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Il Rompicoglioni: L'eredità perduta di Sergio Saviane
Il Rompicoglioni: L'eredità perduta di Sergio Saviane
Il Rompicoglioni: L'eredità perduta di Sergio Saviane
Ebook72 pages1 hour

Il Rompicoglioni: L'eredità perduta di Sergio Saviane

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About this ebook

Qui non c'è una biografia. Qui c'è un ritratto breve, contenuto, che poi si allarga a una considerazione, triste, sullo stato dell'informazione e dei giornalisti in Italia. Ho preferito un lavoro scorrevole, per trar fuori dall'oblio questo fuoriclasse “appena” scomparso e già rimosso, e contrapporlo alle miserie attuali. Di Saviane parlano i suoi articoli, i suoi libri e qualche concittadino, che lo ha conosciuto oppure sfiorato a debita distanza: perché questo tenerissimo orso non sprecava confidenza, era una fortezza da espugnare per arrivare al cuore di una intimità. Sono stato a spasso per le sue pagine, per i suoi incubi, per le sue strade, e sulla sua lapide. Sono stato in sua compagnia, scoprendolo io per primo prima di proporlo a chi legge. Se non tornano le parole, non può tornare la memoria.

LanguageItaliano
Release dateNov 4, 2014
ISBN9781310421426
Il Rompicoglioni: L'eredità perduta di Sergio Saviane
Author

Massimo Del Papa

Faccio il giornalista dal 1990. Ho scritto alcuni libri, di preferenza in formato ebook.

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    Il Rompicoglioni - Massimo Del Papa

    Il Rompicoglioni

    L'eredità perduta di Sergio Saviane

    Massimo Del Papa

    Copyright Massimo Del Papa 2014

    «La satira è un mezzo che permette di esprimere con ironia, sarcasmo o cattiveria giudizi proibitivi, critici o morali spiazzando ed eliminando l’avversario a volte con lo sberleffo più atroce. Può smuovere anche al riso, ma è un riso cattivo, molto amaro».

    Senza Saviane

    La crisi è arrivata anche qui. Pareva impossibile, ma si respira adesso. Aree dismesse, capannoni fatiscenti, cadaveri di fabbriche. La crisi ha aggredito il nordest, il Trevigiano dei soldi facili e tanti, del miracolo economico sempre più pagano, del benessere sempre meno perbenista che sempre meno si vergogna di sè, dello struscio di lusso il sabato pomeriggio, su e giù per il ponte di legno di Bassano, dalla lunga e bella piazza centrale di Castelfranco, naturalmente intitolata a Giorgione, avanti e indietro per i portici, a lambire il fiume che la lambisce, più' esattamente le acque reflue del Casteo, il Castello che qui e' come una persona e la cui cinta e' carezzata dal fluire dello stesso Musone che scorreva raccogliendo l'eco dei Signore e signori di Germi, storie più vere del vero, goderecce e ipocrite di finti impotenti e veri cornuti, di acque chete che ti prendevano lasciandosi prendere, e scorrendo scorrendo il fiume le ha consumate tutte e non ne trova di nuove e si stupisce di questa improvvisa frattura della serenità. L'opulenza si ripiega, si spaventa, spranga le case e le ville, guarda con sospetto i foresti di tutti i colori, sa di non farcela più come prima. Qui, un tempo non lontano, i grandi opifici, le aziende tessili come la Sanremo che al mattino mandava i suoi pullman a raccogliere lavoranti per tutta la provincia, a centinaia, a migliaia, processioni di torpedoni nel ventre della immane officina: adesso regnano le erbacce e una sessantina di superstiti si ostinano ad aspettare il nulla, come in un racconto di Buzzati. Qui il distretto di bollicine, frizzante di aziende e fabbrichette e laboratori e poi scantinati e garage dove, rigorosamente in nero, la vera ricetta del miracolo italiano, si mettevano insieme i feticci della modernità e della moda, mobili e vestiario e componenti elettronici ormai dispersi dall'era dei microchip, gli stampati con i condensatori e le resistenze per le radioline, gli stereo, le televisioni. Quelle radio nella testiera del letto! Nel posacenere della sala! Radio dappertutto, per intercettare il futuro che veniva ed era buono, era propizio e infinito. E invece.

    Uno dei settori tradizionalmente forti è quello del legno-arredo, dei mobilieri. Era. Oggi il mobile è giù, le scarpe sono giù, l'occhialeria, che si chiama Luxottica, invece regge, l'elettronica giù, la meccanica di precisione tiene, il metalmeccanico bene o male si difende. Ma l'ansia si respira e intossica. Fanno convegni anche seri, pieni di esperti in marketing, in strategie finanziarie di ultima generazione, parlano per sei ore, spiegano, raccomandano, tutti coi loro bravi grafici, con le slide proiettate sul maxischermo, poi viene l'ora del dibattito e i produttori, i costruttori come se non avessero ascoltato niente: Io non debbo imparare da nessuno dicono, io so fare quel che so fare e non mi metto certo a cambiare la mia testa. E spiegargli che non è questione di cambiarsi la testa, ma di aggiungere teste nuove, di arricchire l'organigramma, è inutile, c'è chi come soluzione di tutti i guai propone di trasferirsi in Carinzia, maledetto Stato che ci tassa, e finisce sempre in politica, tentazioni separatiste, stridore e digrignar di denti che è lo stesso a tutte le latitudini produttive.

    Non che le ragioni manchino. Mille imprese chiuse in tre anni in Veneto, dice la Cisl, 800 aziende in crisi dal 2009 al 2012, 3.800 imprese in meno nel settore delle costruzioni dal 2009 al 2012, con il numero di dipendenti che, complessivamente nei due settori, dal 2008 al 2012, ha perso quasi 34 mila unità. Alla fine del 2012 le imprese attive in Veneto del comparto legno-mobilio sono complessivamente circa 8.600, quelle operanti nel settore delle costruzioni oltre 71 mila. Nell'insieme, esse costituiscono circa il 18% del totale delle imprese attive in regione, ma rispetto al 2009 si registra un calo delle imprese attive del 10% nel comparto del legno-mobilio (circa un migliaio di aziende in meno) e del 5% nelle costruzioni (-3.800). Numeri da ecatombe, aziende storiche costrette a chiudere, distretti del legno prestigiosi, come Quartier del Piave, in provincia di Treviso, travolti , casi surreali come quello della Vidori salotti di Farra di Soligo, dove, mentre il legale rappresentante dell'azienda portava i libri in tribunale, i dipendenti, senza stipendio da due mesi ma del tutto ignari, continuavano a lavorare con disperata speranza.

    Tanti studi, tanti convegni, tutti intitolati allo stesso modo, ossessivamente: Come uscire dalla crisi. Ma come uscire non lo sa nessuno, non si fa in tempo a ipotizzare una strada che subito si rivela un vicolo cieco. E la nostalgia prende patologicamente il sopravvento. Non doveva mai finire il circolo virtuoso e invece s'è spezzato con la prima globalizzazione degli anni Ottanta, le delocalizzazioni, la ruota incrinata che continua a girare, perché l'impianto è solido, ma perde colpi, sempre di più finché le crisi sistemiche, poi endemiche, non hanno la meglio. Ma non ditelo a quelli di qua! A me va ancora bene, gli altri non so, anzi so che hanno problemi, ma noi ci salviamo. Così tutti quanti: e allora chi è che sta male, chi chiude bottega o la restringe?

    I dati, come sempre succede, sono contrastanti, discutibili: c'è chi giura, La ripresa sta arrivando, ma poi la Tribuna di Treviso smorza gli entusiasmi riportando la stima dell'Ufficio Studi della Camera di Commercio di Treviso: partite Iva in calo per tutti e a Treviso più che altrove, meno 6,3 percento. Ci si difende alla maniera vecchia, lavorando di più, chi può, e consumando di meno, rinunciando al tempo libero, restando o tornando

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