarono davanti a una porta color mogano con una targhetta dorata che riportava il nome del rettore e la sua carica, incisa con caratteri un po’ più piccoli in basso; l’ufficio di Terry Anderson trasudava serietà e importanza, diplomi e certificati di eccellenza nei più svariati campi scientifici addobbavano quel santuario che si era costruito in ormai oltre trentacinque anni di carriera, e sembrava non averne ancora abbastanza.

    «Prego, accomodati, Jake.» disse Terry al ragazzo con sguardo malinconico, indicando la poltrona di pelle nera davanti a lui. Il professore non disse nulla, si limitò a eseguire gli ordini e ad ascoltare ciò che il rettore aveva da dire.

    «Jake, mi dispiace essere piombato così sui tuoi studenti, senza nemmeno avvisare; il fatto è che questa situazione è davvero molto delicata per te, e come tale andrebbe trattata con la massima urgenza.»

    «Terry, così mi spaventi, però.» disse lui. «Hai intenzione di dirmi che cosa sta succedendo?»

    «Beh, lo sai che ci conosciamo da quasi tre anni ormai e che sei uno dei pochi qui dentro che mi sta simpatico…» fece una pausa, era come se fosse sul punto di mettersi a piangere da un momento all’altro. «… però ci sono state delle lamentele sul tuo comportamento. Il consiglio, nella riunione di ieri, ha preso in esame il tuo caso: continui ad arrivare tardi a lezione e succede sempre più spesso, ragazzo.»

    «Terry, lo so. Ascolta, posso spiegare. Se solo potessi…» replicò il ragazzo sapendo che l’amico aveva ragione.

    «Hai accumulato ritardi su ritardi e negli ultimi mesi non c’è stata nemmeno una settimana in cui tu non abbia accumulato almeno un paio d’ore di ritardo. Jake, stammi a sentire, ho cercato di proteggerti ma il consiglio voleva che ti licenziassi.»

    «Che cosa? No, Terry non possono farmi questo, sono un ottimo insegnante e…»

    «Fammi finire, ti prego.» disse il rettore, alzando leggermente il tono di voce. «Sono riuscito a convincerli con una sospensione di sei mesi e una nota d’ammonimento, quindi al tuo ritorno cerca di essere puntuale, al primo ritardo sei fuori.»

    «Oh, grazie Terry, ti sono debitore. Non ti deluderò, promesso» esclamò Jake, fingendosi grato. In realtà non gli sembrava che sei mesi di sospensione fossero una punizione equa per i suoi ritardi; gli sembrava addirittura un’esagerazione, ma non poteva permettersi di replicare se voleva tenersi il posto.

    «Ho ancora un po’ di potere qui dentro, ma sarà meglio che tu non ti faccia vedere per un po’ finché le acque non si calmano; concediti una bella vacanza, sai in una di quelle isole tropicali, ti farà bene.» la faccia del rettore sembrava ora un po’ più sollevata, pareva essersi tolto un peso dallo stomaco, un peso enorme, un macigno che lo schiacciava dalla riunione della sera prima e che lo aveva turbato non poco.

    L’entrata principale del campus si era riempita di studenti. A Jake sembrava fosse passata un’eternità, ma era a malapena l’ora di pranzo. Il Sole era ormai alto nel cielo e filtrava attraverso i rami e le foglie degli alberi disposti lungo tutto il perimetro rettangolare della struttura, creando giochi di luce che il ragazzo non aveva forse mai notato prima; la notizia che Terry gli aveva appena dato lo aveva inizialmente sconvolto; non riusciva a immaginarsi una vita senza il suo lavoro, non riusciva a immaginare nemmeno che cosa avrebbe fatto in quei sei lunghissimi mesi: di sicuro sarebbe potuto rimanere a dormire tutte le mattine fino a tardi e non avrebbe più dovuto preoccuparsi della sveglia, ma sapeva già che tutto quel tempo libero a disposizione e nessuna attività con cui occuparlo avrebbero finito per ucciderlo. Ad ogni modo, ora si sentiva più sollevato; gli ultimi due anni e mezzo della sua vita stavano cominciando a diventare giorno dopo giorno una routine che non era disposto a continuare. Inoltre, avrebbe avuto più tempo da dedicare alla sua ragazza e agli allenamenti di arti marziali, dove stava per conseguire finalmente la cintura nera, un obiettivo che considerava impossibile fino a tre anni prima, specialmente considerando che nella sua palestra il duro allenamento fisico costringeva la maggior parte degli allievi a mollare molto prima. Non lui però, che si era messo in gioco fin dall’inizio e ora era così vicino a raggiungere quel traguardo che non avrebbe mai mollato. Il telefono cominciò a squillare, risvegliandolo dai suoi pensieri, e un viso familiare, il più bello che avesse mai visto, comparì sul display dello smartphone con il nome Sarah. «Buongiorno dormiglione!» esordì la voce allegra della ragazza al telefono. Lo chiamava sempre così da quando aveva fatto tardi al matrimonio della sorella di lei; inoltre sapeva bene della sua abitudine a rimanere a letto fino a tardi ma a lei non dispiaceva, anzi a volte gli faceva compagnia fino a pomeriggio inoltrato quando dormivano insieme.

    «Sarah!» rispose il ragazzo, con la felicità che poteva avere solamente una persona innamorata come lui, anche se triste per la cattiva notizia appena ricevuta.

    «Come stai?» gli disse.

    «Benone.» rispose lui, anche se sapeva non essere vero. «E tu?»

    «Bene, sono stata un po’ bloccata nel traffico, ma sto arrivando, devo dirti una cosa molto importante, sei già al Flour?»

    «Sono uscito ora dall’università, ci vediamo lì tra dieci minuti. Sicura di stare bene?» le rispose un po’ distratto, ripensando alle parole del rettore. Sei mesi.

    «Sì, non ti preoccupare, ti spiego tutto appena arrivo, a dopo!» disse lei attaccando il telefono.

    Ancora un po’ sovrappensiero, Jake prese la sua bicicletta e, con tutta tranquillità      questa volta, imboccò la strada per il locale, sapendo di essere in perfetto orario.

    Come ogni giorno degli ultimi due anni, Jake e Sarah avrebbero mangiato insieme. Lei lavorava come curatrice in una galleria d’arte non distante dall’MIT. Quel pomeriggio, i due avrebbero pranzato al Flour Bakery, lungo la Massachusetts Avenue, un piccolo locale dove servivano i tramezzini più buoni che Jake avesse mai mangiato. Durante il breve tragitto per il locale, il ragazzo continuò a pensare alla voce dell’amico che lo aveva appena sospeso dal suo incarico; il vento che passava sulla figura atletica del professore in bicicletta sembrava non scompigliare nemmeno di un centimetro i suoi corti capelli neri e, senza nemmeno accorgersene, arrivò a destinazione, come se durante la strada, a un certo punto fosse entrato il pilota automatico.

    Davanti al piccolo ma moderno locale, che si era ormai stancato di vederli mangiare lì ogni giorno a quell’ora, Jake appoggiò la sua bici su un paletto accanto al tavolino color argento e

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