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L'ora del Diavolo
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L'ora del Diavolo
Ebook97 pages1 hour

L'ora del Diavolo

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About this ebook

L'agente D. è un agente speciale ex infiltrato nella lotta al narcotraffico e alla criminalità organizzata.

Un tragico evento avvenuto durante una missione in Messico lo condanna a svegliarsi puntualmente alle tre della notte ossessionato dai fantasmi del suo passato.

Come sempre "nella vita, al peggio, non c'è mai fine" e quella che sembrava essere l'unica sua condanna sarà solo un preludio a qualcosa di molto più drammatico.

Gesù è morto alle tre del pomeriggio e il Diavolo, da sempre, si prende gioco dell'uomo svegliandolo alle tre della notte e l'agente D. scoprirà sulla sua pelle cosa significa.
LanguageItaliano
Release dateSep 25, 2014
ISBN9786050323757
L'ora del Diavolo

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    L'ora del Diavolo - Alberto Dessì

    11

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         Oggi è morto Giovanni.

    Si è sparato un colpo dritto in bocca, seduto sulla poltrona dell'ufficio, nel suo capannone di marmi e graniti.

    Sembrava dormisse con la bocca aperta e la testa all'insù quando l'hanno trovato. Solo dopo averlo scosso due volte la segretaria si è accorta che aveva ancora la pistola in mano legata col nastro e i piedi scalzi nel sangue ormai rinsecchito. Sulla scrivania c'erano due lettere: Per mia moglie la prima e Per Serena e Sara l'altra, le sue due figlie.

    Sul Planning c'erano alcune righe per la segretaria: 

    "Troverai nel primo cassetto una busta verde e dentro gli assegni per i dipendenti, compresi i tre mesi di stipendi arretrati e la tredicesima.

    Nella busta gialla i bonifici da portare in banca e pagare i fornitori con gli ultimi soldi e nella busta nera le tasse non pagate con un biglietto per l'agenzia delle entrate e questa classe politica che mantiene i propri privilegi col sangue della brava gente:

    ''Qui muore un uomo che ha preferito farlo di mano propria che per mano altrui''.

    Come unico desiderio voglio che sia l'epitaffio sulla mia tomba!"

    Pietro è morto venerdì scorso, venerdì santo.

    L'ha trovato suo figlio sdraiato in macchina con i vetri chiusi e il tubo di una manichetta per l'antincendio infilata nella marmitta da una parte e nel vetro posteriore della macchina dall'altra.

    C'era solo un biglietto sul tergicristallo con due righe;

    "Abbi cura di tua sorellina

    muoio come ho vissuto; padrone della mia vita".

    Aveva una ditta di trasporti nel Veneto. Novanta trattori e centocinquanta rimorchi. Negli ultimi mesi aveva dovuto lasciare a casa settantacinque persone. La maggior parte dei trattori e dei rimorchi se li era presi la società di leasing e quei pochi che erano rimasti, pagati con i sacrifici di molti anni prima ma ormai vecchi, non erano in grado di fare lunghi viaggi all'estero dove aveva da decenni i contatti per l'import export di vari materiali come ferro, rame, polveri di marmo, laterizi.

    Si era dovuto limitare a viaggi massacranti in Italia con mezzi che partivano pieni e tornavano vuoti o facevano il viaggio vuoti per tornare mezzi pieni.

    La ditta era stata di suo padre per quarant'anni e suo padre a sua volta la ereditò da suo nonno. Lui l'avrebbe ceduta a suo figlio non appena fosse stato in grado di poterla gestire.

    Una settimana di passione la loro, una vita di disperazione quella che lasciano ai famigliari, agli amici, ai conoscenti.

    Erano i miei più cari amici, gli unici amici.

    Questo paese in crisi non risparmia nessuno, nessuno di quelli che per una vita non ha fatto altro che lavorare, lavorare e portare a casa il pane, senza mai arricchirsi, senza fare una vita agiata. Una vita mai sopra le righe.

    Giovanni lascia la moglie e due figlie appena maggiorenni; aveva quarantadue anni.

    Pietro era vedovo. Lascia un figlio di venticinque anni e una bambina di appena diciassette mesi. Sua moglie se l'è portata via un tumore appena un anno fa. Pietro aveva quarantacinque anni.

    Il paese è allo sbando, nessuno sa più da che parte sia l'uscita, se un uscita c'è e questo è ormai il terzo governo che promette di mettere le cose a posto, che vede la luce alla fine del tunnel.

    Comincio a pensare che la luce alla fine del tunnel altro non sia che un treno lanciato a folle velocità in una corsa tragica e sfrenata che ci sta per piombare addosso.

    E' un periodo che non sopporto i politici e credo di non essere l'unico.

    Il mio mestiere mi porta spesso a lavorare con loro, o meglio, per loro.

    Sono l'agente D., un agente scelto, un ex agente dei corpi speciali, infiltrato come esterno nella guerra mai finita e forse mai iniziata alla malavita organizzata e in particolare alla lotta alla droga, al narcotraffico.

    Lo faccio per poco più di mille euro al mese e solo Dio sa quante volte mi sia chiesto se questa vita, come tante altre vite di tanta povera gente, valga questi miseri soldi.

    Nei palazzi del potere i signori continuano a parlare, a discutere, e fuori la gente muore. Se penso che un politico, anche il più insignificante e inutile, guadagna venti volte quello che io riesco per mestiere o per fortuna a portare a casa mi si gela il sangue nelle vene.

    Ho sempre pensato che il mio amico Marco avesse torto quando diceva che secondo lui un politico prima di poggiare il culo sulla poltrona e di farlo a vita dovrebbe fare almeno dieci anni di galera perché tanto, prima o poi, tutti vengono colti con le mani nella marmellata e devono pagare per gli abusi che compiono e, sempre, a danno del cittadino.

    Oggi penso che avrei fatto bene a non ridere delle sue convinzioni perché se anziché passarsi la palla e incolparsi l'uno con l'altro avessero fatto qualcosa per aiutare davvero questo paese, Giovanni e Pietro sarebbero ancora qui, tanti Giovanni e Pietro sarebbero ancora qui, e tante famiglie non piangerebbero i loro mariti, i loro padri, i loro figli, perché chi muore, muore e basta, chi resta muore ogni giorno e non c'è morte peggiore che morire da vivi.

    Sono le undici del mattino.

    La cappella del cimitero è riservata ai soli famigliari. La via che porta al cimitero e il cimitero stesso sono invasi da conoscenti, amici, dipendenti ed ex dipendenti, colleghi, lavoratori, disperati, indignati, sconosciuti.

    Nel cimitero c'è un rispettoso silenzio interrotto solo da un lungo applauso quando la salma passa per il viottolo dei cipressi portata a spalla dai quattro fratelli di Giovanni.

    Per la strada numerosi cartelli sovrastano la gente con varie scritte che condannano lo stato, i politici, le tasse, le banche.

    Un unica parola li accomuna tutti: Assassini.

    I famigliari hanno chiesto rispetto e tranquillità per questo funerale che ha scosso nuovamente la coscienza delle persone.

    Non hanno voluto nessuna presenza da parte dello Stato e nessuno che rappresentasse un appartenenza politica, un sindacato.

    Nessun colore era presente al funerale. Nessuna bandiera.

    Solo il nero, il colore del lutto, della morte .

    E' stata celebrata una messa breve nella piccola cappella del cimitero centrale. Anche se la chiesa non ammette il suicidio, Padre Dante, un sacerdote amico di Giovanni e della sua famiglia, suonò le campane del Duomo della città per tutto il tempo della celebrazione. Dalla casa di Giovanni, per tutto il tragitto e fin dentro il cimitero le campane accompagnavano la salma e suonavano con il chiaro rintocco a morte. Durante l'omelia Padre Dante si preoccupò spesso di ricordare quanto Giovanni fosse un uomo di fede e di chiesa e che a nessuno è dato il diritto di togliere la vita se non a Dio stesso, ma, aggiunse, "io oggi davanti a voi, davanti a Giovanni e davanti a Dio mi prendo tutta la responsabilità di perdonarlo e di concedere la sua anima al paradiso, perché se è vero che Dio è nostro padre è anche vero che nessun

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