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Tra Relitti e Zattere
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Tra Relitti e Zattere

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L’arte poliedrica di Emilio Tadini è avvolgente e coinvolgente. Ciò si rivela soprattutto nell’esegesi letteraria che l’autrice propone de La tempesta, romanzo ermetico in cui parole e immagini evocate si fondono intimamente per comporre un complesso quadro pittorico surreale, simbolista e iperrealista. L'autrice ne opera una specie di disvelamento in grado di fornire ai lettori le chiavi di lettura necessarie alla comprensione del "gioco" imposto da Tadini. Della costante alternanza fra il significato ed il suo Significante, fra ciò che rende un oggetto un relitto e ciò che lo trasforma in una zattera.E’ il romanzo del Significato, del valore relativo ed individuale che l’uomo attribuisce agli oggetti e agli eventi del suo mondo e che li trasforma in senso assoluto. E’ il romanzo della prossemica, che anticipa il modello di mondo “liquido” contemporaneo teorizzato da Bauman.

LanguageItaliano
Release dateJul 9, 2013
ISBN9788890611544
Tra Relitti e Zattere
Author

Milena Manini

Milena Manini nasce e vive a Ravenna. Si laurea in Conservazione dei Beni Culturali con il Prof. Antonio Carile, con una tesi di analisi del Liber de caerimoniis aulae byzantinae, diventa Dottore di ricerca in "Bisanzio ed Eurasia" specializzandosi nello studio dei cerimoniali imperiali alla corte di Bisanzio tra il V ed il X secolo. Ha pubblicato alcuni contributi su riviste specializzate ed il saggio Liber de caerimoniis aulae byzantinae: prosopografia e sepolture imperiali, Spoleto, 2009, CISAM. Nel 2010 ha conseguito la Laurea Magistrale in Linguistica italiana e civiltà letterarie, sotto la guida del Prof. Fabrizio Frasnedi. Insegna materie letterarie dal 2007. Nel 2012 pubblica il saggio Tra Relitti e Zattere, Metafore, simboli e suggestioni prossemiche nell'opera di Emilio Tadini La tempesta.

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    Tra Relitti e Zattere - Milena Manini

    INDICE

    INDICE

    Introduzione

    La natura del resto

    Una particolare produzione del resto: gli ‘uomini rifiutati’

    La tempesta di Emilio Tadini

    1.1 Prospero il Duca ed il Cronista orbo

    1.2 La Casa-Isola e la cosmogonia di Prospero

    1.3 La lavagna e la prossemica: la Tavola dei Percorsi

    1.4 Del simbolismo del centro e dei tre livelli cosmici

    1.5 Il Magazzino e la Montagna degli Stracci

    1.6 Il cortile e la teoria dei quattro elementi: Fuoco, Terra, Acqua e Aria

    1.7 Il sotterraneo e le sue tre reliquie

    1.8 Il serpente che si mangia la coda

    1.9 Il primo piano e l’ascesa

    1.10 Il terrazzo

    1.11 Il Caos: Milano e la «profondissima notte simbolica»

    TAVOLE

    BIBLIOGRAFIA

    I. OPERE LETTERARIE E STUDI

    II. FONTI

    Introduzione

    La natura del resto

    Il resto è ciò che rimane di qualcosa. Ha il significato matematico della differenza poiché o è il risultato di una sottrazione o è ciò che avanza di una divisione quando il dividendo non è un multiplo del divisore. In un processo, il resto e i suoi sinonimi (residuo, avanzo, scarto, ecc.) si definiscono dunque per differenza¹.

    In esso prevale la stasis: lo stare, il rimanere, il permanere di ciò che non ha un essere sostanziale. Nella sottrazione A-B=C, o nella divisione A/B=C, indipendentemente dalla natura degli elementi iniziali, C è sempre il resto². Mentre A e B sono categorie omogenee, C non lo è. Il suo è uno statuto ontologico difettivo. Non c’è un referente che lo identifichi, che gli assicuri una esistenza propria poiché nel processo di confronto tra A e B, non condividendo le caratteristiche di B, C si demarca e distacca perché ha perso la natura dell’insieme di cui faceva parte ab origine. La sua natura è l’eterogeneità, la diversità e ciò lo rende un evento potente, «in grado di far vacillare il sistema armonico universale di cui fa parte»³.

    Il resto non si lascia travolgere dal divenire, ha una durata che resiste nel tempo; anzi, si manifesta proprio grazie al tempo. Ogni essere vivente ha una componente fisica, corporea che il tempo non può consumare e il resto non è altro che la traccia concreta del mutamento che lo coinvolge. Così tutti i resti si equivalgono: le spoglie di un essere vivente, le ceneri di un legno combusto, un oggetto rotto o un elemento non-omogeneo o non funzionale ad un sistema. Sono resti di un processo. Singolarmente hanno un valore indistinto rispetto alla materia da cui hanno avuto origine poiché non ne condividono più la natura iniziale, globalmente appartengono alla categoria di ciò che non è stato trasformato.

    Il ‘resto’ (il residuo inerte di un processo) ha un valore ontologico neutro poiché le sue qualità intrinseche lo caratterizzano semplicemente come qualcosa che è rimasto. E’ invece la progettualità umana a trasformarlo in ‘rifiuto’, attribuendogli qualità misteriose, ispiratrici di affetti

    contraddittori: ammirazione, più spesso timore, repulsione, disordine, disgusto, nausea, pietà, frustrazione per l’incompiuto, inquietudine e turbamento, nostalgia e fascinazione per qualcosa di perduto, dolorosa percezione del tempo e lancinante consapevolezza di una sottrazione⁴. Gli oggetti del mondo esteriore, così come gli atti umani, non hanno un valore intrinseco autonomo. Un oggetto o un’azione acquistano un valore in quanto partecipano di una realtà che li trascende⁵.

    Nell’espressione artistica la raffigurazione del resto ha la forma del dettaglio⁶. Esso è rigorosamente distinto dal particolare che si deduce invece in quanto compreso nell’insieme, in quanto già dato nel tutto, in quanto parte di qualcosa che occupa sempre il suo posto.

    Il dettaglio è invece il risultato di una divisione imperfetta, che salta agli occhi senza discrezione e non si lascia identificare o includere, resta problematico. Il suo carattere residuale è strutturale ed il dettaglio oscilla tra i due livelli. La parte più grande della vita è fatta di resti, di dettagli che si sottraggono all’ordine del linguaggio. Il resto non può essere detto, se non per differenza dal detto.

    Una particolare produzione del resto:

    gli ‘uomini rifiutati’

    Come si comporta la società nei confronti di chi, non-omogeneo, non si riconosce nei suoi valori dominanti? Le possibilità sono due: se il non-omogeneo ha una funzione, cioè serve a qualcosa, è possibile che la società lo integri in uno di quei settori ritenuti più ‘adatti’ o ‘tolleranti’; se invece il non-omogeneo non risulta funzionale perché non è in grado di fornire alcun valore socio-economico, viene emarginato. Il processo di esclusione-espulsione è automatico ed il grado di emarginazione è sempre direttamente proporzionale all’intensità con cui si percepisce l’‘inutilità’ o il potenziale ‘danno’ che l’elemento non-omogeneo potrebbe arrecare al sistema sociale.

    Della prima categoria fanno parte tutti gli operatori della cosiddetta ‘industria culturale’⁷: artisti, intellettuali, operatori nel mondo dei mass-media, dello spettacolo, della moda e dell’estetica ecc.

    Alla seconda appartengono invece i soggetti non passibili di riconversione sociale, gli ‘uomini rifiutati’: coloro che appartengono a ceti sociali che hanno perduto il ruolo significativo svolto nel passato (i ‘relitti umani’ o i ‘residui’); coloro che si distinguono per eccentricità o per appartenenza a minoranze etniche pregiudizialmente considerate dalla società (i ‘diversi’); coloro le cui attitudini risultano incompatibili con le richieste sociali necessarie ad una loro affermazione nel sistema (i ‘malnati’, i ‘nati sotto una cattiva stella’, in inglese i ‘misbegotten’, gli ‘inetti’, gli ‘sfigati’, più in generale gli ‘anti-eroi’); coloro che ribellandosi scelgono di ergersi a paladini della giustizia e/o della morale (i ‘banditi’, i ‘briganti’, i ‘fuorilegge’ buoni); coloro che estremizzano le proprie scelte di vita (asceti, mistici, eremiti, santi, veggenti).

    Per tutte queste tipologie di ‘uomini rifiutati’ l’unica condizione, imposta dall’alto, è quella dell’emarginazione. Il sistema sociale, infatti, scarta uomini-non funzionali così come scarta merci-non funzionali alle leggi di mercato. Automaticamente questi soggetti, come se fossero sottoposti all’azione di una forza centripeta che li proietta lontano dal centro del moto che li attrae, vengono rigettati all’esterno del sistema, in luoghi marginali, di confine in cui si radicalizza la loro esclusione e si impedisce il loro rientro.

    In questi non-luoghi, esterni al mercato e dunque privi di risorse e mezzi per una vita dignitosa, gli ‘uomini rifiutati’ sono costretti alla sopravvivenza. Vivono nell’incertezza costante e spesso diventano dei border-line.

    La tempesta di Emilio Tadini

    1.1 Prospero il Duca ed il Cronista orbo

    La metafora della tempesta compare spesso nei romanzi di Tadini⁸ e dal 1980, dagli anni dell’Opera⁹, giunge, attraverso La lunga notte¹⁰, quasi a materializzarsi in forma autonoma ne La tempesta del 1993¹¹. Il romanzo evoca la celebre Tempest shakesperiana del 1612¹². Come nell’omonimo dramma, il protagonista si chiama Prospero, ma lungi dall’essere, come in Shakespeare, Duca di Milano e mago che rimette tutte le cose al loro posto, il Prospero di Tadini è più la caricatura

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