Duos Pontes
By Bruno Leoni
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La descrizione storiografica è integrata dall’analisi del rapporto e dell’influenza reciproca tra i ponti e il Tevere. Tre Appendici completano l’opera introducendo elementi originali di osservazione e analisi.
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Duos Pontes - Bruno Leoni
figure
Inter Duos Pontes
La Forma Urbis Marmorea era la pianta della città di Roma antica scolpita al tempo di Settimio Severo (203-211) su 150 lastre di marmo rettangolari di dimensioni differenti e disposte su undici file su una parete del Tempio della Pace. Se ne conservano oggi 1186 frammenti che hanno permesso una parziale ricostruzione della pianta.
Dai quattro frammenti superstiti relativi all'isola Tiberina (fig. 1¹) si riconosce la dicitura INTER DUOS PONTES, sicuramente il più antico dei numerosi nomi con cui è stata denominata l'isola nei secoli.
L'isola era quindi Inter Duos Pontes, tra i due ponti
: l'isola di Roma era identificata dai due ponti che la univano alle sponde, quasi che non fossero i ponti funzionali all'isola ma fosse l'isola ad essere tale perché esistevano i due ponti.
fig. 1 – I frammenti 32b e 32cde della lastra V-13 della Forma Urbis Marmorea di Roma.
Il Tevere è sempre stato una difesa naturale per la città di Roma proteggendone il lato Ovest, ma nel contempo costituiva un ostacolo ai movimenti e ai commerci verso quella direzione. La necessità di attraversare il fiume portò alla costruzione di precarie passerelle e ponti in legno e all'individuazione di punti ove il guado fosse più agevole, il tutto fortemente condizionato dalla stagione e dal livello di magra o di piena del fiume. In ogni caso l'isola costituì da sempre un punto privilegiato per oltrepassare il Tevere, essendo in genere più facile attraversare due bracci di fiume più stretti che l'intero corso d'acqua. L'isola fungeva quindi da pilone centrale di un unico sistema di ponti, collegati tra di loro dal Vicus Censorius che tagliava trasversalmente l'isola, realizzato non per andare sull'isola ma per attraversare il Tevere².
La storia di quelli che sarebbero poi diventati i ponti Fabricio e Cestio ha quindi origini lontane, e le loro vicende, fino ai nostri giorni, sono sempre state interdipendenti in conseguenza del fatto che i due ponti si sono sempre dovuti spartire congiuntamente la portata globale del Tevere.
I due capitoli successivi sono relativi, rispettivamente, al ponte Fabricio e al ponte Cestio; un capitolo conclusivo riguarda le vicende comuni ai due ponti fino agli ultimi eventi dei nostri giorni.
Ponte Fabricio
L’isola Tiberina, punto privilegiato per guadare il Tevere, fin dai tempi remoti fu in qualche modo connessa alla sponda sinistra del Tevere per mezzo di passerelle o precari ponti in legno.
Dopo la pestilenza del 293 a.C. e la conseguente ambasceria inviata ad Epidauro per invocare la protezione del dio Esculapio, la tradizione vuole che il sacro serpente, incarnazione del dio, salisse spontaneamente sulla nave e, una volta giunto a Roma, si gettasse nel Tevere risalendone la corrente ed insediandosi nell’estremità meridionale dell’isola che divenne quindi luogo di culto della nuova divinità.
L’afflusso dei fedeli al nuovo luogo di culto, dove fu immediatamente costruito un tempio inaugurato nel 289 a.C., comportò la necessità di rendere agevole e permanente il collegamento tra la sponda sinistra e l’isola e questo fu probabilmente ottenuto con un traghetto³ e successivamente con un ponte in legno.
Questa situazione si protrasse, compatibilmente con le condizioni di flusso del fiume, fino al 62 a.C., anno in cui fu inaugurato il nuovo pons Fabricius, per noi ponte Fabricio.
Dione Cassio⁴ ci conferma la data di costruzione ed il nome del ponte che deriva da quello del suo costruttore: il Curator Viarum Lucio Fabricio che ha praticamente firmato
la sua opera facendo scolpire per ben quattro volte, sui entrambi gli archi maggiori e sia sul lato a monte che su quello a valle, la scritta:
L(ucius) Fabricius C(aii) F(ilius) cur(ator) viar(um)
faciundum (PONTEM) coeravti⁵
e sui due lati del più piccolo arco centrale:
Idemque probavit (lato monte)
EIdemque probavEit⁶ (lato valle)
Un’ulteriore iscrizione, in caratteri più piccoli e subito sotto a quella principale, fu scolpita su entrambi i lati del solo arco verso la riva sinistra; le scritte sui due lati differiscono leggermente una dall’altra:
Q(Vintus) LepidVs M(anii) f(iliVs) M(arcVs) LolliVs M(arci) F(iliVs) co(n)s(Vles) s(enatVs) c(onsVlto) probaverVn (lato monte)
M(arcVs) LolliVs M(arci) F(iliVs) Q(VintVs) LepidVs M(anii) f(iliVs) co(n)s(Vles) ex s(enatUs) c(onsVlto) probaverVnt⁷ (lato valle)
L’iscrizione fu aggiunta nel 21 a.C., anno di consolato di Marco Lollio e Quinto Lepido, e documenta un restauro effettuato probabilmente a seguito dei danni arrecati dalle piene del 23 e 22 a.C. Anche se le iscrizioni sono presenti solamente sull’arco