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Le Ombre di Marte (prima trilogia)
Le Ombre di Marte (prima trilogia)
Le Ombre di Marte (prima trilogia)
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Le Ombre di Marte (prima trilogia)

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About this ebook

Seconda edizione (Settembre 2016). Anni '20 del '900: siamo in un mondo parallelo in cui 30 anni fa alieni che tutti credono marziani hanno invaso la Terra, per morire in seguito ad un'epidemia. L'umanità, evolutarsi studiandone i relitti, vede convivere carrozze a cavalli ed armi a raggi, macchine a vapore e robot elettromeccanici, dirigibili, biplani e cannoniere fluttuanti. In questa nuova e strana Europa fatta di avventure, complotti e guerre, una stravagante città di Nizza viene coinvolta in strani eventi.

PRIMA TRILOGIA COMPLETA - 3 romanzi e due racconti!
Contiene i seguenti romanzi:

1-Orologeria
2-L'Aeronave per Marte (incluso il racconto "Il Freddo dell'Inferno")
3-Ombra Meccanica (incluso il racconto "Il Circo")

I romanzi sono venduti anche come singoli ebook, per chi non volesse spendere l'intera cifra per tutti e tre contemporaneamente. Questa versione a tre romanzi raccolti insieme è stata realizzata per chi volesse acquistarli tutti e tre subito risparmiando qualcosina.

La trilogia ha anche un seguito, da poco disponibile, che inizia una nuova serie, "Le Macchine di Marte", dal titolo:

4-Vita Artificiale (non incluso in questa versione "a volume unico").

LanguageItaliano
Release dateJun 21, 2013
ISBN9781301887262
Le Ombre di Marte (prima trilogia)
Author

Augusto Chiarle

Augusto Chiarle (che talvolta si firma anche col nome d'arte Karl Guthorm), classe 1970, è un uomo eclettico. Come ogni scrittore, ha cambiato numerosi lavori. Per dare sfogo alla creatività si è dedicato alla scrittura di numerosi scenari per giochi di ruolo e racconti per diverse riviste specializzate e di letteratura fantastica italiane, sceneggiature per cortometraggi, illustrazione (sue anche le copertine della serie "Le Ombre di Marte") ed alla musica: nato come sassofonista, ha curato una web-radio, alcuni podcast dedicati alla musica ambient ed i “suoi” The Wimshurst’s Machine, band “steampunk” con la quale ha inciso diversi album e con cui ha viaggiato qua e la per il mondo, riscuotendo numerosi premi internazionali, tra cui cinque nomination agli "Hollywood Music in Media Awards" (2010, 2011, 2012, 2013 e 2014).

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    il libro è composto da molte storie e ognuna parla sulla guerra ma il problema è che le storie non sono molto intriganti e misteriose o fantastiche non fanno parte di nessuno di questi generi non è un bel libro ed è non è il mio genere .

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Le Ombre di Marte (prima trilogia) - Augusto Chiarle

Le Ombre di Marte

Trilogia Steampunk

Augusto Chiarle

2012

Seconda Edizione

2016

Copyright © 2012-2016 Augusto Chiarle

All rights reserved.

ISBN: 1479140619

ISBN-13: 978-1479140619

Illustrazione di copertina e illustrazioni interne:

Augusto Chiarle

Si ringraziano

Trina Mason - http://itsmyurls.com/trinamason

e Sky Captain Gannon Photography

http://www.facebook.com/pages/Sky-Captain-Gannon-Photography/352672191471802

per aver autorizzato

l’uso della propria immagine in copertina.

Si ringrazia Fabrizio Boris Maracich

per l’insostituibile aiuto nel capitolo Dogfight.

La Seconda Edizione comprende una nuova versione di Orologeria

con editing curato da L’Aggiustalibri, Anna Pullia.

Nel 1923 Polonia e Grecia stanno vincendo le proprie

Guerre di Indipendenza ma il volume

"Sto

ria dell’Europa post-marziana" (1921)

ancora non riporta le due nazioni sulla cartina politica.

INDICE

Prologo: Il Freddo dell’Inferno pag. 5

Orologeria pag. 18

L’Aeronave per Marte pag. 158

Il Circo pag. 278

L'Ombra Meccanica pag. 304

Nota dell’Autore pag. 451

Sull’Autore pag. 455

Il Freddo

dell’Inferno

Prologo

1911

IL FREDDO DELL’INFERNO

Prologo

Casa, dolce casa

Le tenue luci del crepuscolo riempiono la valle boscosa vicino alla Vistola di tonalità del blu. L’aria già fredda è resa ancora più gelida dall’umidità che sale dal fiume. I rumori della notte sono in gran parte coperti dal potente suono dell’acqua che scorre. Solo l’ululato distante di un lupo, l’abbaiare di cani in una fattoria in lontananza ed il verso di un precoce uccello notturno emergono dallo scroscio.

Salomon Kazimierskj lascia il calesse nelle mani di Vladimir, il fattore cinquantenne, e si avvia verso casa mentre l’altro stacca il cavallo e lo porta verso le stalle, dove lo striglierà. La neve ha smesso di cadere ma fa molto freddo. L’inverno sulla Vistola può essere spietatamente gelido e quello del 1911 non fa eccezioni.

Come al solito il Sole è già tramontato, ma succede presto in inverno. Salomon vede che c’è un lume alla finestra e l’odore dolce della legna bruciata implica che la stufa è accesa. La neve gli arriva oltre le caviglie e nonostante gli stivali di cuoio rivestiti di pelliccia, il nero, pesante cappotto, i guanti ed il colbacco, il freddo è davvero pungente.

Salomon si affretta, per quanto possibile su quel terreno reso infido dalle lastre di ghiaccio. Non vede l’ora di rivedere sua moglie e la bambina.

La casa è un grazioso edificio in legno e mattoni, un cascinale con annessi stalla, fienile e la piccola residenza del fattore. Salomon Kazimierskj è ingegnere ed il suo lavoro gli permette di avere dipendenti, sebbene non molti. Quando raggiunge la porta sente la voce di Christina, sua moglie, che canta una nenia alla bimba, per farla addormentare.

Salomon sa che, se entrasse ora, la piccola Jasmine salterebbe giù dal letto di corsa e ci vorrebbero ore per farla addormentare di nuovo. Così va verso il capanno dell’officina, dove ha installato il laboratorio. La porta non è chiusa. Salomon entra ed accende il lume, che trova su un tavolino di fianco all’ingresso.

La stanza è ingombra di oggetti di ogni tipo. Dagli utensili da lavoro ad un tecnigrafo per disegnare, dagli artefatti recuperati dai relitti abbandonati dai marziani vent’anni fa a strani congegni meccanici, a metà strada tra orologeria di precisione ed i motori a vapore. L’ingegnere quasi inciampa in una cassetta di attrezzi, rovesciata in terra. Aggrotta le sopracciglia. Strano: troppo pesante perché sia stata la piccola Jasmine a farlo cadere.

Sul bancone c’è il prototipo marziano su cui sta lavorando. Tutto è al proprio posto, non sembra mancare nulla. Salomon rimette in ordine la cassetta, indossa gli occhiali da ingegnere, con delle lenti di ingrandimento regolabili, ed armeggia un po’ con un cacciavite di precisione su una vite di regolazione del congegno.

Dopo qualche tempo il lume si affievolisce e Salomon si rende conto che è passata quasi un’ora da quando è arrivato col calesse. Rimette cappotto, guanti e colbacco e si avvia verso casa.

Il Fuggitivo

L’ululato non è distante, ma Ivan non se ne cura: i lupi non sono che l’ultimo dei suoi problemi, al momento attuale. Il fiato si condensa davanti alla sua bocca, mentre si affretta lungo il sentiero per animali in mezzo al bosco. Ha da ore lasciato la strada per Sandomierz ed il calare delle tenebre, sotto gli alberi, gli fa temere di essersi perso irrimediabilmente.

L’uomo indossa un lungo cappotto grigio con un collo fatto in pelle di lupo. In testa porta un colbacco del medesimo colore ed ha guanti scuri di lana, a muffola.

E’ stanco, ma non può fermarsi. Sente dei cani latrare dietro di sé e non capisce se sono i suoi inseguitori o se si tratta degli animali a guardia di qualche contadino. Ma non si può permettere il lusso di scoprirlo: se hanno con sé dei cani, seguire la sua pista sarà fin troppo facile.

Deve trovare una soluzione.

Ivan continua a correre nel buio, appena conscio del sentiero e dei suoi pericoli, una mano sul lungo fucile da caccia, avvolto in una pelle animale.

Focolare

Salomon rientra in casa ed il calore emanato dalla stufa a legna ancora accesa è una gradevole novità rispetto al freddo pungente che c’è all’esterno. Christina è seduta in poltrona, davanti alla stufa accesa, nelle mani un libro rilegato in pelle, il lume acceso.

Sono tornato, bisbiglia l’uomo.

Christina è una bella donna sui trent’anni, occhi chiari, formosa ma non grassa. I lunghi capelli biondi le ricadono sulle spalle, l’usuale crocchia con cui le donne generalmente si acconciano i capelli è sciolta nell’informale conforto della sera casalinga. Indossa una camicia da notte lunga di colore chiaro, semplice. Seduta in poltrona a leggere, ha coperto le gambe con una coperta di lana. Quando sente la porta aprirsi toglie gli occhiali rotondi da lettura e sorride al marito.

Bentornato, tesoro, gli dice. "C’è ancora del gulash sulla stufa." Christina è originaria di Budapest.

Adoro la cucina ungherese, ho già l’acquolina in bocca.

Com’è andata la giornata?

Bene, tutto sommato. Anche se proprio non sopporto di dover lavorare per le truppe di occupazione russe. Sono rozze, arroganti e brutali. Ma non ho scelta.

Potremmo andarcene in Lituania o in Germania. O magari in Francia o in Italia, scherza Christina. Pensa che bello, starsene al mare senza più ghiaccio e neve per sei mesi l’anno.

L’inverno è stato particolarmente lungo, quest’anno, ammette Salomon con un sospiro. Non sai quanto mi piacerebbe che fosse possibile. Ma temo che se solo tentassi di andarmene mi ucciderebbero. La lealtà la mantengono con repressione e terrore.

Un giorno la Polonia tornerà indipendente...

Non dirlo ad alta voce, anche i muri hanno orecchie. Meglio tenere per noi certe cose.

Inseguitori

Capitano, i cani hanno fiutato la pista, dice uno dei soldati.

Il Capitano porta una corta barba bionda curata e l’uniforme verde scuro con i molti alamari d’oro del Reggimento della Guardia di Costantino, reparto speciale dello Cszar. Anche i cinque uomini che sono con lui indossano la medesima uniforme. I cani da caccia che sono con loro appartengono ad un contadino, reclutato a forza. L’uomo appare nervoso ma i rubli che hanno lasciato in casa sua lo hanno convinto quasi quanto le loro uniformi. Il Capitano sa che i polacchi non amano i russi, ma secoli di guerre hanno insegnato loro a temerne le uniformi.

Bene, risponde il Capitano al soldato che ha parlato. Fate attenzione: col buio non potrà andare molto veloce, meglio se non corriamo il rischio di finire nella tagliola di qualche cacciatore. Col freddo, inseguirlo di notte è una vera follia. Gli farò pagare anche questo, dannato bastardo.

Gli uomini si mettono in marcia, in fila indiana, seguendo l’uomo coi cani da caccia.

Governatore

E’ inaudito, sbotta il Governatore russo in Polonia, il Granduca Evgeni Uchaev, lontanamente imparentato con la famiglia Romanov. Com’è possibile che i piani del nuovo fucile a raggi siano spariti? La vostra incompetenza è inaccettabile!

L’uomo di fronte al Granduca è il Colonello Dochaev, l’ufficiale al comando dell’unica installazione militare di ricerca nella regione.

Abbiamo molti polacchi e lituani che lavorano con noi. Ambedue i popoli ci odiano segretamente, senza il coraggio di insorgere apertamente, risponde il Colonnello, con voce pacata nonostante sappia che se il Granduca lo ritenesse responsabile potrebbe chiedere la sua testa. Letteralmente. Abbiamo dei sospetti, saremo rapidi ed efficienti nelle nostre indagini. Che in realtà significa saremo spietati e sommari per chi sa come leggere tra le righe.

Il Granduca non sembra essere stato placato da queste parole, ma chiede: Altri artefatti marziani trafugati?

Nessun altro. Solo il prototipo del fucile ed alcuni disegni del medesimo.

Ne abbiamo delle copie?

Sissignore, vostra grazia. La ricerca non verrà compromessa.

L’esercito Svedese è alle porte ed il grosso delle nostre truppe è impegnato lungo il confine con l’Austria-Ungheria. Considerando anche i recenti sviluppi, ritengo sia indispensabile cambiare aria. Voglio che questa installazione sia trasferita quanto prima in territorio russo. Requisisca un treno ed una fabbrica di trattori ucraina, voglio che tutto venga spostato entro due giorni al massimo. Nel frattempo, mi tenga informato sulle indagini.

Come faremo col personale polacco e lituano?

Se non individuate il responsabile, deportateli tutti. Se lo catturate, torturatelo finché non farà i nomi dei complici. Non può essere riuscito da solo in un’impresa del genere. Ora vada.

Sarà fatto, vostra grazia. Il Colonnello saluta ed esce dalla stanza.

La Stalla

Sono ore che Ivan corre nella foresta. E’ sfinito ed il gelo sta ghiacciando il sudore che impregna i vestiti, rendendoli rigidi e freddi, come indossare una maglia di ghiaccio. Una casa... C’è una fattoria, più avanti. Ivan sa di aver lasciato molte impronte nella neve, ma non ha alternative: se vuole avere speranze di salvarsi, non gli resta che mettere di mezzo dei poveri diavoli. Si sente in colpa, ma l’istinto di sopravvivenza lo costringe ad azioni disperate.

Ivan si avvicina alla stalla, spalanca la porta, entra e scorge una coppia di cavalli ed una mucca. In terra, parecchio letame. Ivan si rotola nello sterco per un po’, finché i suoi abiti ne sono completamente impregnati. L’odore è terribile e deve sopprimere dei conati di vomito, ma spera che possa camuffare l’odore corporeo. Stacca uno dei cavalli, lo sella ed esce dalla stalla, costringendo la recalcitrante bestia ad un lento passo lungo la strada che costeggia il fiume, mentre il cielo comincia a schiarirsi all’orizzonte per l’alba imminente.

Risveglio

Salomon viene svegliato dal latrato dei cani e dalle urla nel cortile. Indossato il cappotto sulla veste da camera si affaccia alla finestra e vede la causa del trambusto: una pattuglia di soldati russi, accompagnati da un contadino con dei cani da caccia. Uno di loro sembra essere un ufficiale della Guardia. L’uniforme è simile a quella del reparto incaricato di difendere lo stabilimento presso cui lavora.

Anche Christina e Jasmine si sono svegliate ed ora stanno guardando dalla finestra. Salomon vede lo sguardo preoccupato della moglie.

Non ti preoccupare, le dice, fingendo di non esserlo a sua volta, vado a vedere cosa vogliono.

Salomon esce prima che i soldati bussino alla sua porta. La neve è ingombra delle impronte dei loro stivali e nonostante ciò un soldato è chino ad osservare le orme nella neve fresca. I cani abbaiano davanti alla stalla.

Stiamo cercando un fuggitivo, dice il Capitano. Poi squadra l’ingegnere attentamente. Io la conosco, afferma.

Sono l’ingegner Kazimierskj, della Divisione Ricerca della Vistola, si presenta Salomon.

Kazimierskj... l’ufficiale sembra pensare. Uno dei suoi uomini gli si avvicina e gli bisbiglia qualcosa all’orecchio. Ingegner Kazimierskj, aggiunge, sono costretto ad arrestarla per aver favorito la fuga di una spia ed un traditore.

A poco valgono le proteste dell’ingegnere. Viene trascinato via dai soldati senza nemmeno avere il tempo di vestirsi.

Capitano, dice uno dei soldati, i cani hanno perso le tracce del fuggitivo, ma ci sono impronte di cavallo in entrambe le direzioni della strada, probabilmente ha proseguito la fuga in sella. Cosa dobbiamo fare?

Due di voi prendano il prigioniero e lo portino dentro quell’edificio. Tra breve verrò ad interrogarlo di persona. Gli altri montino sul cavallo rimasto e proseguano l’inseguimento fino alla prossima fattoria. Requisite un altro cavallo e inseguitelo finché potete.

Il sangue di Salomon gli si gela nelle vene. Sa cosa voglia dire essere interrogato dai russi.

Sono spacciato, pensa. Ma è preoccupato soprattutto per la sua famiglia.

I due soldati spariscono col suo ultimo cavallo rimasto. Mentre lo costringono ad entrare nell’officina, Salomon vede il Capitano entrare in casa. Per la seconda volta, oggi, il terreno gli manca da sotto i piedi: Christina è lì. Ed anche la bambina.

Contadini

Vladimir ha sentito i soldati arrivare. Non ha fatto in tempo ad avvertire il padrone ma è stato previdente ed è fuggito nel bosco con la moglie. Ora i due stanno camminando nella neve in direzione della casa dei vicini, distanti un paio di chilometri lungo il fiume, ma il fattore tiene a sé il fucile da caccia e prosegue guidando la donna per il fitto del bosco, per non essere avvisati dalla strada. Gli ci vorranno ore, ma è salvo. Maledetti invasori russi, che il diavolo se li porti via, questo è ciò che pensa.

Il cacciatore con i suoi cani sta rientrando a casa. E’ stato fortunato a cavarsela così: quando i cani hanno perso la pista per un istante ha temuto che l’avrebbero ucciso. Poi però l’attenzione del capitano è stata attratta dall’ingegner Kazimierskj, e lui è riuscito a filarsela più velocemente possibile, con i cani e tutto il resto. Prova sollievo, paura e rabbia al tempo stesso. Lui, polacco, odia profondamente i russi.

Pensa a come potersi vendicare, mentre torna verso casa lungo il medesimo sentiero per animali che lo ha portato alla casa di Salomon.

Interrogatorio

Il dolore è insopportabile. Per quindici minuti i due soldati lo hanno picchiato a sangue, senza nemmeno rivolgergli una domanda. Fino a ché il Capitano non li ha raggiunti. L’ufficiale si avvicina a Salomon, che giace sofferente in terra.

Kazimierskj, il progettista del fucile a raggi, nientemeno, dice il Capitano. Lei, ingegnere, è in un brutto guaio. Vede, l’uomo che ha aiutato a scappare è fuggito con il suo prototipo e con il suo progetto. Se non lo raggiungeremo in tempo consegnerà tutto agli svedesi o ai tedeschi. E tutti voi verrete deportati.

Deportati!

Quindi, vede, anche se non volesse parlare, se vuole salvare la sua bella famiglia le conviene farlo, prosegue il biondo ufficiale, i gelidi occhi grigi conficcati in quelli semichiusi e tumefatti dell’ingegnere. Ha una bella moglie ed una bimba deliziosa, non voglio far loro del male.

Io non so nulla, non ho aiutato nessuno. Si sono introdotti nella stalla durante la notte ed hanno rubato un cavallo, non ci siamo accorti di nulla finché non siete arrivati voi.

Andiamo, ingegnere, dice l’ufficiale. Vuol farmi credere che chi ha trafugato i progetti del suo fucile è scappato per puro caso proprio a casa sua a rubarle il cavallo?

Salomon si rende conto che, sebbene sia la verità, nemmeno lui sarebbe disposto a credere ad una giustificazione del genere se la sentisse. Perciò rimane in silenzio.

Si metta nei miei panni, ingegnere, la voce del Capitano è quasi suadente, quanto l’escrescenza di una rana pescatrice. Lei è di famiglia ebraica, sua moglie è ungherese. Popoli nemici della Russia.

Kazimierskj è agghiacciato. Lei è ebreo, peraltro l’unica cosa che l’ingegnere ha di ebraico è il nome. Sua madre era ebrea, suo padre polacco. Salomon, nato metà cattolico e metà ebreo è, di fatto, ateo. Sua moglie è ungherese. La Russia e l’Austria-Ungheria sono in guerra da meno di un anno e già la paranoia xenofoba del Capitano arriva a questi livelli di complottismo.

Ormai Salomon sa di essere un uomo morto. E’ nelle mani di un carnefice ed è impaurito ma rassegnato. Tuttavia è estremamente preoccupato per la sua famiglia.

Radura

La cavalcata è durata a lungo, fino al luogo convenuto per l’incontro. Si trovano nei pressi di un’insenatura della Vistola, un luogo verde con un grande prato e molti alberi a circondarlo. Ideale per far atterrare il dirigibile Tesla dell’aviazione di Danimarca e nasconderlo a sguardi indiscreti. L’aeronave è ancorata al suolo e numerosi soldati danesi sono schierati lungo il perimetro, volti verso il bosco, di sentinella. Quando Ivan entra nella radura sventola un fazzoletto bianco. Pur avendo almeno tre fucili puntati contro, ha la possibilità di avvicinarsi all’aeronave senza pericoli.

La stavamo aspettando, gli dice un ufficiale sulla trentina, barba scura e curata, i gradi da tenente sull’uniforme nera da aviatore.

Tenente Thorsten, dice Ivan, ho quanto avevamo pattuito, ma è stato difficile. Molto più del previsto. Probabilmente ho qualcuno alle calcagna.

Non si preoccupi, se ne andrà di qua col dirigibile, tra breve.

Ci sono dei soldati della Guardia Costantina che mi seguono, non so quanti. Forse cinque o sei.

Thorsten fa segno a dei fucilieri di andarsi a schierare nel bosco, sulla strada che Ivan ha fatto per venire alla radura. Poi fa cenno alla spia di seguirlo. Ivan è stanco, annientato dalla lunga fuga. Tuttavia ha il tempo di aggiungere: Temo di aver messo nei guai i proprietari di questo cavallo, la coscienza mi rimorde. E temo che deporteranno gli scienziati del centro ricerche.

Dal bosco giungono degli spari. Poi i fucilieri del dirigibile fanno ritorno. Uno di loro si mette a rapporto e dice: Due inseguitori a cavallo abbattuti, signore. Non c’è nessun altro che possa testimoniare la nostra presenza qui.

Fate sparire i cadaveri nel fiume e fate fuggire le bestie.

Sissignore.

Non posso curare la sua coscienza, Ivan. Posso solo dirle che questo segreto è di importanza capitale per la nostra nazione e per gli alleati. E che, purtroppo, non possiamo intraprendere una missione di salvataggio senza scatenare una guerra vera e propria. Ma chiederò istruzioni al comando non appena potrò. Non si aspetti l’arrivo della cavalleria, comunque: non credo ci autorizzeranno a fare alcunché.

Tortura

Sono ore che Salomon viene picchiato e torturato. Se avesse avuto un qualsiasi segreto da rivelare, ormai lo avrebbe fatto da tempo. Ma lui non sa nulla e qualsiasi tentativo di bluff è naufragato. Ormai l’ingegnere è convinto che l’ufficiale lo stia torturando per il semplice gusto di farlo.

D’un tratto Kazimierskj ha un dubbio atroce: cinque uomini sono giunti a casa sua. Due hanno proseguito l’inseguimento. Gli altri tre sono tutti qua con lui. E’ impossibile che sua moglie e sua figlia siano state lasciate senza sorveglianza...

Cosa ne avete fatto della mia famiglia, dice, con un filo di voce. Il Capitano inarca un sopracciglio. Cosa ne avete fatto di mia moglie! urla stavolta, con la forza della disperazione.

Ci dica i nomi dei suoi complici e lo saprà, ingegnere.

Io non ho complici!

Il pugno che lo colpisce ancora al mento gli fa quasi perdere i sensi. Ha appena la percezione che il Capitano stia uscendo dall’officina, quando sente degli spari dall’esterno. I due soldati si allarmano subito: sono fucili da caccia, non roba militare. Imbracciano le armi e corrono fuori.

Altri spari.

Salomon sviene.

Libertà

Quando riprende i sensi, è al centro di un piccolo gruppo paramilitare di ribelli polacchi.

Si svegli, ingegnere, dice la voce di Vladimir, il suo fattore. Sono andato a chiamare amici. Ora è libero.

Libero. Che bella parola. Specie se accompagnata dai cadaveri dei tre russi che giacciono in cortile. Kazimierskj prova più soddisfazione per la ritrovata libertà che per la loro morte, tuttavia non ne è scontento.

I polacchi stanno perquisendo i cadaveri. Prendono loro monete, orologi, armi, stivali. Più d’uno, poi, sputa sui corpi. Tuttavia quando i presenti si voltano verso l’ingegnere gli lanciano sguardi compassionevoli, incluso il contadino che stamattina aveva fornito i cani ai soldati.

Mi dispiace, signore, gli dice Vladimir. Solo ora Kazimierskj si accorge che l’omone sta piangendo. Salomon lo guarda, disperato. Ha capito. Si alza in piedi, con l’aiuto di alcuni dei presenti, e dice: Dov’è mia moglie...

Gli sguardi di tutti si fanno da parte, come se non avessero il coraggio di guardarlo negli occhi.

Christina... Christina! urla l’uomo.

Ma nessuno risponde. Qualcuno esce con il corpo inerme di Jasmine in braccio.

Per un doloroso istante Salomon la crede morta. Poi si accorge che la bambina è solo svenuta ma è illesa. Almeno nel corpo, non certo nella mente.

Ma sua moglie non c’è.

Barcollando, entra in casa.

E la vede.

Lo spettacolo è così atroce che Salomon vomita.

E scoppia in lacrime.

Dopo un po’, ore nella sua percezione, Vladimir lo raggiunge e lo porta fuori. I cadaveri dei soldati russi sono stati trascinati al fiume e scaricati in acqua. Il gruppo di paramilitari è pronto a spostarsi, a sparire nella foresta.

Venga, ingegnere, gli dice il fattore. Non può più rimanere in Polonia. Abbiamo preso accordi con degli alleati: la faranno espatriare. Non c’è tempo: penseremo noi alle esequie della signora Christina.

Cavalleria

Salomon è in un ospedale di Copenaghen. Solo una settimana fa si trovava ad affrontare la più grave tragedia della sua vita ed oggi lui e sua figlia Jasmine sono sbarcati nella capitale danese. Rammenta i partigiani polacchi che lo scortano fino ad un dirigibile della Regia Aeronautica di Danimarca.

Ricorda vagamente anche di un ufficiale danese, sui trent’anni, parlare ad un polacco sporco di sterco di cavallo, dalla barba lunga e dalle grandi borse sotto gli occhi: Ha visto, Ivan, gli stava dicendo l’aeronauta, a dispetto delle nostre previsioni la cavalleria è arrivata davvero. Ma la realtà è che, anche quando arriva, spesso è troppo tardi. Mi dispiace più per quest’uomo e per sua figlia che per la sua coscienza, devo dire.

Salomon non sa di cosa stessero parlando e non ricorda granché del viaggio seguente. Si ricorda però dell’ospedale e delle cure che i danesi gli hanno prestato. Non sa chi le abbia pagate e perché: nessuno glielo ha voluto rivelare.

Jasmine ancora non ha ripreso a parlare e Salomon è disperato. Ma è in vita, e ciò gli dà la forza di ricominciare.

Dalla finestra l’ingegnere osserva, quasi catatonico, l’impressionante via vai di aeronavi che solca i cieli della capitale danese. Corsi d’acqua zeppi di imbarcazioni, civili e militari, soldati ovunque.

Una nazione che si prepara alla guerra.

Cara Christina, dice, al vento, ricominceremo una nuova vita nel sud, come avresti voluto.

Salomon guarda la piccola Jasmine e le dice, piangendo: Andremo a Nizza, tesoro mio, in Costa Azzurra. Aprirò una piccola officina lì, c’è gente che conosco. Vedrai, ti piacerà. E saremo liberi. L’ingegnere stringe al petto la bambina.

Saremo liberi. Liberi.

1

OROLOGERIA

Seconda edizione

©2012-2016 Augusto Chiarle

Nota del redattore alla seconda edizione

È stato per me un vero onore vedermi affidare l’editing di un romanzo come Orologeria, un vero e proprio successo editoriale del self publishing italiano, che tutti gli appassionati del genere Steampunk sfoggiano con orgoglio sul proprio scaffale.

Il romanzo è un’opera prima e, come tale, è stato necessario snellirlo e ripulirlo, ma stando ben attenti a non fargli perdere la freschezza della novità.

Coloro che lo conoscono già troveranno cambiata la prosa, ma rispettato il contenuto - che, in effetti, già funzionava perfettamente: si è trattato unicamente di oliare la macchina, ripristinare i meccanismi e farla ripartire, ancora più rombante ed efficace di prima.

L’autore ed io abbiamo stabilito di mantenere alcune caratteristiche grafiche e stilistiche che richiamassero all’epoca in cui è ambientata la vicenda: per questo le cariche quali Prefetto, Maresciallo, Tenente e anche gli aggettivi come Italiano, Francese, Imperiale conservano la lettera maiuscola. Il fine è quello di richiamare alla mente la prosa classica del periodo infrabellico.

Ringrazio sentitamente Augusto per la fiducia che mi ha accordato, e spero che il lavoro sia di vostro gradimento.

Anna Pullia

L’Aggiustalibri

Nota dell’autore alla seconda edizione

Sono trascorsi quattro anni dalla prima uscita di Orologeria. E’ stato il mio primo romanzo, arrivava dopo molti anni di inattività nel campo della scrittura e inizialmente doveva essere una sceneggiatura per un mediometraggio (ciò vi spiega perché i capitoli sono così brevi: sono scene). Non avevo nemmeno un editor che mi seguisse.

Ne consegue che, ogni volta che ne rileggevo qualche passo, mi rendevo conto di quanto sono maturato nello stile, migliorato, e quante cose avrei cambiato se l’avessi scritto successivamente. Ma ho rimandato a lungo, preferendo scrivere nuovi soggetti e nuovi romanzi. Sono diventati dieci in quattro anni, tra cui la collaborazione con Alain Voudì per il suo ciclo di Trainville.

Il gradimento che i lettori hanno dimostrato per i romanzi successivi e le critiche ricevute per questo primo non facevano altro che sottolineare quanto avessi bisogno di fare una revisione di Orologeria, limare le sue ingenuità e portarlo al livello dei successivi.

Inoltre il mio editor di fiducia, il paziente amico Diego Rapacciuolo, era già impegnato ad aiutarmi con i romanzi fantasy. Così ho rimandato, per anni, nonostante un crescente disagio, perché sapevo che chi inizia a leggermi spesso lo fa proprio partendo da Orologeria. Avevo bisogno di rinnovare la mia vetrina.

Poi, nel 2016, l’occasione è giunta parlando con Anna Pullia de L’Aggiustalibri, ambedue ospiti a Vaporosamente. Inizialmente si pensava di iniziare la collaborazione con un romanzo nuovo, però Orologeria era sempre lì, in agguato, che mi chiedeva un intervento corposo. Ne ho parlato con Anna e ha accettato di lavorarci su.

Ora, rileggendolo, mi sento finalmente soddisfatto e la voglio ringraziare per aver contribuito a fare del mio primo romanzo un’opera migliore.

Augusto

La tragedia dovrebbe essere utilizzata

come fonte di forza.

Indipendentemente da quale sorta di difficoltà,

da quanto dolorosa l’esperienza sia,

se perdiamo la speranza,

questo è il nostro vero disastro.

Dalai Lama XIV

1921

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È sera. C’è ancora luce, anche se sempre di meno. Il crepuscolo incombe.

Il protagonista è un uomo sulla trentina, longilineo. L’individuo senza nome cammina per un bosco senza nome, attento a non fare troppo rumore e allo stesso tempo a non essere seguito. Lo vediamo: è abbastanza alto, indossa un cappello a cilindro e una marsina su dei pantaloni da lavoro. E due paia di occhiali: il primo, da vista, a taglio rotondo, ben calcato sugli occhi; il secondo, del tipo che in quest’epoca usano i saldatori o gli ingegneri, è apposto sul cappello a cilindro. L’uomo avanza per un po’, attento ai movimenti e ostacolato dalla semioscurità, in una boscaglia di acacie, frassini e querce. La vegetazione non è tanto fitta da costituire un pericolo, ma l’uomo avanza ugualmente circospetto.

D’un tratto scorge una pietra, su cui è disegnato con un gesso un numero di sei cifre:

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L’uomo si guarda attorno, alla ricerca: infine trova una sacca di tela marrone nascosta sotto una felce. La apre ed esamina il contenuto: un libro rilegato in pelle, all’apparenza molto antico, e uno di quegli strani oggetti tipici di questi nuovi tempi. Una sorta di pipa cui, sul lato destro, è attaccata una scatola con cinque piccoli tasti sormontati da un quadrante rotondo.

L’uomo rimette tutto nella sacca e torna sui suoi passi, scomparendo nella sopraggiunta oscurità.

La Vaporiera per Nizza

Siamo su un treno a vapore. Nello scompartimento c’è una ragazza. Si chiama Carola e sta rientrando da Parigi. Figlia di un mercante, è di una buona cultura, ha tra i venti e i trent’anni ed è molto graziosa. Veste con sobria eleganza: una camicetta bianca coperta da una giubba color senape, scarpe scure come la borsa coordinata al cappello, e pantaloni aderenti, color panna.

Un uomo di mezz’età, vestito di scuro, si affaccia allo scompartimento, togliendosi il cappello a cilindro e accingendosi a entrare. I lunghi baffi biondi incorniciano una bocca dal taglio severo. L’uomo la guarda con disprezzo. Non le dice nulla, ma rimette il cappello, chiude la porta e, senza nemmeno scusarsi, se ne va. Carola sorride a mezza bocca: è abituata al disprezzo di chi non stima le suffragette, come vengono in questi tempi chiamate le donne che lottano per l’emancipazione. Diritti civili. Per il proprio sesso, ma non solo. La società, pur sopravvissuta agli alieni, resta retrograda e sessista. Tranne Parigi, dove le suffragette sono ormai accettate. La Ville Lumière, rinata, ha visto rinascere anche i vecchi ideali di uguaglianza e la Francia - una Francia ridimensionata sulla cartina e politicamente distante da tutti nelle guerre che hanno coinvolto l’Europa - è diventata una nuova Svizzera, internazionalmente neutrale, e fulcro degli attivisti per i diritti umani e civili. Carola ritiene che la rinata Parigi sia la più bella città d’Europa.

Carola, nei suoi pantaloni da suffragetta, il suo piglio deciso, i bei lineamenti induriti dalla determinazione politica, sta andando a sud. In Italia. Una strana Italia, a onor del vero, di cui Nizza fa di nuovo parte. È proprio lì che Carola si sta dirigendo: Nizza.

Un altro uomo si affaccia allo scompartimento. A differenza del suo predecessore, questi parla: «Biglietto, prego» proferisce con voce roca, da fumatore. Se anche lui giudichi Carola non è chiaro. Almeno, se anche così fosse, non lo dà a vedere. Carola estrae il biglietto dalla borsa ma, nel farlo, le cade anche un altro foglio. Il controllore si china rapidamente a raccoglierlo e la mano di Carola sfiora quella guantata di lui.

«Mi perdoni, mademoiselle», dice l’uomo, porgendole il telegramma bordato di nero e trattenendo il biglietto. Lo esamina, lo punzona ed esce. Carola ha notato che la mano guantata dell’uomo ha un dito floscio, come se il mignolo fosse mancante. Probabilmente uno dei tanti reduci ora altrimenti occupati, pensa.

Il rumore del treno sui binari, forte, regolare e ipnotico, culla la ragazza al punto da renderla sonnolenta. Gli occhi le si chiudono...

Quando si sveglia, Carola si accorge che sono passate diverse ore. Il treno sta ancora viaggiando per la campagna e la ragazza si chiede a che punto sia arrivato, quante stazioni abbia passato senza che lei se ne accorgesse.

«Ha dormito parecchio, sa». La voce la fa sussultare. Proviene da un giovane uomo vestito sobriamente: pantaloni da lavoro, un cappello a cilindro sul sedile alla sua sinistra. Alla sua destra, un’altra ragazza. Più piccola di lei, scura di capelli e di carnagione, anche lei addormentata, la testa poggiata sul braccio di lui, vestita altrettanto sobriamente. Quasi come Carola, anche nei colori, ma con una gonna larga e comoda al posto dei pantaloni. Tradizionale. Carola si rende conto di non essersi nemmeno accorta che fosse salito qualcuno. La mano va istintivamente alla borsa, e la trova. Allora la prende, la apre e, dopo aver frugato brevemente, ne estrae un portacipria. È un po’ restia a lasciar trapelare la vera ragione per cui la sua mano l’ha cercata - per assicurarsi che ci sia ancora -, ma prima di prendere il trucco si accerta che la piccola pistola a raggi sia ancora lì. C’è.

«Dove siamo?» chiede Carola, imbellettandosi leggermente.

«Siamo partiti da Grenoble un’ora fa», risponde l’uomo, cordialmente, a voce non troppo alta, apparentemente per non svegliare la ragazza. «Torna a casa?» chiede. Poi ci pensa, esita, e aggiunge, quasi restio: «Brutte notizie?»

«Sì». Carola posa la cipria. Pensa sia evidente che una suffragetta non vada verso la frontiera Italo-Francese senza dei buoni motivi. «Vado a Nizza. Mio fratello è morto»

L’uomo si rabbuia, il mezzo sorriso di prima scompare dal suo volto. «Mi dispiace, non volevo essere impiccione... di questi tempi, sa...». L’uomo è arrossito quasi impercettibilmente.

«Succede fin troppo spesso, lo so», ribatte lei. Ed è vero. Malattie, guerre, malavita, incidenti sul lavoro o con gli strani veicoli che il progresso tecnologico mette in aria, acqua e per le strade... sono tanti i fattori che rendono la vita nel nuovo secolo dura e ricca di lutti, anche un quarto di secolo dopo la scomparsa dei Marziani.

«Noi stiamo andando a Nizza al matrimonio di sua cugina Elsa». L’uomo pare ormai irrimediabilmente imbarazzato, dopo aver scoperto del lutto di Carola, ma guardando la ragazza al suo fianco un sorriso gli inarca le labbra.

Carola non è molto interessata ai due, ma le ore che mancano al posto di confine sono ancora molte e, facendo un po’ di conversazione, potrebbero trascorrere senza il rischio di addormentarsi di nuovo. Certo, rivelare l’altra ragione per cui sta andando a Nizza la ravviverebbe, ma di quello non sarebbe prudente parlare con degli sconosciuti in treno.

In fondo è vero, e non certo un segreto, che lei stia tornando a casa per un lutto. Decide di limitarsi a parlare di argomenti banali e scontati, glissando sulle sue reali intenzioni.

Relitti e Segreti

Il sole sta calando sul relitto dell’enorme tripode Marziano, quasi invisibile in distanza tra la vegetazione. Alcuni frammenti metallici emergono dal terreno, quasi grossi reperti archeologici riportati di recente alla luce. L’aria fresca marzolina non favorisce i turni di notte, ma le serate cominciano a farsi comunque meno insopportabili rispetto al freddo pungente dell’inverno alpino.

Il piccolo drappello di Dragoni Reali del Regio Esercito Sabaudo è sparso per la zona, a circondare il sito. Vicino al veicolo, l’autista - o autiere, nel loro stesso gergo militare - e l’Ufficiale stanno silenziosamente contemplando il tramonto, fumando la pipa. Gli uomini indossano una casacca appariscente di colore nero con alamari in argento, comodi pantaloni militari e stivali anfibi. A completare il tutto un cappello militare con tesa, da truppe meccanizzate, sormontato da occhiali che sarebbero stati tipici dei piloti d’aviazione o di chi guida veicoli senza parabrezza, larghi a coprire l’intero occhio, se non per il colore argentato come i fregi della divisa. Un mix di alta uniforme, praticità e distintività tipico dei Dragoni, la truppa speciale che si occupa degli ‘affari alieni’ da queste parti per conto del Regno Italico. L’autiere è un uomo magro, sui trent’anni; l’Ufficiale, il Tenente Bertrandt, è sulla cinquantina, un po’ appesantito dal lavoro spesso più d’ufficio che sul campo. I due militari stanno fumando, l’Ufficiale una pipa bianca scolpita e l’autista un corto sigaro toscano, in contemplazione del sole calante dietro le Alpi.

Nel bosco si sente un rumore secco di rami spezzati. I due si voltano, la mano sinistra dell’Ufficiale a reggere la pipa, la destra sull’arma. L’autista imbraccia un fucile, una stravaganza tecnologica a metà strada tra un tromboncino del XVII secolo e una macchina a vapore, da cui spuntano manometri, indicatori, tubi di rame e altri aggeggi che ne rendono chiara la provenienza: un manufatto ibrido di tecnologia umano-aliena, realizzato integrando oggetti marziani riciclati con manufatti umani. Probabilmente l’arma più letale nei paraggi, imprecisa, a volte inaffidabile ma certamente tanto potente da disintegrare un’automobile. E tipica dei Dragoni, che per la natura stessa dei loro incarichi hanno accesso proprio a queste tecnologie.

Dalla boscaglia emerge un altro Dragone, più giovane dei due, un po’ infreddolito e affannato. Come l’autiere e l’Ufficiale, anche lui non porta né barba né baffi e i capelli, neri, sono tagliati corti ma non cortissimi.

«Dragone scelto Fabbri a rapporto!», si presenta questi al superiore, mettendosi correttamente sull’attenti. Tuttavia non attende risposta: «Al sito sta succedendo qualcosa, il Professore non è ancora arrivato... credo dovreste venire a vedere di persona...»

L’Ufficiale grugnisce qualcosa di incomprensibile e, senza spegnere la pipa, si avvicina al Dragone Fabbri. «Andiamo a vedere. Intanto prova a spiegare a voce», gli ordina. I due si inoltrano nella boscaglia, lasciando il terzo uomo a guardia del veicolo. Anche il Fabbri ha a tracolla un fucile simile a quello dell’autiere, tuttavia il fatto che non sia ancora stato imbracciato rivela all’Ufficiale di non doversi aspettare un imminente combattimento.

«Stavamo di guardia, io e il Sacchi, quando sono arrivate. Le abbiamo viste avvicinarsi al Sito da distante. Siccome sembravano parecchie e da lì non riuscivamo a vedere se fossero armate, abbiamo deciso di non dare subito il chivalà! ma abbiamo atteso qualche istante per verificare la situazione». L’Ufficiale sa che i suoi uomini sono meno stupidi di molti altri. Anzi, lui sa che qualcuno di loro ha ‘i numeri buoni’, come si dice dalle sue parti, per fare carriera. E farlo per meriti, non certo per conoscenze.

Il Fabbri, ancora col fiatone, prosegue nella spiegazione, a bassa voce, mentre i due camminano a passo veloce verso il posto di guardia. «Ne abbiamo contate dieci, ma dal movimento tra la boscaglia potrebbero essere anche di più... Difficile a dirsi con precisione. Non sembrano armate... Almeno, ora non lo sono di sicuro».

L’Ufficiale è incuriosito. «Spiegati meglio».

Il Fabbri appare esitante. «Ne abbiamo sentito parlare, ma non pensavo esistessero... cioè, le Streghe Rosse, intendo dire... Pensavo fosse solo una minchiata messa in giro da qualcuno, al circolo. E queste non so se sono rosse, ma hanno acceso un fuoco, si sono tolte i vestiti e hanno cominciato a ballare intorno al fuoco, vicino al relitto. Cantano cose strane, di sicuro né in francese né in italiano. Sembra tedesco o slavo, forse ungherese, ma siccome non lo parlo non ne sono sicuro. Il confine però è distante: possono essere Tedesche davvero?». L’italiano di questi Dragoni ha diversi accenti, francese per l’Ufficiale, di diverse regioni della penisola italica per ciascuno degli altri. Molti Dragoni parlano più lingue. Data la loro giurisdizione, spesso italiano e francese, o italiano e tedesco; qualcuno inglese. Proprio come il Tenente Bertrandt, alcuni Dragoni Reali sono di origine Nizzarda o Provenzali. L’Ufficiale parla italiano, francese e spagnolo e sta imparando russo e inglese. Ma non ne capisce abbastanza da sentirsi sicuro.

«Dove sono Salmoiraghi e Philippe?» chiede.

«Non saprei dire, Tenente: credo al loro posto. Dovrebbero aver visto anche loro, ma non si sono fatti sentire. La radio è muta». L’ordine è di stare in silenzio radio a qualsiasi costo, nei pressi di un Sito.

Il Sito è il luogo del ritrovamento di un relitto alieno. Dopo trent’anni dall’Invasione, i Siti incontaminati sono merce non rarissima ma sempre preziosa. E siccome la radio, invenzione recente, può essere intercettata facilmente, non è il caso di farci affidamento. Inoltre, in azioni tattiche su scala così ridotta, inviare e decifrare messaggi in codice è talvolta più laborioso che mandare un messaggero.

Dopo qualche minuto, i due raggiungono l’altro Dragone, il Sacchi, che sta osservando con un binocolo la zona del Sito Alieno. Il posto di osservazione è stato scelto bene: in alto rispetto al relitto, in mezzo agli alberi per non essere visti facilmente ma con una buona e ampia visuale sulla valletta boscosa sottostante.

Il Sacchi si volta verso di loro e, dopo aver salutato toccando la tesa del cappello con la mano, a bassa voce dice: «Finora stanno solo ballando e cantando». In effetti il loro strano canto risuona nella valle. «Sono dodici, le ho contate. Tutte donne, qualcuna giovane e qualcuna meno. C’è anche una vecchia. Sembrano non sentire il freddo e stanno tutte fumando una pipa, che si passano l’una con l’altra. Non riesco a capire in che lingua cantino». Il Sacchi passa il binocolo all’Ufficiale.

Il Tenente Bertrandt osserva le invasate danzare in maniera scompaginata, apparentemente senza la coreografia di un rito, intorno al relitto alieno. La vista delle donne, di varia età, carnagione e colore di capelli, comportarsi in questo modo, per di più svestite - qualcuna indossa solo lunghe mutande, qualcuna nulla del tutto - lo infastidisce. C’è qualcosa nel loro atteggiamento che lo offende. Ma non nella morale: il Tenente Bertrandt non è così bigotto, anche se in quest’epoca taluni continuano ad esserlo non poco; nemmeno è dissoluto come alcuni dei suoi Dragoni, comunque: questo va detto. A sconvolgerlo è l’atto stesso, quasi trovi offensivo che qualcuno si comporti in maniera folle o sciocca, o metta a repentaglio il proprio onore. Ma è ben lungi dal cercare di fermarle: è conscio che quattro uomini, per quanto bene addestrati, contro una dozzina di invasate sarebbero costretti ad usare la forza, e lui non ha intenzione di rischiare un incidente, probabilmente cruento considerando le armi in dotazione, senza una ragione migliore del proprio fastidio personale.

«Aspettiamo il Professore» stabilisce, ripassando il binocolo al Dragone «e teniamo d’occhio la situazione. Se cercano di entrare nel relitto o di asportarne dei pezzi, faccelo sapere subito». Quella sarebbe una ragione valida per intervenire con la forza.

Il Tenente Bertrandt, il Sacchi e il Fabbri si danno il cambio ad osservare la situazione. I due militari più giovani sembrano quasi divertiti dalla situazione, probabilmente dalla nudità delle invasate, mentre solo la pipa trattiene l’Ufficiale dall’esternare il proprio fastidio. Ma quantunque rigido, è pur sempre un uomo razionale. E questa è la ragione per cui è stato scelto come Ufficiale tra i Dragoni.

Dopo un’ora, dalla boscaglia fanno capolino altri due Dragoni e un civile. Questi, un uomo barbuto sulla quarantina, indossa una giacca marrone di buona fattura, in lana e riporti in pelle, aperta sul davanti e con delle rondelle per bottoni, secondo la moda del momento. In testa, un alto cappello a cilindro con i classici occhialoni da ingegnere, anch’essi decorati in maniera un po’ barocca. Occhiali da vista con montatura metallica, perfettamente rotondi, sono invece sugli occhi.

«Finalmente, Professore. Qualcuno sta già festeggiando: guardi un po’ lei stesso». Bertrandt prende il binocolo che il Fabbri gli passa e lo porge al nuovo arrivato. Questi, serio, lo prende grugnendo e osserva a sua volta per un po’.

«Sembrano in preda ad una qualche forma di estasi. È da molto che vanno avanti così? Vedo che un paio delle meno giovani sembrano piuttosto stanche», constata il Professor Baretti.

«Più di un’ora», gli risponde Bertrandt.

«Beh, non potranno andare ancora avanti a lungo, ma a me sembra che abbiano assunto qualche sostanza. Fa freschetto, e neanche ballare intorno al fuoco tiene caldi per un’ora, di questa stagione sulle Alpi». Ripassa il binocolo al Fabbri, guarda l’Ufficiale e dice: «Se non se ne vanno in fretta dovremo intervenire, temo, caro Bertrandt».

«Se intervenissimo perderemmo un sacco di tempo e faremmo un bel po’ di baccano. Sono da sole, ma se dobbiamo occuparci di loro non posso darle più di un uomo per esplorare il relitto». L’Ufficiale è seccato ma pragmatico come sempre. «Non farebbe bella figura leggere sui giornali che un drappello di Dragoni, tra cui un Ufficiale, insegue donne nude nella foresta». I quattro Dragoni semplici si lanciano occhiate divertite e ridacchiano tra loro.

Il Professore però rimane serio. «Vuol dire che un uomo dovrà bastare».

«Sacchi, dia il segnale a Salmoiraghi e Philippe di intervenire dal loro lato e di fare attenzione a non spararci, poi vada col Professore. Tutti gli altri con me...» un attimo di silenzio, poi aggiunge «...a inseguire donne nude nella foresta». E il suo grugnito conclusivo scatena di nuovo l’ilarità dei soldati. Rigido sì, ma con un certo senso dell’umorismo.

Nizza

La casa paterna è ancora lì: un vecchio edificio precedente all’invasione, restaurato dopo che un’ala è stata abbattuta da un Tripode alieno. Vecchio e nuovo, proprio come Nizza, le strette vie antiche miste ai nuovi viali alberati illuminati dai lampioni a gas.

Carola ci è tornata, nella vecchia casa, prima e dopo il funerale di suo fratello Richard: prima per rinfrescarsi e cambiarsi d’abito, e poi per dormire, visto che la giornata è stata lunga. E penosamente dolorosa, non solo per il lutto ma anche per l’incontro con la famiglia e la scoperta che per loro, come per la gran parte degli altri Nizzardi, lei è una poco di buono: una suffragetta. In bocca a loro sembra quasi un insulto. Anche suo padre ha rifiutato di vederla, nonostante paghi ancora i suoi conti Parigini, il che è apparentemente contraddittorio. Solo la servitù l’ha trattata con cordialità. Per la verità la sua vecchia governante ha persino pianto e non le ha detto nulla dei pantaloni, fatto per il quale le è grata.

Carola non è tornata a Nizza per due anni, dalla morte di sua madre. Adesso la città che vede è cambiata, diversa. Più viva, con meno ruderi, e anche in periferia le chiazze rossastre lasciate dalle poche, malaticce piante aliene che ricordava da bambina sono scomparse del tutto. L’andirivieni di carrozze per le strade, di imbarcazioni nel porto e di treni dalla stazione le ricorda quasi la Parigi che ha lasciato. Una piccola Parigi. Nella quale però le suffragette vengono considerate addirittura oscene, quasi al pari di vere e proprie prostitute, anziché persone in lotta per i diritti civili. Avrebbe potuto passare più inosservata cambiando i pantaloni con una gonna, ma Carola indossa i pantaloni come una bandiera. Quindi sostituirli sarebbe per lei inaccettabile.

Ora che si è riposata, Carola vuole vederci chiaro sulla morte di suo fratello Richard. Dai parenti e dalla servitù ha scoperto che il corpo è stato ritrovato poco fuori città, vicino a un pozzo per l’acqua, il secchio rovesciato come se l’avesse tirato a sé per bere ma qualcosa fosse subentrato improvvisamente a ucciderlo. Un mistero vero e proprio, quindi. La ragazza ha mille domande in testa, mentre va al locale posto di polizia.

Un tempo l’edificio era sede

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