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Scambio di binari
Scambio di binari
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Scambio di binari

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About this ebook

Alice e Agata in comune hanno solo l’iniziale del nome, per il resto le loro esistenze non potrebbero essere più diverse.
Una vive in un ex-campo di concentramento insieme a una dozzina di sorelle, in una comunità religiosa guidata da mamme di vocazione. Un mondo tutto femminile, chiuso e impermeabile al mondo esterno.
L’altra vive, invece, in una famiglia dove la madre è costantemente umiliata e violentata nel corpo e nell’anima da un uomo col quale mette al mondo un figlio dopo l’altro.
Attraverso gli occhi di due bambine, nel corso delle loro vite parecchio al di fuori del comune, ci si addentra in due mondi paralleli, il nord e il sud, di un’Italia appena uscita dalla seconda guerra mondiale.
Un’esperienza dura e crudele, cambierà e stravolgerà per sempre la vita di queste due bambine, ormai donne, così profondamente diverse tra di loro.
In Scambio di binari, ispirato a una storia vera, si intrecciano sentimenti tanto contrastanti quanto reali, come l’amore, l’odio, la speranza e la rabbia.
A volte, quando ormai sembra che la propria strada sia stata tracciata in maniera inequivocabile, accade qualcosa che, come in uno scambio, fa deviare completamente il binario della vita, che a questo punto, porta a luoghi sconosciuti, o forse solo dimenticati.
LanguageItaliano
PublisherRita Gilioli
Release dateSep 5, 2014
ISBN9786050320350
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    Scambio di binari - Rita Gilioli

    Farm

    Rita Gilioli

    SCAMBIO DI BINARI

    Le rotaie nella vita a volte portano lontano.

    E a volte ti riportano indietro.

    A mia madre, perchè senza di lei, niente di tutto questo ci sarebbe stato.

    A Lorenzo che ci ha creduto. Sempre.

    I

    Fossoli 1947

    1

    Alice stava tranquilla seduta sul pavimento della camerata, guardando i granelli di polvere che danzavano allegramente nella luce che filtrava dalla finestra. Era una grande finestra e da lì avrebbe potuto vedere molto del mondo se non ci fosse stato quel muro così alto con il filo spinato piantato in cima. Ma qualcosa di incredibile e favoloso era riuscito a entrare nel mondo di Alice. L'aveva scorta con la coda dell'occhio e poi l'aveva seguita con lo sguardo girando tutta la testa, sbalordita da tanta bellezza. Era piccola e arancione con delle macchioline nere e ocra sulle ali, ferfalla le sembrava l'avesse chiamata la signora che tutti i bimbi chiamavano mammaRosa, ma non ne era sicura, d'altronde Alice non ha ancora 3 anni e tante cose le sfuggono, passano nella sua mente come il ruscello passa sui sassolini del greto, le vede, crede di aver afferrato l'idea che poi però all'improvviso scivola via.

    E ora vorrebbe correre e acchiapparla quella meraviglia volante, ma non è ancora capace di camminare e con quelle gambette magre riesce solo a gattonare, ma è così lenta e invece la ferfalla è già così lontana...

    All'improvviso tre bambine chiassose irrompono nella camerata e strappano Alice al suo mondo popolato di farfalle e granelli di polvere luccicanti.

    Alice piccolina!! Vieni che la mamma Rosa ha fatto le tigelle! Sono calde e ce ne sono tante!.

    Miriam quasi non sta nella pelle dalla gioia improvvisa che le ha regalato quel giorno la mamma. Le tigelle si fanno solo una volta al mese quando don Zeno va a fare la spesa.

    Dai forza Alice che oggi si fa festa!.

    Miriam e le sue sorelle, Bianca e Gemma, quasi fanno volare Alice quando la prendono in braccio per andare nel salone dove le aspettano le favolose tigelle di mamma Rosa.

    Alice è l'ultima arrivata e a loro piace molto, sta sempre buona e non piange quasi mai, anche se quando è arrivata al campo era così denutrita che non dimostrava neppure un anno di vita e si dovevano alternare per darle da mangiare un latte speciale che aveva portato il dottore. Ma adesso dopo 6 mesi era la bambolina di tutte e ormai pareva quasi normale non fosse per il fatto che ancora non sapeva parlare e camminare.

    E voi signorine dove pensate di andare con quelle mani sudice?

    Mamma Rosa non si fa corrompere dalle faccine innocenti che si presentano affamate, e le spedisce a lavarsi le mani immediatamente.

    Rosa inizia intanto ad apparecchiare la tavola per il pranzo, è un lavoro che diventa ogni giorno più impegnativo. Ora ha 15 posti da apparecchiare, 14 per le sue figlie e uno per sé.

    Anche se ora il capannone assegnato a Rosa è pieno di vita e di allegria, non si riesce a ignorare sempre le mura spoglie e i saloni nudi fatti solo di colonne che reggono soffitti che hanno assistito a trascorsi tanto tristi. Tutto sembra ricordare agli abitanti la povertà e la tristezza che aveva lasciato la guerra, dai finestroni privi di tende, come occhi rimasti spalancati dall’orrore che avevano veduto, ai pochi mobili che ornano la sala, messi lì per scaldare quello sterile domicilio.

    Piano piano la sala inizia a riempirsi e i posti a essere occupati da bambine eccitate ed affamate. Ce ne sono alcune che sono ormai delle giovani donne e altre che da poco hanno smesso di succhiare il latte, ma tutte sono a quel tavolo per lo stesso motivo: sono state abbandonate.

    Lo sguardo di Rosa si sofferma su ognuna di quelle testoline e per ognuna il petto le si gonfia di gioia e di orgoglio per quello che è riuscita a fare per quelle bambine, così innocenti eppure già condannate a una vita infelice da chi avrebbe dovuto amarle di più al mondo.

    Rosa se ne sta appoggiata alla credenza, una donna che da poco ha passato i 30 anni, che anche con un semplice grembiule e i lunghi capelli corvini raccolti non riesce a nascondere la sua bellezza, così semplice eppure così penetrante da rimanere impressa nella mente di coloro che la incontrano.

    Finalmente le tre terribili sorelline e la piccola Alice sono andate a sedersi al loro posto e così il pranzo può iniziare, e sarà proprio un pranzo speciale perché c’è qualcosa di straordinario da festeggiare, una notizia che Rosa ha ricevuto proprio nella mattinata quando don Zeno è tornato trionfante da Roma.

    Quando anche l’ultima tigella è stata fatta sparire dai piatti finalmente Rosa può fare l’annuncio che tanto la rende felice.

    Bambine, in questi giorni inizieranno i lavori per costruire delle case qui al campo, perciò fra poco potremmo andare ad abitare in una casa tutta nostra!

    Molte delle bambine non afferrano immediatamente il concetto, tante hanno vissuto in istituti e per loro la parola casa è una parola vuota come le uova di cioccolato che si preparano a Pasqua, altre invece cominciano a saltare di gioia e a investire Rosa di domande:

    E dove sarà?

    Potrò avere una camera con Leda?

    Sarà più calda?

    Ma ci saremo solo noi dentro?

    Quando la faranno?

    Calma calma! Inizieranno domani i lavori e prima dell’inverno avremo la nostra casa!

    2

    Il paese di Fossoli, un migliaio di case piantate nella bassa modonese ad una manciata di chilometri da Carpi,era ancora addormentato, quando dallo stradone che portava all’ex campo di concentramento, giunsero i primi tonfi sordi.

    Il campo di concentramento era cresciuto come un tumore maligno nel 1942 ,poco al di fuori del paese, quando il Ministero della guerra aveva deciso di fare, proprio in quel sito, un centro di raccolta per i prigionieri di guerra.

    In quello stesso anno il campo era stato occupato dalle SS che lo avevano destinato a centro di raccolta per ebrei e oppositori politici. Divenne il principale centro deputato alla deportazione dall’Italia verso i lager del Reich, da qui passarono oltre 5000 anime che vennero caricate sui treni con tragiche destinazioni , in un solo anno furono organizzati per Fossoli almeno otto convogli ferroviari, cinque dei quali destinati ad Auschwitz.

    Quella mattina tutti gli uomini e i ragazzi erano armati di mazze e picconi e non potè resistere a lungo il muro di cinta assaltato da un plotone così nutrito. Quando si aprì il primo squarcio un urlo salì spontaneo e si trasformò in un boato con il primo vero crollo.

    Finalmente, dopo mesi,al popolo dei piccoli apostoli di Nomadelfia fu possibile vedere l’orizzonte e le campagne circostanti senza più quell’orrore lasciato come ricordo permanente della crudeltà umana.

    Dopo tante lettere e insistenze infatti don Zeno era riuscito ad essere ricevuto a Roma dall’onorevole De Gasperi e dal sottosegretario Andreotti e aveva ricevuto i primi stanziamenti per effettuare i lavori nel campo.

    Da anni don Zeno cercava di fondare una comunità nella quale l’unica legge fosse quella della fratellanza cristiana, e finalmente il suo sogno si stava trasformando in realtà.

    Da quando aveva iniziato ad accogliere i primi bambini abbandonati erano passati appena cinque anni e ora già 28 famiglie costituite da mamme di vocazione e i loro figli si trovavano al campo, per un totale di 780 persone, una piccola città nella quale non esisteva il ricco e il povero, dove non c’erano soldi e neppure diversità. Una comunità dove tutto veniva condiviso con tutti e dove potevano trovare rifugio coloro che non avevano nessuno al mondo.

    Sfortunatamente le cambiali che don Zeno firmava per sfamare questa popolazione non avevano coscienza e non comprendevano la carità cristiana. I debiti erano una costante e i protesti e le visite dei carabinieri nell’ordine della quotidianità, ma don Zeno non poteva curarsi anche di queste faccende con tutte le idee e le preoccupazioni che gli premevano nella testa.

    Così quella mattina di maggio sorrideva guardando i suoi ragazzi abbattere il muro, pulire le pietre dalla calce che poi sarebbero state riutilizzate per costruire le nuove case delle famiglie della comunità.

    Un intero borgo di case sarebbe sorto, una per ogni ragazza che aveva lasciato la famiglia per seguirlo nella sua comunità e farsi madre di tutti gli orfani che la guerra aveva prodotto.

    Tanti bambini venivano da orfanotrofi, altri invece venivano portati lì da madri disperate che avevano perso il marito in guerra e non sapevano più come sfamare i propri figli.

    Alcuni li lasciavano con pianti strazianti e con l’unico pensiero di tornare, altri li accompagnavano e non si giravano più a guardare indietro.

    Don Zeno li accoglieva tutti allo stesso modo e a tutti trovava una mamma che si sarebbe occupata di loro come se fossero nati dal proprio grembo.

    Il futuro si presentava luminoso e pieno di speranza e nulla avrebbe potuto suggerirgli che fra poco tutto quello che stava costruendo sarebbe andato perduto.

    3

    Rosa si godeva lo spettacolo del crollo del muro dal finestrone della camerata dove dormivano le bambine inconsapevole del fatto che sua figlia Alice il giorno prima si trovava proprio lì, a qualche centimetro da dove era posato il suo piede.

    Era lì a fissare lo sbriciolarsi della calce e la polvere insudiciare le camicie degli uomini, ma la sua mente vagava lontana…

    La sua vita negli ultimi cinque anni era cambiata così drasticamente che a volte si domandava se era mai esistita una vita precedente a Nomadelfia…Una vita nella quale lei non era mamma ma semplicemente Rosa, una ragazza giovane e spensierata, la cui unica preoccupazione era quella di imparare ad andare in bicicletta senza apparire troppo scandalosa.

    Aveva vissuto una vita agiata essendo una dei quattro figli dell’uomo più ricco e illustre del paese,una condizione che l’aveva messa al riparo praticamente da tutte le miserie del mondo, non aveva mai patito sofferenze e ogni suo capriccio poteva essere esaudito nel momento in cui l’avesse voluto.

    L’unica nuvola che offuscava il sole che Rosa sentiva risplendere nella sua vita era il fatto che sua madre non fosse lì per vederla, per vedere la sua piccola Rosa come stava cambiando il mondo, chissà se sarebbe stata orgogliosa di lei? O avrebbe voluto qualcosa di più per sua figlia? Proprio lei che aveva pagato un prezzo così alto per i suoi figli…

    SSSttt fate piano bambini!.

    E’ il dottore che parla,Rosa lo sa perché lo ha già visto quando suo fratello è caduto dal fienile e gli hanno dovuto steccare il braccio.

    Rosa sa perché il dottore è lì, la mamma sta male, lo ha detto papà la sera prima quando è andato a cercarlo. Ma il dottore il pomeriggio non è in ambulatorio è all’osteria e non cura i malati, ma fa una cura alla sua malinconia a base di Lambrusco.

    Così quando viene chiamato da quell’uomo disperato non riesce ad andare subito ma lo fa aspettare fino alla mattina successiva quando si sveglia lucido e ricorda la chiamata.

    Il papà di Rosa è fuori di sé dalla disperazione e quando il dottore finalmente arriva e gli dice che sua moglie ha la spagnola non sa più cosa fare e darebbe fino all’ultimo centesimo a quell’uomo purchè cambiasse la diagnosi.

    Ma l’unica cosa da fare per rallentare l’infezione è agire con dei salassi in modo da far uscire il veleno che si sta portando via sua moglie.

    Il dottore prende le sanguisughe e le applica al corpo stremato e febbricitante di quella donna che è tutta la sua vita. Quando le appoggia sulla pelle il suo ventre gonfio ha un sussulto, ormai è al settimo mese di gravidanza e non sono infrequenti i calci del bambino, anche se questo sembra più uno spasmo.

    La mamma freme, il papà le tiene la mano sfatto dalla sofferenza e i bambini di là stanno in silenzio perché così gli hanno detto.

    Ma quando il dottore finisce il salasso il sangue non si ferma, continua ad uscire dalle ferite con piccoli rivoli che corrono a inzuppare le lenzuola bianche. La pelle le diventa candida come il lenzuolo e la mani fredde come la neve che sta iniziando a cadere fuori.

    Con il poco fiato che le rimane guarda suo marito e gli dice : le cose dei bambini sono là nel baule ,domani è festa vestili per bene.. e mentre ormai sente che la vita la sta abbandonando e lei è così stanca in un ultimo sussurro dice :oh, i miei poveri bambini...

    La notte del primo novembre 1917, muore, insieme al suo bambino, la madre di Rosa, ha 32 anni, e morendo il suo dolore più grande è quello di lasciare i suoi figli, di lasciarli senza madre quando la più grande non ha ancora 7 anni e la più piccola ancora va a gattoni.

    Suo padre organizzò il funerale, sistemò le sue cose e ripose in una scatola il violino che tante sere aveva suonato davanti al fuoco. Non lo suonò mai più.

    Rosa non ci ha mai pensato ma forse la molla che l’ha spinta a farsi madre con una forza così grande è stata la carenza nella sua vita di una mamma che le era stata strappata quando ancora non riusciva neppure a capire cosa era accaduto.

    D’altronde aveva solo 4 anni quando morì e lei un po’ si vergogna ad ammettere di non ricordare quella bella signora che posava nel ritratto del salotto.

    4

    Alice, Gemma e Bianca sono in cortile a giocare a palla. A dire il vero sono Gemma e Bianca a giocare, Alice si limita ad alzare le manine al cielo come se volesse afferrare le nuvole e a guardare la strana danza che fa la palla quando va dalle mani di Gemma a quelle di Bianca e viceversa.

    Il cielo è azzurro e sembra fatto di luce pura, come le nuvole sembrano di zucchero a velo, l’erba è morbida come velluto ed è punteggiata da candide margheritine dal bottone giallo che sembra un sole in miniatura.

    Ma tutto questo Alice non lo vede, la sua mente è tutta concentrata a seguire i movimenti della palla. La palla è gialla e rossa con le cuciture nere, è vecchia e spelacchiata in più punti. Ma neanche questo Alice vede, lei sta pensando che forse se riuscirà a dire il nome della palla allora forse la daranno a lei, forse le daranno un bacino, forse potrà giocarci…

    E così la fissa muoversi e rotolare e rimbalzare e saltare, fino a quando cade quasi fra i suoi piedi.

    Gemma va per raccogliere la palla che è finita vicino ad Alice, ma sente che qualcosa la blocca, è Bianca che la tiene per una manica.

    Ma…

    Guarda Alice…

    E Alice sta guardando la palla, la sua faccia è un misto di fatica e di tensione per quello che vuole fare. La guarda ancora, la fissa, la scruta così intensamente come se solo guardandola la potesse far rotolare fino alle sue manine. E poi finalmente lo fa, apre la bocca e dice: palla!

    Bianca e Gemma non riescono a credere di averla sentita davvero finchè non lo ripete.

    Pallaaa!

    E allora insieme si girano sui talloni e iniziano a correre urlando a squarciagola :Mamma mamma!! Ha parlato!!! Alice ha parlato!!

    E quando finalmente mamma Rosa si precipita in quel fazzoletto erboso anche per lei accade il miracolo.

    Alice la guarda con soddisfazione come se avesse fatto una delle cose più importanti sulla faccia della Terra e le dice indicandola con la manina :palla!

    Oh Dio grazie! La mia piccola parla!

    E Alice per tutta risposta a quella felicità guarda sua madre e dice :pallaa!.

    In fin dei conti con tutto quel trambusto, nessuno gliel’aveva ancora data.

    5

    Un peso era sceso dalle spalle di Rosa, la sua piccolina aveva parlato! Da quando era arrivata, Alice era sempre stata la più fragile delle sue figlie, gracile e malata, all’apparenza non dimostrava più di un anno e sebbene una volta rimessa sembrasse vispa, Rosa non era sicura che fosse come tutte le altre. Temeva avesse qualche problema che lei non avrebbe potuto risolvere e invece ora si sentiva così leggera…

    Non si era mai sentita più felice e più sicura della scelta che aveva fatto come in quel momento.

    Era stata una decisione che aveva preso dopo una lunga riflessione, pensandoci adesso, le pareva forse troppo lunga…

    Rosa è in giardino a passeggiare, quello è il suo posto segreto in cui si rifugia quando deve riflettere su qualcosa. E lei ha un pensiero fisso che non le dà tregua da un mese a questa parte.

    E’ un pensiero che si fa sempre più pressante da quando sua sorella maggiore è entrata nella comunità di don Zeno a San Giacomo Roncole.

    Insieme erano andate ad ascoltarlo nella piazza del paese quando aveva spiegato il suo progetto di una società nuova fondata sulla fratellanza e su una ritrovata cristianità, ma non insieme erano tornate a casa. Quella sera stessa Corinna era partita e da allora non si erano più riviste.

    Da quel giorno Rosa pensa a come trovare il coraggio per dire al padre che un’altra figlia vuole lasciarlo per andare a prendersi cura di chi non ha nessuno al mondo, ormai la decisione è presa eppure c’è sempre qualcosa che riesce a trattenerla…

    Ehi voi della casa!Aprite!

    Una voce strappa Rosa ai suoi pensieri, si avvicina al cancello dove le sembra di scorgere una donna vestita di nero e dei bambini.

    Avvicinandosi vede che non è una donna ma un prete in abito talare la persona in piedi, è insieme a 3 bambine.

    Sono don Zeno, ti ricordi ci siamo visti al comizio! Sono venuto a portarti i saluti di tua sorella e a chiederti: quando arrivi tu? Ci sono già qui queste 3 sorelle che ti aspettano, cosa ti serve ancora per decidere?

    Don Zeno era così schietto e impetuoso e non capiva le indecisioni di Rosa, quando secondo lui sarebbe stata una splendida mamma.

    Rosa aveva guardato negli occhi Miriam, Bianca e Gemma e in quegli occhi si erano sciolti tutti i suoi dubbi.

    Ha ragione don Zeno, sono stata una sciocca, vengo subito.

    La sera stessa l’aveva detto al padre che senza una parola l’aveva lasciata andare verso il destino che aveva scelto.

    Il mattino dopo la sua vita era cambiata per sempre. Rosa era entrata a San Giacomo Roncole con le sue prime tre figlie.

    Era stata dura lasciare la sua famiglia, ma qui ne aveva costruita una che le stava dando tanta felicità e ogni giornata che passava le sembrava migliore di quella precedente.

    E poi da qualche tempo anche l’altra sua sorella -Francesca- era entrata nella comunità, così si erano riunite tutte sotto lo stesso tetto come lo erano state un tempo a Ciano nella casa del babbo, in quella che a Rosa sembrava una vita precedente.

    6

    Alice, dai svegliati! E’ tardi e oggi si fa il bagno. Dai che l’acqua si fredda!

    Una matassa di riccioli neri come la pece si solleva appena dal cuscino ma ancora non dà nessun indizio di aver la forza, o la volontà, di alzarsi dalla brandina.

    Mammaaa!! Alice non si vuole alzare! Sono stufa di chiamarla. Perché non posso iniziare io a fare il bagno?

    Bianca se ne sta in piedi di fianco al letto di Alice -a dire il vero è solo una rete col materasso ma lì nessuno ci fa caso-, con i pugni ben piantati sui fianchi e il faccino lentigginoso tutto imbronciato.

    Gemma e Miriam la guardano dal loro letto e aspettano pazienti che quella dormigliona si alzi.

    Bianca e Gemma hanno solo un anno di differenza e potrebbero sembrare gemelle a una prima occhiata, entrambe minute e un pochino bassettine per la loro età e ciascuna con una coppia di trecce fulve che ondeggiano sulla schiena.

    Miriam invece con i suoi sette anni di differenza è già una ragazzina che si sta staccando dall’infanzia per entrare nel mondo dei grandi, non si potrebbe accomunarla alle sue sorelle se non fosse per quelle morbide onde color della brace e le lentiggini che punteggiano il suo viso.

    E’ a lei che, una volta l’anno -a Natale per la precisione -, suo padre manda la lettera per dare notizie e sentire come stanno le sue figlie.

    Le aveva portate da don Zeno cinque anni prima, quando la più piccola non aveva ancora un anno. Le aveva lasciate dopo che sua moglie era stata portata via dal tifo e lui si era ritrovato solo con quelle tre bambine. A tutte loro aveva detto che una volta finita la guerra sarebbe tornato a riprenderle, ma la guerra era arrivata ed era passata, e lui ancora non era venuto…

    Adesso basta Alice ! Alzati immediatamente da quel letto signorina!

    Mamma Rosa prende quel fagotto ambrato dal letto e se lo porta direttamente in bagno. Oggi è domenica per Dio e se vuole che tutte le sue figlie siano pronte per la messa deve iniziare immediatamente. E ovviamente Alice, che deve fare il bagno quando l’acqua è più calda per via dei suoi polmoni delicati, è la più dormigliona di tutte.

    Dopo aver lavato le più piccole Rosa si trasferisce in corridoio dove , da due grandi bauli, estrae e distribuisce la biancheria delle bambine. Le più piccole le veste lei, mentre le più grandi lo fanno da sole e aiutano le piccole che ancora non sono del tutto autonome.

    Una volta che tutte si sono lavate e vestite mamma Rosa e la quattro figlie più grandi -Gina, Clara, Paola e Sara- iniziano a raccogliere i propri capelli e quelli delle sorelline in coppie di trecce rese praticamente identiche dall’esperienza. E a ognuna di queste trecce annodano un fiocco bianco. Questi fiocchi piacciono molto a Rosa e sono anche un po’ il marchio che distingue le proprie figlie dalle oltre 500 bambine che ci sono lì, è l’unico tocco di vanità concesso in una comunità molto povera dove nessuno ha nulla se non l’aiuto degli altri.

    A Nomadelfia infatti nessuno è proprietario di nulla -Rosa e Corinna quando sono entrate nella comunità hanno venduto i loro poderi e hanno interamente donato il ricavato all’opera-e i soldi non esistono.

    I ragazzi più grandi lavorano all’interno della comunità o fanno apostolato o cercano fondi per la comunità, con i pochi soldi che raccolgono e con le donazioni acquistano quello che occorre -per la maggior parte a dire il vero promettono di pagare…-e lo raccolgono nei magazzini.

    Quando le famiglie hanno bisogno di qualcosa, dal necessario per la cena alle scarpe per i figli, vanno semplicemente in un magazzino e se lo fanno dare.

    Purtroppo molto spesso i magazzini sono semi vuoti e non sempre si riesce ad avere quello di cui si ha bisogno.

    Anche la scuola e l’ambulatorio sono all’interno del campo perciò i nomadedlfi non hanno alcun bisogno di uscire ma rimangono sempre chiusi nel loro mondo. Anche se a dire il vero fra i più grandi qualcuno che ha fatto qualche gita non autorizzata a Carpi c’è stato…

    Ma d’altronde quei bambini che sono stati accolti orfani anni prima, ora stanno diventando degli uomini e non sempre tutti sono d’accordo con la vita di comunità fraterna che don Zeno ha tanto combattuto per creare lì.

    II

    Piedimonte d'Alife 1948

    1

    Agata! Dove sei? Maledizione dove si sarà cacciata adesso?

    L’uomo sbuffava mentre cercava la figlia che si era rintanata chissà dove. E pensare che tutta quella scena era iniziata solo per uno schiaffone che le aveva rifilato, ma d’altronde se quella bambina era maleducata lui cosa doveva farci? Meglio che imparasse da piccola a stare al suo posto.

    Lui di sicuro non avrebbe sopportato che le rovesciasse la sua pappa sui calzoni per dispetto un’altra volta.

    Aveva solo 2 anni ma era già un impiccio, e poi adesso con un altro in arrivo le cose sicuramente non sarebbero migliorate…

    Antonio dai lasciala stare non ti ha fatto niente, le sarà caduta per sbaglio.

    Sì certo difendila anche, guarda che ce n’è anche per te se non la pianti!

    Maria già si copriva con una mano il viso e con l’altra il ventre gonfio del figlio di quell’uomo, ma lo schiaffo non sarebbe arrivato, non oggi.

    Va bè, mi sono stancato di questa lagna, vado a casa da mia moglie, almeno lei un piatto di pasta decente lo sa fare!

    Maria ebbe un sussulto quando sentì la porta sbattere

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