Cosa resta del bianco
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About this ebook
Un trasloco, un incontro, una notte osservata con occhi guardinghi, un giardino tropicale, la fermata di un bus, un villaggio che assiste al ritorno di stranieri misteriosi, un amore irrisolto in bilico tra sensualità, rancore e nostalgia, la pazzia di un polacco dalla vita inspiegabile, un viaggio senza destinazione.
Queste prose brevi raccolgono i frammenti di un quotidiano filtrato attraverso una lingua sempre in bilico tra la prosa e la poesia, tra la descrizione minuziosa dei dettagli e la potenza allusiva di ciò che non si vede ma fa capolino dietro la realtà concreta.
I testi cercano di far venire a galla le cose nascoste dietro la realtà visibile, ma senza negarsi all’esperienza quotidiana con i suoi enigmi e dubbi. “Cosa resta del bianco” ci lascia, alla fine della lettura, la sensazione di aver accumulato delle domande in più, dei dubbi in più, ma forse anche uno sguardo più attento alle piccole illuminazioni che rendono poetica e vivibile anche la più ostile realtà.
La scrittura levigata e talvolta elementare risuona ed emerge appassionata e consapevole per dare forma agli eroi grotteschi di una umanità in apnea, commovente, fiabesca e soprattutto mai banale.
Prisca Agustoni
Prisca Agustoni è nata nel 1975.Dal 2003 vive tra la Svizzera e il Brasile, dove insegna letteratura comparata e italiana all’università.È poeta, prosatrice, scrittrice per l’infanzia e traduttrice. Scrive in italiano, portoghese, spagnolo e francese.Tra le numerose pubblicazioni in poesia si ricordano La Morsa (Lugano, Alla Chiara Fonte, 2007), Le déni (Ginevra, Samizdat, 2012) e Poesie scelte (2000-2012) pubblicato nel 2013 da Giuliano Ladolfi Editore.In prosa sono stati pubblicati alcuni volumi in Brasile mentre diversi racconti sono comparsi in antologie, riviste e per il Corriere del Ticino.
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Book preview
Cosa resta del bianco - Prisca Agustoni
Entrò in chiesa con compostezza. Avanzò alcuni passi, finché non ebbe incontrato l’angolo giusto per appoggiarsi. I capelli erano uno specchio nero dove i desideri altrui – questo lei lo sapeva – ululano come lupi tenuti a distanza nel bosco.
Tutti ricordavano nitidamente la giovane ragazza che accompagnava sempre la madre durante le passeggiate pomeridiane in paese, mentre i compagni d’età imparavano altri comandamenti.
Quel giorno, esattamente come accadde quando apparve per la prima volta da sola, un brivido percorse le mura e le vetrate della chiesa durante il pater nostrum. Aveva preso dieci anni in pochi giorni, dicevano, e questo insinuava, senza ostentazione, una comprensione dei disamori che alimentano i banchetti natalizi nelle più serene famiglie.
Vestita di nero, uscì dalla chiesa con il volto impassibile, protetto dalla sciarpa di lana che faceva tre giri attorno al collo. Il disegno della bocca ricordava il volo radente del gabbiano che cerca il limite tra il cielo e il lago.
Nonostante la compostezza, mentre si allontanava, il passo incerto rivelava un qualcosa di insondabile. E la neve rifletteva, assieme al candore della sua pelle, l’intimità di un volto smangiucchiato dalle bocche di uomini e donne affamati per un pezzo di carne fresca.
Indice
Quasi amore
Verranno altri incidenti, immagino. Simili, se non peggiori.
Avvicinai la mia bocca alla sua. E chiusi gli occhi, per evitare che le sue pupille immobili mi ingoiassero verso il luogo in cui si trovava.
Eseguii ogni operazione senza commettere errori, così che, in pochi minuti, tutto terminò secondo le migliori aspettative. Riuscii a dargli un po’ di quest’esistenza tremula che accompagna me. Perché lui rinvenne con qualcosa di mio ospitato nel suo corpo. L’anima, direbbero gli antichi filosofi.
In verità, la mia calma svanì esattamente a partire da quel giorno, mentre il mio fiato invadeva le sue cavità e lo riportava con forza alla vita. Ciò che rimase fu uno strano disgusto di me stesso, una visione improvvisa della condizione umana esposta senza remore né pudore, abbandonata sul ciglio della strada.
Questa scena da allora mi turba. Non tanto l’immagine del corpo disteso per terra, la spalla dolcemente girata a destra abbracciando l’aria. Ma qualcos’altro, che quel giorno s’incollò alla mia bocca e mi soffoca tutt’ora.
Gli amici cercano di calmarmi dicendomi che è normale, perché la prima volta è indimenticabile, carica di forti emozioni. Tuttavia, ben sapendo che questo è ciò che davvero voglio fare nella vita, mai e poi mai avrei immaginato che il sapore dell’altro mi avrebbe violato con un così sordo dolore, aprendo in me una voragine di sgomento. In effetti, quell’uomo ha rubato la terra sulla quale cammino. Da allora precipito senza freni nelle sue pupille.
Giorni dopo l’accaduto, pare che lui volesse incontrarmi nuovamente perché – sosteneva – aveva un grande debito da saldare. Senza dubbio aveva ragione ed io avrei dovuto essere più comprensivo. Ma lo confesso: preferisco che sia la vita a risarcirmi, se necessario.
Non accettai di rivederlo; non ero pronto e non lo sono ora. Non avrei il coraggio di sostenere lo sguardo di colui che è diventato, da allora, il fantoccio inerme e sorridente delle mie notti. E fuggo dal suo sapore come dalle peggiori epidemie.
Indice
Il bosco
La sciarpa era marrone, di questo lei era certa.
Fu in novembre, forse fine ottobre visto che il cielo lanciava i primi segnali di abbandono. Anche da questo dipendeva l’eccitazione dell’inverno. L’eccitazione dell’oscurità e dell’anonimato. L’attesa di un calore conquistato, lottando contro le avversità.
Di questo si ricordò quando vide il fiume, lo stesso che la cecità di Borges doveva amare, in ognuna delle sue identità.
La sciarpa era marrone, di seta. Si sentiva una dama in quel feticcio di bellezza femminile. Una dama a passeggio con il suo cavaliere.
Vieni
, diceva costui, vieni, che il cavallo è rimasto nel bosco
.
I due entrarono percorrendo il sentiero costeggiato da alti alberi nudi, le dita nude, allacciate. La semplicità della mano non si era mai mostrata così austera.
All’uscita del bosco, poco tempo dopo, lui ebbe la certezza che qualcosa di importante fosse accaduto, lì dentro, così da aprire il cuore della sua amata.
Ciò nonostante, lei non solo non gli diede la mano, ma se ne andò dalla città, non lasciando dietro di sé alcuna traccia ad eccezione del fiume indagato dagli occhi di Borges.
La sciarpa era marrone, di questo lei era certa, e forse si trovava ancora in un qualche angolo dell’armadio.
Indice
Prigionia
Eccolo qui, nuovamente.
È venuto a me, condotto dal gelo della notte.
Finge di non sapere che non ci sono, perché esiliata nel punto morto della sua memoria. E la mia invisibilità è diventata l’ossessione che lo punge come un peccato.
È venuto con pensieri agitati e un modo urgente di rivelarsi, pur sapendo che non aprirò mai la porta. La sua espressione è di quanti non dormono, stoico nel momento della resa.
Da mesi non ci incontriamo, ma la sua presenza è costante, perché è nel possibile avvenimento – il suo corpo che mi scruta da dietro la porta, in qualsiasi momento – che il rischio si trasforma in piacere.
Infine, eccolo qui, in risposta ad una richiesta fondamentale della mia preghiera, stuzzicandomi con un desiderio sorto dal silenzio. Lui sa della figura che, riflessa nell’ombra e oltre la parete, fa di me qualcuno disposto alla bellezza definitiva, un quasi tradimento senza rimorsi, a imitazione delle notti che tardano a passare e rimangono notti anche in pieno giorno.
Ascolto il suo respiro attraverso la fessura, avvicinandomi. Lo so lì, in attesa, il suo tremore ancora intoccabile che contagia il mio stomaco. Che semina formiche sulla punta delle dita. Come in quei mesi in cui la neve lo aveva condotto, per la prima volta, a me, scavando impercettibilmente la mia condanna.
I suoi capelli erano allora una brace viva, sulla quale distesi le mie allucinazioni.
Tutti e due sappiamo che non aprirò più questa porta. Per questo le sue labbra sono imperdonabili, percorrono la mia nuca, scendono sulle vertebre, le baciano una alla volta e, infine, sparpagliano petali di fiori per terra, prima di scomparire nella notte.
Se aprissi la porta, non lo lascerei più uscire dalla mia ragnatela fatta di saliva e pensieri. Mi alimenterei delle sue carezze insanguinate fino a renderle inoffensive, svuotandole come palloncini senz’aria.
Dovremmo quindi inventare un altro linguaggio per sopravvivere. Forse inizieremmo a rincorrere le parole come briciole di pane sul tappeto.
O avremmo invece tempo sufficiente per viaggiare in vagoni di seconda classe con destinazione l’oriente.
Saremmo prigionieri solamente di noi stessi.
Prigionieri solitari senza sequestratori né riscatto.
Aveva promesso di non far ritorno.
Ma eccolo, nuovamente. Immobile dietro alla porta. E adagia delicatamente il suo desiderio sul mio, copre come un lino il mio pensiero con il suo, in attesa di sentire il peso della notte, prima che questa sprofondi nella città e rimanga, forse per sempre, con quel sapore amaro in bocca di neve proibita.
Indice
Intima città
Mi ricordo della prima notte: le sirene falciavano il dolce languore del risveglio. Io mi tenevo stretta le mani perché fossero compagnia, percorrendo quella strettoia simile ai corridoi sotterranei del métro parigino che dall’angoscia conducono al sollievo. Tutta la città penetrava lentamente nel mio sonno, dalla bocca alla coda, e portava con sé una processione di visi estranei che mi spiavano senza batter ciglio. E nel sonno, sospesi i sensi, mi lasciavo trasportare.
Quella notte fui iniziata all’arte della seduzione, ai suoi riti di dannazione e purificazione.
Poi vennero altre notti e altre lingue attraversate in una ramificazione improbabile del destino, ma quella sensazione di isolamento e fascino mi accompagna come un anello infilato al dito che oramai non avrebbe senso lontano da quella mano. Allo stesso modo si mischiano e si riconoscono come famigliari, nella città, attorno al mercato a cielo aperto, arabi, ebrei, portoghesi e italiani che meditano sul prezzo delle carottes.
Da tempo ho lasciato la città. L’ho affidata agli amici perché se ne prendano cura e innaffino, di tanto in tanto, l’immaginario degli assenti. Credevo di conoscerne le tristezze travestite d’inverno, i suoi rari ed intensi slanci di gratitudine.
Tuttavia, solo oggi ricevo il suo vero messaggio, simile a quello di una vespa che punge senza darcene coscienza, lasciandomi di soppiatto una lettera senza mittente.
Un pungiglione, ben conficcato nel perno dell’età.