Cina, la grande seduttrice
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La Cina sarà presto la prima potenza economica mondiale e le conseguenze della crisi finanziaria internazionale potrebbero addirittura accellerare questa tendenza. L’Impero di Mezzo non si accontenta oggi, però, di puntare soltanto sul proprio sistema produttivo: Pechino guarda, infatti, più lontano e si è lanciata in una massiccia operazione di seduzione planetaria. Con la promozione di una cultura plurimillenaria, la mobilitazione della propria diaspora migratoria, la diffusione della lingua, l’utilizzo del suo patrimonio artistico-archeologico, l’aiuto allo sviluppo e la strategia del guadagno-guadagno, la Cina è passata all’offensiva. Essa può vantarsi già d’importanti successi in questo senso, in particolare, nei Paesi del Secondo e Terzo Mondo dell’Africa, America Latina e Medio Oriente. Ma il Gigante asiatico affascina anche i Paesi occidentali, i quali non possono che soccombere alla strategia del soft power cinese. Quali saranno gli effetti a lungo termine di questa politica? Ma non solo. Poichè l’operato di Pechino pone anche interrogativi sulla mancanza di democrazia nella Repubblica Popolare Cinese, come anche sulla violazione dei diritti umani, sulla sua crescita militare ed anche sulle sue ambizioni territoriali. La natura del regime cinese, a prima vista, in totale contraddizione con i principi del soft power, limita il successo di questi o al contrario ne facilita la diffusione? L’autore si spinge al cuore delle ambizioni cinesi, decrittandone la politica d’influenza, di lobbying e di comunicazione, inducendoci ad una riflessione tanto appassionante, quanto inquietante.
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Cina, la grande seduttrice - Barthélémy Courmont
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Il saggio di Barthélémy Courmont sul soft power cinese contribuisce alla comprensione di uno degli interrogativi più importanti a cui va data risposta nell’elaborazione di qualsiasi scenario di futuro ordine mondiale.
La nostra cultura strategica è eurocentrica, basata sulla logica occidentale, originata nell’antica Grecia. Quella orientale – in particolare quella cinese – è differente. É basata più sullo stratagemma, sull’azione indiretta, sullo sfruttamento delle vulnerabilità dell’avversario, su metodi asimmetrici e su una concezione più olistica della realtà e dei rapporti di forza.
Courmont ci fa penetrare nei meandri di un approccio strategico, che dà priorità al lungo termine, rispetto al breve periodo, alla modifica progressiva e paziente del contesto, anziché all’attacco diretto per causare danni all’avversario, all’accumulazione di piccoli vantaggi competitivi, che modificano nel modo più economico e meno rischioso i rapporti di potenza fra due avversari.
Negli scritti strategici cinesi vengono utilizzati due concetti non comuni in Occidente, ma che posseggono un’importanza centrale. Il primo è il potere nazionale globale
. Esso considera in un unico contesto le componenti della potenza sia interne – politiche, economiche, militari, tecnologiche, culturali, ecc. – che esterne, quali l’influenza diplomatica, il prestigio e l’attrazione esercitata dalla Cina nel Mondo. L’hard power – militare ed economico – viene considerato al servizio del soft power. Quest’ultimo è destinato ad ottenere risultati decisivi. Può però essere danneggiato da dimostrazioni troppo visibili della potenza cinese. Inevitabilmente, esse provocano reazioni. É la logica strategica sottesa alla politica del sorriso, del peaceful rise del Presidente Jiang Zemin, divenuto peace development con Hu Jintao, dato che il rise gli è sembrato troppo arrogante ed aggressivo.
Il secondo concetto è quello della configurazione strategica della potenza
. Questo è complementare al primo e indica la necessità di trasformare le vulnerabilità in fattori di potenza ed i rischi e debolezze in vantaggi. Il mantenimento della segretezza sulle proprie intenzioni – impugnando forte la spada, ma nascondendola dietro un sorriso
– è considerato essenziale. Il soft power maschera l’hard power. Fra i due, esistono correlazioni profonde e complesse. Il loro efficace sfruttamento è all’origine – come dimostra il prof. Courmont – di gran parte dei successi cinesi nel Mondo.
Tale interdipendenza è stata sempre presente nella cultura strategica cinese. Basti ricordare lo splendido esempio di diplomazia navale
, avvenuto all’inizio del XV secolo con l’invio della flotta del tesoro imperiale
dell’Ammiraglio Zheng, fino alle coste africane. Esso non aveva altro scopo che quello di dimostrare la potenza della dinastia Ming, per indurre i popoli rivieraschi dell’Oceano Indiano a riconoscere spontaneamente la superiorità cinese sia culturale che industriale.
La prevalenza delle componenti soft su quelle hard risulta evidente nelle indicazioni di Deng Xiaoping sulla politica estera e strategica cinese, contenute nella cosiddetta Strategia dei 24 Caratteri
: «osserva con calma; consolida in silenzio le tue posizioni; nascondi le tue capacità; non avere fretta, ma lascia che il tempo lavori a tuo favore; mantieni sempre un basso profilo e non pretendere mai la leadership; dimostra costantemente le tue intenzioni pacifiche e cerca la collaborazione, anziché il confronto con gli altri». Non si tratta di prescrizioni contingenti, legate ai rapporti di forza del momento.
Derivano da una logica profondamente radicata nella cultura cinese. Esse ne spiegano il grande successo. É quindi indispensabile rendersi conto della loro origine e delle loro basi culturali. Ciò è quanto fa magistralmente Courmont, valorizzando la sua profonda conoscenza della Cina e della sua cultura.
La logica cinese influisce sulla definizione degli obiettivi e delle strategie di Pechino, in particolare quelle relative all’utilizzazione del soft power. La strategia politica cinese – valida in politica sia interna che estera – è fondata sulla risonanza
(anziché su una hegeliana esclusione reciproca
) e sulla convivenza fra ordine e disordine, fra stabilità e caos. Ciò indipendentemente dal tipo di organizzazione politica e di legittimità interna o internazionale. Questa concezione peculiare è basata sul terzo risonante
, anziché sul terzo escluso
, proprio della logica occidentale. Essa ha permesso alla Cina di considerarsi nel passato Impero di Mezzo
, tramite fra la Terra e il Cielo. Oggi consente la coesistenza di un’economia iper-capitalista, caratterizzata da un liberismo e da uno sfruttamento dei lavoratori da padroni delle ferriere
, con un regime comunista a partito unico, che permette ordine ed armonia
, che definisce interessi e politiche e che, soprattutto, legittima la centralizzazione del potere, considerata da sempre in Cina presupposto indispensabile per l’ordine contro le tendenze alla conflittualità e alla disgregazione sociale e politica, che altrimenti prevarrebbero. Anche se il sistema di equilibri sociali è molto fragile – come è dimostrato dall’elevato numero di rivolte che si verificano in Cina, soprattutto nelle campagne e per gli squilibri causati da una delle economie contemporanee più aperte alla globalizzazione – non si può concludere che il sistema debba per forza entrare in crisi.
Tradizionalmente, l’autoritarismo viene considerato in Cina preferibile al disordine. Il potere è, in primo luogo, un meccanismo che genera obbedienza.
La politica si interessa del potere; non del diritto, né della libertà. La Cina è uno Stato delle Leggi
, data la forza della sua tradizione e della sua classe burocratica. I mandarini
sono assimilabili solo agli enarchi
francesi. Non è, invece, uno Stato della Legge
, nel senso che la concezione etica confuciana è collettivista, non individualista.
La concezione eroica
dell’efficienza, dell’efficacia e della rapidità d’azione – propria all’Occidente – non è condivisa dalla Cina, abituata a ragionare non in termini di rapporto mezzi-fini, ma di opportunità e di conseguenze.
L’efficacia consiste nell’utilizzare tutto ciò che è favorevole e nello sfruttare il potenziale della situazione
. La Cina è molto più attenta dell’Occidente alle trasformazioni silenziose.
Per quanto riguarda il soft power, esso non è considerato il by-product dell’hard power, ma di altre attività, così come l’appeal americano è stato stimolato dai McDonald’s, dai jeans, dal jazz e via dicendo. Inoltre, è importante notare che la logica – e quindi la strategia – cinese è sempre olistica, cioè globale. Non è fondata sul modello occidentale, in cui l’analisi precede la sintesi, come nella logica cartesiana.
La via indiretta (il c’i di Sun Zu) è da preferirsi all’azione diretta (il c’ieng), anche se le due vanno sempre combinate fra di loro, seppure in modo variabile a seconda delle circostanze. Più che alla distruzione dell’avversario, la strategia – secondo gli esperti cinesi – deve tendere alla sua destrutturazione, con un’azione progressiva e paziente, mirante più alla modifica del contesto e all’acquisizione di vantaggi comparativi – anche indiretti e a lungo termine – che all’urto frontale risolutivo, volto alla distruzione dell’avversario.
Il pensiero politico-strategico cinese è stato influenzato dal trauma subito nel Secolo delle umiliazioni
, in cui la Cina è stata soverchiata dall’urto frontale dell’Occidente e ha così scoperto la logica occidentale e la nozione di progresso. Allora ha incominciato a pensare in modo occidentale. Ha però mantenuto ben salde le radici tradizionali del suo sistema e del proprio pensiero strategico.
Quanto prima detto, costituisce un tentativo di comprendere che cosa sia per la Cina il soft power e la sua strategia per valorizzarne l’utilizzazione nel Mondo, parallelamente all’intensificazione delle relazioni economiche. Ciò dovrebbe indurre a contenere le preoccupazioni che in molti suscita l’aumento della potenza cinese. Il concetto confuciano di armonia
non esclude l’aumento della potenza e dell’influenza. Quest’ultima è facilitata dalla penetrazione culturale. Non è una gran novità, perché anche l’Occidente utilizza la stessa strategia. I Confucius Institutes proliferano in tutti i Continenti. Il numero di studenti cinesi all’estero e degli studenti stranieri in Cina è in costante aumento. L’attenzione dedicata da Pechino alle public relations in occasione dei Giochi Olimpici e dell’Esposizione Mondiale di Shanghai, magistralmente descritte da Barthélémy Courmont, darà un impulso notevole in questo senso.
La penetrazione culturale è considerata dal governo cinese indipendente dalle relazioni politiche. In occasione delle grandi manifestazioni anti-giapponesi in Cina del 2005, è stato aperto in Giappone un secondo istituto Confucio.
La Cina è generalmente apprezzata dalle opinioni pubbliche e non solo da quelle del Terzo Mondo. É ritenuta meno pericolosa per l’ordine internazionale degli Stati Uniti.
Non è così però per i Paesi confinanti. Essi corrono a chiedere la protezione Usa ogni qualvolta la politica cinese diviene più assertiva. In un certo senso, paradossalmente, Pechino è vista come una minaccia tanto più la sua potenza è messa in discussione. In tal caso, il Partito deve legittimarsi con il nazionalismo. Non può più farlo con la sola crescita economica.
Il soft power cinese si estrinseca anche con numerosi viaggi di personalità politiche cinesi, nell’alto livello di partecipazione ai vari fora e conferenze internazionali, nei finanziamenti di studi e ricerche internazionalistiche e strategiche, nella ricerca di un dialogo anche con le ONG che si interessano della tutela dei diritti umani, come Amnesty International, e – ultimamente – anche con il Vaticano. Con quest’ultimo, i rapporti sono stati tesi da quando fu fondata la Chiesa Cattolica Nazionale Cinese. In essa i vescovi vengono nominati da Pechino anziché da Roma, dato che ciò è considerata un’indebita ingerenza negli affari interni della Cina. Beninteso, la ricerca del consenso e del prestigio in campo internazionale ha un prezzo. Il regime, tradizionalmente chiuso, autoritario ed incline a prendere le decisioni in segreto, diventa permeabile alle critiche e alle pressioni esterne. Ciò gli impedisce di essere considerato un attore geopolitico completamente responsabile, come deve esserlo uno stakeholder dell’ordine internazionale e quindi un pilastro della sua stabilità e sicurezza. Solo modificandosi in tal senso, Pechino potrà aumentare grandemente la sua influenza negli affari mondiali ed evitare reazioni contro le sue iniziative. Gli altri attori geopolitici mondiali, in particolare gli USA, debbono adattarsi alla crescita geopolitica della Cina.
Come ha affermato il Sottosegretario di Stato Christopher Hill, la politica degli Stati Uniti verso la Cina è stata fondata su paradigmi quali il contenimento, il coinvolgimento o una combinazione dei due (co-engagement), decisi pressoché unilateralmente da Washington. Oggi la politica americana deve essere co-gestita con Pechino. Solo così sarà possibile per Washington coinvolgere la Cina nella costruzione e gestione del nuovo ordine mondiale, nei c.d. Strategic and Economic Dialogues.
Con la politica del soft power, la Cina ha conseguito importanti successi. Non si vede perché dovrebbe mutarla, date anche che le sue vulnerabilità, non solo militari, ma anche economiche, in caso di conflitto, verrebbero sicuramente utilizzate dagli Usa. Con l’integrazione nell’economia globalizzata è mutata la stessa geopolitica della Cina. Non è più un continente autarchico, ma un’isola dipendente dalle vie di comunicazioni marittime. Queste ultime sono dominate – sia ad Ovest (Stretti della Malacca), sia ad Est (doppia catena di isole
su cui sono situate le grandi basi aeronavali americane del Pacifico) – dalle marine militari degli Stati Uniti e dei loro alleati. La Cina non potrà mai sfidarle, acquisendo una sufficiente capacità di sea control, cioè di protezione dei propri traffici marittimi. Anche per questo, Pechino è obbligata a collaborare con Washington. Lo è anche sotto il profilo finanziario. In esso, esiste fra Washington e Pechino una situazione per molti versi analoga a quella che esisteva fra Usa ed Urss nella Guerra Fredda in campo nucleare. Una situazione cioè di MAD (Mutual Assured Destruction). Una guerra commerciale distruggerebbe la Cina, ma arrecherebbe anche immensi danni agli Stati Uniti. Le due maggiori Potenze mondiali sono quindi obbligate a cooperare, utilizzando, nella loro inevitabile competizione, il soft power, non l’hard power. Quest’ultimo sarebbe non solo più costoso e rischioso, ma produrrebbe anche minori benefici, come più volte suggerisce nel suo saggio il prof. Courmont, con considerazioni interessanti che aiutano a comprendere come i cinesi vedano le realtà attuali ed il futuro loro e del Mondo.
Carlo Jean
Carlo Jean è Generale di Corpo d’Armata, presidente del Centro Studi di Geopolitica Economica, docente all’Università Guglielmo Marconi, Link Campus University, alla Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia. Svolge corsi di Geopolitica alla Scuola di Perfezionamento delle Forze di Polizia e alla Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze. È stato Consigliere Militare del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga. È stato Presidente del Centro Alti Studi per la Difesa. È stato Rappresentante Personale del Presidente in esercizio dell’OSCE per l’attuazione degli accordi di pace di Dayton in Bosnia-Erzegovina, Croazia e Repubblica Federale di Jugoslavia. È stato Presidente della SO.G.I.N.- Società Gestione degli Impianti Nucleari e Commissario Delegato del governo per la messa in sicurezza dei materiali nucleari, È autore o curatore di numerosi articoli, libri e saggi.
Introduzione
La Cina può sedurre il Mondo?
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«Il soft power prevede la capacità di definire l’agenda politica affinchè questa influenzi le scelte degli altri. Il soft power va al di là della persuasione o del potere di convinzione grazie all’offerta di argomenti. È la capacità di sedurre ed attrarre. E l’attrazione porta sovente all’accettazione o all’imitazione».
Joseph S. Nye, Jr., Bound to Lead: The Changing Nature of American Power, 1990.
Il conto alla rovescia è partito. La Cina sarà tra meno di una generazione la prima potenza economica mondiale.
Allo scadere del 2035, la maggior parte degli esperti a Washington è concorde: la Cina avrà sorpassato gli Stati Uniti dopo essere diventata, tra qualche anno, il primo Paese esportatore mondiale,