Brucia il tuo curriculum: E trova davvero il TUO lavoro in 10 passi!
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Hai mai pensato che se non riesci a trovare lavoro forse la colpa non è di come sei ma del modo in cui lo cerchi? Del fatto che ti affidi a un pezzo di carta che non può dire davvero nulla di te? Con "Brucia il tuo curriculum" scoprirai come uscire dalla spirale negativa degli annunci, ed entrare in quella positiva della ricerca attiva ed efficace del lavoro.
Capirai quali sono le trappole della ricerca passiva del lavoro, quella fatta con annunci e curriculum, che sta creando milioni di cercatori scoraggiati e decine di migliaia di datori frustrati. Imparerai l'importanza dell'atteggiamento giusto nella ricerca del lavoro. Ma, soprattutto, con un metodo in 10 passi e alla portata di tutti, scoprirai come puoi trovare non solo un lavoro, ma IL TUO lavoro in alcune settimane, seguendo un metodo testato e sviluppato con migliaia di persone e decine di trainer in tutta Italia.
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Brucia il tuo curriculum - Riccardo Maggiolo
Riccardo Maggiolo
Brucia il tuo curriculum
E trova davvero il tuo lavoro in 10 passi!
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Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
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Indice dei contenuti
INTRODUZIONE
PRIMA PARTE - LA SPIRALE NEGATIVA
L'albergo delle mille stanze
La verità, vi prego, sul lavoro in Italia
Il grande imbuto
Sette miti da sfatare
Sette motivi per bruciare il curriculum
Uscire dalla spirale negativa
SECONDA PARTE - DAL LAVORO A TE
Sognando New York
Il lamento è il tuo peggior nemico
Di chi è la colpa?
Cos'è il lavoro?
Pensa a lungo termine
Il denaro arriverà
Prima tu, poi il lavoro
Il segreto
per trovare lavoro
Trovare un lavoro è un lavoro
TERZA PARTE - LA SPIRALE POSITIVA
I tre scalpellini
Primo passo: trova i tuoi valori
Secondo passo: trova la tua vocazione
Terzo passo: definisci il tuo profilo lavorativo
Quarto passo: crea e comunica il tuo personal brand
Quinto passo: espandi e cura la tua rete
Sesto passo: assumi il datore
Settimo passo: raccogli informazioni
Ottavo passo: prepara un progetto
Nono passo: candidati
Decimo passo: vai al colloquio preparato
QUARTA PARTE - LAVORARE LA VITA
Lavora la tua vita...
... e salva il mondo!
RINGRAZIAMENTI
INTRODUZIONE
Quando scrissi per la prima volta questa introduzione era la vigilia di Natale del 2013. Per il CNEL – Consiglio Nazionale Economia e Lavoro - era stato «L’anno peggiore di sempre per l’economia italiana». Oggi è l’aprile del 2020 e la quarantena dovuta alla diffusione del Coronavirus è ancora attiva. Nessuno sa esattamente come sarà il nostro Paese, il nostro mondo tra qualche mese, ma una cosa sembra pressoché certa: l’anno peggiore di sempre per l’economia italiana sarà il 2020.
A fine 2013 scrivevo di una notizia che mi aveva colpito: molte persone avevano appeso il loro curriculum all’albero di Natale allestito all’interno della stazione Termini di Roma. Mi era sembrata un’immagine molto rappresentativa sia del momento di difficoltà del Paese, sia del metodo con cui le persone cercavano lavoro in Italia. Era come se stessero scrivendo una lettera a Babbo Natale da adulti: sapendo benissimo che le loro richieste non potevano essere esaudite.
Oggi è il 2020, e quell’immagine dei CV appesi all’albero di Natale rischia di continuare ad essere esemplificativa del modo in cui si cerca lavoro in Italia: in maniera passiva, quasi rassegnata, lanciando una preghiera affinché la sorte o qualche misteriosa e invisibile forza evocata da chissà quale rito apotropaico (l’iscrizione a una nuova agenzia per il lavoro, l’ennesima candidatura in risposta all’ennesimo annuncio, il download dell’ennesima app risolutrice) possa risolvere tutto facendo apparire un contratto di lavoro con stipendio fisso, come un dono in salotto la mattina di Natale.
Ce lo potevamo già permettere poco ieri, questo approccio passivo alla ricerca del lavoro e questo modo meccanicistico di pensare al lavoro in generale. Ma oggi no: non possiamo più permettercelo. Nella maniera più assoluta. Perché rischia non solo di non consentire quella piena ripresa economica di cui il nostro Paese ha bisogno come l’aria, ma anche di aggravare la già profonda frattura psicologica e sociale che esiste sia tra le persone che nelle persone. Una ferita da cui il nostro Paese potrebbe non riprendersi mai più.
Lo scrivevo già nel 2013, ma oggi vale più che mai: abbiamo un disperato bisogno di cambiare la nostra narrazione
del lavoro. Oggi il lavoro è visto dai più come una condanna: qualcosa di spiacevole e obbligato; un dovere imposto dall’alto invece che una scelta; un semplice mezzo di sussistenza invece di qualcosa di necessario per avere una vita piena. Di più: il lavoro è spesso pensato come una materia prima scarsa e allo stesso tempo poco desiderabile; qualcosa di raro che bisogna cercare di accaparrarsi in tutti i modi, eventualmente anche prevaricando; e questo persino se non piace ciò che si cerca di ottenere. Con le difficoltà e le privazioni che comporterà la terribile crisi che stiamo vivendo, questo modo di interpretare il lavoro e quindi la società rischia di dilagare, facendo danni forse irreparabili. Perché esaspererà il conflitto nel mercato del lavoro, mettendo ancora di più domanda e offerta di lavoro l’una contro l’altra.
È questo, infatti, da decenni il problema principale del nostro mercato del lavoro. Non la mancanza di competenze e di determinazione nei lavoratori; non la scarsa capacità di visione e di rispetto per le risorse umane da parte dei datori di lavoro; ma la profonda sfiducia degli uni negli altri, e di entrambi verso il mercato e il futuro; una sfiducia alimentata da una narrazione tossica del lavoro. Da una parte, disoccupati che cercano lavoro ma, dentro di sé, pregano di non trovarlo, candidandosi spesso in maniera svogliata o sviluppando un atteggiamento passivo-aggressivo; dall’altra, datori di lavoro che pensano di essere circondati da orde di disoccupati scioperati, disillusi o aggressivi, e che per questo rinunciano a cercare collaboratori o, quando proprio devono farlo, lo fanno controvoglia e, a volte, in maniera iniqua.
La conseguenza di tutto ciò è quella di attribuire alle persone la colpa di questa situazione: ai lavoratori, ai datori, alle scuole, alle agenzie per il lavoro, alle aziende, allo Stato. Quasi nessuno si azzarda a dire che se (ed è un grande se) i lavoratori sono demotivati, i datori cinici, le scuole inefficienti, le agenzie fredde, i selezionatori prevenuti, le aziende discriminatrici e lo Stato impotente non è perché lo sono per natura, ma anche e soprattutto perché il modo in cui vengono fatti interagire li porta a comportarsi così. Non è un problema di risorse
, ma di scambio
! Non delle persone, ma del mercato del lavoro!
Va urgentemente cambiata la visione collettiva del lavoro e della sua ricerca, oltre che i suoi strumenti operativi. Una visione che ci porti dall’ Era dell’impiego
all’ Era del lavoro
(senza rimanere invischiati nell’ Era dell’attività
). È un cambiamento culturale esteso e profondo, eppure oggi più che mai urgente e necessario per poter riemergere da questa crisi e costruire una comunità più equa, pacifica e realizzata. Perché solo trovando non un lavoro, ma il proprio lavoro, le persone possono restare aggiornate, efficienti, occupabili e soprattutto possono vivere serene e creare valore aggiunto per tutti. Si tratta, forse, della più grande sfida che abbiamo di fronte come umanità.
«Bruciare il curriculum» è sì una provocazione, ma fino a un certo punto. Diffondere e sostenere questa nuova visione del lavoro, dare il proprio piccolo contributo di ribellione
rinunciando a strumenti comodi
e allo stesso tempo dannosi come il curriculum vitae, non è solo un’opportunità, ma una sorta di imperativo morale. E passa anche dall’abbandonare un modello di intermediazione del lavoro che ogni giorno oramai da decenni si dimostra - checché se ne dica - inefficiente, depressivo, alienante e poco o per nulla meritocratico.
Cambiare punto di vista e narrazione, approcciare il mondo del lavoro e la sua ricerca in modo completamente differente, ha dimostrato di funzionare. In questi anni di sviluppo del Progetto Job Club, ho visto migliaia di persone trovare lavoro e diventare membri più attivi e produttivi
nella società dopo aver almeno in parte abbracciato questa visione alternativa
del lavoro e del suo mercato. Lavorando insieme.
Per questo, mi auguro che quanto scritto qui possa essere d’aiuto anche a te. Questo libro non è né un libro delle rivelazioni
né un manuale facile pronto uso
: è un insieme di considerazioni, esperienze, tecniche che hanno aiutato molte, moltissime persone. Non sono la soluzione di tutti i mali, ma certamente aiutano quanto meno a indirizzarsi verso la direzione giusta, e questo credo che sia la cosa più importante. Anzi, necessaria. Per chi cerca lavoro, certo, ma anche per la comunità tutta. Buona lettura.
PRIMA PARTE - LA SPIRALE NEGATIVA
Ovvero: perché devi bruciare il tuo curriculum
"Continuerai a farti scegliere
o finalmente sceglierai?"
Fabrizio De André, Verranno a chiederti del nostro amore
Storia di un impiegato, 1973
L'albergo delle mille stanze
Un viaggiatore guida nella notte. È molto stanco, e decide di fermarsi per riposare. Nota un’insegna: Albergo delle mille stanze
. Svolta allo svincolo seguendo le indicazioni e, dopo pochi minuti, è sorpreso nel trovarsi di fronte a un’enorme struttura. Ferma la macchina nell’immenso parcheggio, prende la valigia dal bagagliaio e, continuando a guardare con occhi stupiti il grandissimo palazzo, alto svariati piani, entra nella reception. L’interno è imponente, pulito, alla moda. Una bella ragazza lo accoglie con un ampio sorriso da dietro il bancone.
- Buonasera – gli dice
- Buonasera – risponde il viaggiatore – Avreste una camera per la notte?
- Certamente! Abbiamo diverse centinaia di stanze libere, e di tanti tipi diversi! Singole, doppie, economiche, suite, con doccia, con vasca da bagno, con idromassaggio, con balcone, con servizio in camera, con o senza cassaforte o cabina armadio... Lei che tipo di stanza preferisce?
- Ma guardi, sono molto stanco: vorrei solo riposare. Una qualsiasi stanza con un letto per me va bene.
- D’accordo – risponde con un sorriso leggermente accigliato la ragazza – Allora la lascio libero di scegliere da solo la sua stanza. Abbiamo delle serrature ad impronte digitali: basterà che appoggi il pollice allo schermo vicino alla porta. Se la stanza è libera, apparirà una luce verde, la porta si aprirà e il computer la inserirà automaticamente nel nostro registro ospiti.
- Davvero? Fantastico! Che fortuna aver trovato questo albergo! Allora buonanotte.
- Buonanotte. E grazie di averci scelto.
Il viaggiatore quindi esce dalla reception, gira l’angolo ed entra subito in un lunghissimo corridoio, con porte numerate su entrambi i lati. Si reca alla porta numero 1, pensando con piacere al soffice letto che lo attende. Appoggia il pollice allo schermo, ma subito una scritta rossa si illumina: Occupato
. «Poco male – pensa il viaggiatore – ne troverò subito un’altra». Si reca alla porta numero 2, e appoggia il pollice. Anche qui la luce rossa si illumina: Occupato
. Il viaggiatore certo non si dà per vinto, e prova con la terza stanza. Occupata anche questa. E anche la quarta, la quinta, la sesta, la settima. E così via. Alla fine, davanti alla porta numero 63, e avendo trovato tutte le stanze occupate, il viaggiatore è sfinito e adirato. «Dannazione! Mi avevano detto che c’erano centinaia di stanze libere! Voglio solo un letto: è chiedere troppo? Maledetto albergo!».
Scoraggiato, il viaggiatore guarda davanti a sé: il corridoio è ancora lunghissimo, tanto che non se ne vede la fine. E, voltandosi verso dove è venuto, la vista è uguale. Non ha la forza di proseguire, né di tornare alla reception. Apre quindi la valigia e tira fuori un maglione e una giacca. Li usa come cuscino e coperta e si distende sulla moquette in un vano che dà su uno sgabuzzino. Ovviamente, passa una notte infernale.
La mattina dopo, il viaggiatore si sveglia tutto ammaccato, per nulla riposato e, naturalmente, assai arrabbiato. Raccoglie le sue cose e le ripone rapidamente nella valigia. Con il volto sudato e la camicia spiegazzata, torna verso la reception. Quando vi arriva, trova la stessa ragazza della sera prima.
- Ah, proprio lei! – l’apostrofa furente – Mi aveva detto che avevate tantissime stanze libere, e invece erano tutte occupate! Guardi, ho dovuto persino dormire nel corridoio!
La ragazza sembra un po’ sorpresa e dispiaciuta, ma non si scompone. Clicca un paio di volte sul suo computer e torna a volgere lo sguardo al viaggiatore.
- Mi rincresce davvero signore – gli risponde – Ma quello che mi dice è davvero molto strano. Abbiamo dieci piani e mille stanze, e dal registro vedo che abbiamo solo 284 ospiti registrati.
- Mi prende in giro? – replica adirato il viaggiatore – Ho passato ore in quel corridoio a cercare una stanza libera ed erano tutte occupate!
- Mi scusi, ma dove le ha cercate?
- Ma qui, dietro l’angolo!
- Beh, vede… Quasi tutti i nostri ospiti sono al piano terra, dove ha cercato lei. Ma ai piani superiori abbiamo moltissime stanze libere!
La verità, vi prego, sul lavoro in Italia
Un Paese povero, arretrato, con milioni di persone senza lavoro, soprattutto giovani, e per buona parte in mano alla malavita e al malaffare; con una pletora di piccole aziende grette e retrograde, e un pugno di multinazionali interessate solo al profitto e allo sfruttamento delle proprie risorse umane. Questa è l’immagine che la grande maggioranza degli italiani ha del proprio Paese. Un’immagine che, sebbene sfuggente nei dettagli, nel contorno sembra solida, innegabile, tanto che quasi qualunque visione alternativa viene rigettata con forza, mentre i casi di successo o comunque positivi vengono relegati a mere eccezioni.
I dati, d’altronde, sembrano non lasciare nessuna via di scampo: cinque milioni di poveri assoluti e nove milioni di poveri relativi; disoccupazione al 10% e quella giovanile che oscilla tra il 30 e il 40%; un’evasione fiscale spaventosa da oltre 100 miliardi di euro l’anno e una enorme economia sommersa da più di 200 miliardi; una disuguaglianza che non fa che aumentare tra i più poveri e i più ricchi, e un debito pubblico enorme, da quasi 2.500 miliardi. Il tutto in un Paese quotidianamente funestato da fallimenti aziendali, soprusi verso i lavoratori, criminalità organizzata, aggiramento di regole aziendali e sindacali, delocalizzazioni selvagge, e da una politica incapace di governare anche minimante il rapido disgregarsi dell’economia e della società.
Numeri che si stampano sulla memoria, immagini che segnano a fuoco l’animo e incrinano o persino annullano la speranza di un futuro migliore. Anche perché ripetuti con martellante costanza dal chiacchiericcio quotidiano dei media e di tanti amici, conoscenti, colleghi. Tanto che, appunto, questa visione lugubre diventa una convinzione ferrea e incrollabile; una sorta di pesante coperta che ci permette di cullarci nell’autocommiserazione e di assolverci gli uni gli altri dandoci pacche sulle spalle, ma che allo stesso tempo ci soffoca e ci fa vivere in un mondo buio e deprimente. E se già questa coltre è soffocante per una persona con un reddito certo, bene integrata, e senza particolari problemi sociali, familiari o di salute, può diventare esiziale per chi invece ha bisogno di cercare un lavoro, e magari ha anche problemi personali e familiari. Se non c’è speranza per il mercato del lavoro e per il futuro dell’Italia, perché dovrei averne io?
Ma è davvero così? Davvero non c’è speranza per l’Italia? Davvero chi cerca lavoro nel nostro Paese può al massimo inviare qualche curriculum e aspirare in un lavoro umiliante e precario? In realtà, se si va oltre i titoli di giornale e si guarda bene ai numeri, si capisce che essi non mandano affatto un messaggio univoco e negativo. Anzi, man mano che si va in profondità, restituiscono una realtà dalle molte sfaccettature, e molte di queste tutt’altro che negative.
Partiamo dalla ricchezza. L’Italia è ancora l’8° Paese al mondo per PIL prodotto. Se si divide questo PIL per la popolazione e si considera la capacità di spesa, scende al 32° posto, ma comunque su 200 nazioni al mondo si colloca nel 15% più ricco. Vero che il suo debito pubblico è tra i più alti al mondo (2.447 miliardi), ma è anche vero che è di poco superiore al risparmio gestito (2.275 miliardi, di cui 1.700 miliardi in conti corrente bancari). Inoltre, solo il 22% di questo debito è concretamente detenuto da investitori stranieri. A livello mondiale, solo Giappone e Canada, mostrano una percentuale più bassa
Ma non è tutto: il patrimonio in mano agli italiani è di ben 9.743 miliardi, di cui più della metà è in immobili (54%, 5.246 mld) e poco meno della metà è ricchezza finanziaria (45%, 4.374 mld). Ciò fa in modo che l’Italia sia tra i primissimi Paesi al mondo per rapporto fra ricchezza netta e reddito lordo disponibile delle famiglie (la prima è ben 8,4 volte più della seconda!). Insomma, semplificando molto, siamo un Paese che guadagna relativamente poco ogni mese, ma può contare su un rilevante patrimonio accumulato, ben superiore anche a Paesi che di solito guardiamo con invidia.
«Ok – starai pensando – ma come è distribuita questa ricchezza? Non sarà quasi tutta in mano a pochi ricconi?». Sicuramente la disuguaglianza tra ricchi e poveri è cresciuta sensibilmente negli ultimi 30 anni: il 10% più ricco ha infatti aumentato la quota di reddito totale al 29%, mentre il 50% più povero l’ha vista diminuire al 24%. Ma questo è un fenomeno che non ha solo riguardato solo l’Italia - anzi - e si è comunque associato a un PIL più che raddoppiato (da 800 miliardi nel 1990 ai quasi 1.800 di inizio 2020).
Ad ogni modo, oggi il 20% più povero degli italiani detiene solo lo 0,1% della ricchezza nazionale, mentre il 20% più ricco ne detiene circa i due terzi. Sicuramente una profonda ingiustizia sociale e un problema gravissimo ma, anche qui, sbaglieremmo se pensassimo che fosse un problema solo italiano: la quota di reddito dell’1% più ricco in Italia è più bassa di quella di Francia, Regno Unito e Svezia, così come la quota di reddito detenuta dal 50% più povero è più alta in Italia che in Francia e Regno Unito.
Mettiamo però la lente di ingrandimento su quei poveri residenti in Italia. Se è vero che ci sono 5 milioni di persone in povertà assoluta - ed è, comunque la si veda, intollerabile - c’è anche da dire che rappresentano circa il 7% delle famiglie e l’8% degli individui: decisamente