Pellegrino di cemento. Le Voyage d'Orient a 100 anni da Le Corbusier
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Nel 1911, Le Corbusier lasciò Berlino ed intraprese un viaggio che sarebbe durato fino alla fine dell’anno e lo avrebbe condotto attraverso la Germania, la Boemia, l’Austria, i Balcani, la Romania, la Bulgaria, l’Ungheria, Istanbul, Atene, fino al Monte Athos, per poi ricondurlo in Svizzera attraverso l’Italia. Chiamò l’esperienza “Voyage d’Orient”. Oggi cosa rimane? Perché non raccontare il viaggio di Le Corbusier cento anni dopo, ripercorrendolo?
Se lo è chiesto Flavio Stroppini una notte d’inverno, sfogliando i Cahiers de voyage del grande architetto svizzero. Linee, parole, qualche frase, misure, cifre e nomi di città conosciute e sconosciute. Stroppini ha capito che doveva ripercorrere quelle tracce. È partito con uno zaino e una tracolla, senza troppo pianificare – nessun albergo, nessun aeroplano – convinto che aver letto molti romanzi d’avventura sarebbe stato un metodo sufficiente per cavarsela. Non è andata proprio così.
Undici settimane (estate 2011) seguendo una guida di cento anni fa. Scoprendo Le Corbusier. Perdendosi e ritrovandosi. Scoprendo l’uomo e la sua possibilità di fratellanza. Stroppini scrive: «È questo il viaggio. Sorprendersi continuamente, cambiare mezzi, arrangiarsi. Sono leggero, libero, vivo. Non mi trascino più. Galleggio».
Guida? Romanzo? Resoconto? Nulla di tutto questo. Potremmo definirlo “racconto in viaggio”. L’autore mescola sapientemente il quotidiano con i ricordi, gli appunti di Le Corbusier con i suoi. Luoghi, persone, sensazioni, memorie. Ci accompagna, quasi per mano, tra paesi dove sembra che il tempo si sia fermato fino a metropoli al limite della vivibilità, per passare poi da monasteri in Grecia e paesaggi mozzafiato.
Occidente-oriente-occidente. Andata e ritorno. Seguendo il percorso di Le Corbusier, ma con occhi diversi. Perché come scrive Stroppini: «Non sono un architetto. Mi affascina l’architettura. Racconto storie».
Flavio Stroppini
Flavio Stroppini. Ha pubblicato i romanzi “Kubi goal!” per Casagrande Editore (2016), “Pellegrino di cemento – Le voyage d’orient cento anni dopo Le Corbusier” (2012), “Niente salvia a maggio” (2004) per GCE Editore; “I cani” per le edizioni Fuoridalcoro; e la raccolta di racconti “Scarafaggi” per le edizioni Ulivo (2009). Sue le raccolte poetiche “Lo Strahler” (2014) per le Edizioni Fuoridalcoro; “Assemblaggio informazioni verosimili quotidiane”(2008) per le Edizioni Alla Chiara Fonte, Lugano, 2008 e Bar Macello (2001) per GCE Editore. È presente in varie antologie: “Gotthard, Landscape, Myths and Technology”, Scheidegger & Spiess (2016); “Chi sono io? Chi altro c’è lì?”, Franco Cesati Editore (2016) e “Come diventare scrittore di viaggio”, Lonely Planet (2018).Da anni scrive e dirige radiodrammi per la Radiotelevisione Svizzera Italiana. È regista della serie radiofonica “Semm ammò chì” per cui scrive alcune puntate. Del 2017 il progetto “fabula”, che racconta in 50 radiodrammi 2600 anni di storia di una valle alpina. Nel 2018 il radiodramma “Essere o...” da lui scritto e diretto viene selezionato a rappresentare la Svizzera al prestigioso Prix Italia. Suoi gli spettacoli teatrali “Il viaggio di Arnold” (parte di un progetto crossmediale che unisce il teatro alla radiofonia, al web, al cinema e alla letteratura – copione pubblicato da Gabriele Capelli editore), “Prossima fermata Bellinzona” (documentario teatrale sulla ferrovia al sud delle Alpi), “Kubi” (con Amanda Sandrelli) e “Tell”.Del 2018 il progetto di teatro-walking “Sì, Rivoluzione!” che, coinvolgendo svariati artisti, racconta il centenario dello sciopero nazionale elvetico.Da anni scrive reportage per diversi giornali e riviste.Sue sceneggiature sono state presentate in svariati Festival internazionali e trasmessi da televisioni di tutto il mondo. Del 2009 il documentario sulla guerra nei Balcani “Custodi di guerra”, scelto dal Comitato Internazionale della Croce Rossa per rappresentare le Convenzioni di Ginevra. Sempre del 2009 il videoclip “The Race, Heavenly States”, premio sceneggiatura Lincoln Rising Stars Competition e in onda ai Grammy Award 2009 sulla CBS. Del 2012 il cortometraggio “Questo è mio!”, realizzato da Eric Bernasconi in occasione del 300’ della nascita di Rousseau per la Radiotelevisione Svizzera.Insegna narrazione del reale alla Scuola di Storytelling & Performing Arts Holden di Torino e al Master di Sviluppo creativo e gestione delle attività culturali dell’Università Cà Foscari di Venezia.Ha tenuto reading e conferenze in Svizzera, Italia, Francia, Germania, USA, Cina, Iran, India, e Tunisia. Grazie al suo lavoro è stato invitato a rappresentare la Svizzera alla “Settimana della lingua italiana nel mondo” a Mumbai, Tehran, Tunisi, Washington DC, Guangzhou, Shanghai, Beijing e Hong Kong.
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Pellegrino di cemento. Le Voyage d'Orient a 100 anni da Le Corbusier - Flavio Stroppini
Nota dell’autore
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Nel 1911 un giovane architetto svizzero viaggia nei Paesi dell’est. L’uomo diventerà un’icona dell’architettura moderna: Le Corbusier.
Il viaggio è parte dell’epica della storia dell’architettura: le Voyage d’Orient.
Sono passati 100 anni. Cosa sono quei luoghi?
Me lo sono domandato una notte d’inverno, sfogliando i Cahiers de voyage di Le Corbusier. Linee, parole, qualche frase, misure, cifre e nomi di città conosciute e sconosciute.
Dovevo ripercorrere le sue tracce.
Il progetto, sostenuto dalla Fondazione Svizzera di Radio e Cultura (FSRC), è stato quello di raccontare il viaggio. Ogni giorno una puntata (registrata e montata) alla Radio della Svizzera Italiana ReteDue. Ogni settimana su un quotidiano della Svizzera italiana (LaRegioneTicino). Il sito www.voyagedorient.ch, al centro della piattaforma narrativa. Alla fine del viaggio la scrittura di un libro e di un radiodramma.
Sono partito con uno zaino e una tracolla, senza troppo pianificare – nessun albergo, nessun aeroplano – convinto che l’aver letto molti romanzi d’avventura sarebbe bastato. Non è andata così.
È stato questo il regalo. Perdere sicurezze, cercarne altre.
Undici settimane (estate 2011) seguendo una guida di cent’anni fa. Scoprendo Le Corbusier. Perdendomi e ritrovandomi. Scoprendo l’uomo e la sua possibilità di fratellanza.
Passeggiando per il nostro giardino di casa, così vicino e così lontano.
Questo è il racconto.
Ligornetto, novembre 2011
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Ogni tanto giura di cominciare una vita migliore.
Ma come viene la notte con i suoi consigli
con i suoi mezzucci e le sue malie,
ma come viene d’impeto la notte, allora
al corpo che esige e reclama, a quella
stessa fatale gioia, egli smarrito, fa ritorno.
Kostantinos Kavafis
Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi.
Il re pallido, David Foster Wallace
Prologo: Alpe Geira
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Una settantina di vacche risalgono lentamente la piccola valle. Due cani lavorano ai fianchi della mandria, mentre il pastore, dal centro, controlla che nessun animale rimanga indietro.
Luna crescente e le prime stelle in cielo: la notte cala. Cammino a qualche decina di metri dal pastore, osservandone i movimenti. Metro dopo metro le vacche si riuniscono, indirizzandosi al pascolo vicino all’alpe. Il suono dei campanacci si trasforma in coro e chiudendo gli occhi sembra il suono liquido di un’onda o di un fiume che cerca il mare. Mi siedo e vedo la montagna, con tre ruscelli che lacrimano sulle rocce e della neve: macchia bianca nel primo buio. Questa è casa mia! penso. Come una marea i ricordi di viaggio. Luoghi, volti, aromi, sensazioni. Disordinati s’accatastano tra i pensieri, veloci. Bisognerà fare ordine, archiviare, definire. Perché ormai è la quotidianità che m’attende. Dopo undici settimane di viaggio ho scoperto che il mondo non è zaino e tracolla, ma spazi e oggetti. Non potrò fuggire ancora per molto. Ma questa sera, in questa valle materna, voglio abbandonarmi al ricordo, seguendone il ritmo e il colore, come fosse un quadro ancora da dipingere. Come fossi uno di Quelli, che un giorno tornano al paese / a guardare le piante dopo la pioggia / odorare il fieno, incrociare le gambe / sul sedile di pietra; (...).1
È passata una stagione all’alpe. Sono passati cento anni. Tu non ci sei più e forse non ci sei mai stata. L’odore del caffè sale fino allo studio, al terzo piano. Fuori la vite si è arrampicata, mescolandosi all’edera, coprendo le finestre. Passare i corridoi è come essere in un giardino-labirinto. Avanti e indietro, sul cotto liso dagli anni. Ci sono oggetti che ricordano storie, i pochi che ho tenuto, che sembrano troppi. Un’altra voce mi chiama, non è la tua. È ora di scendere, di tornare a vivere. Sono serviti tre mesi? È servito viaggiare?
No, senza zucchero il caffè! Grazie.
C’è da ricostruire una quotidianità e raccontare un storia. Le Voyage d’Orient 100 anni dopo Le Corbusier.
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Parte prima
Il lasciare
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1. Ligornetto
Non manca molto alla partenza. Il tavolo da lavoro è ricolmo di dettagli. I giorni sono dedicati all’analizzare il progetto da diversi punti di vista. E un metodo per evitare problemi pratici.
Il tempo in viaggio cambia ritmo. Accelera e rallenta, appena fuori dalla quotidianità. Il domani non ha più molto senso. L’importanza è sull’oggi. Viaggiare significa mettere in relazione i nostri luoghi con quelli degli altri, intuirne le similitudini, affascinarsi alle differenze, scoprirsi uguali. Se passiamo la vita a inseguirci, in viaggio ci siamo abbastanza vicini.
Ho scelto di percorrere questo tragitto solo. Con mezzi pubblici. Restando a terra, toccando la terra. Ascoltando e guardando.
Cerco i dettagli che affascinarono Le Corbusier. Cerco storie da raccontare. Ora devo partire. Voglio, con dolcezza e speranza, camminare.
È accaduto che sei sparita, da un giorno all’altro. Non sono servite le rose e le parole. Nemmeno un camino d’inverno e molta legna da ardere. Partire da solo sarebbe stato un problema, ora è espiazione. Penso ad un madrigale di Dowland. Flow my tears, fall from your springs! / Exiled for ever, let me mourn; / where night’s black bird her sad infamy sings, / there let me live forlorn
. Era il XVI secolo. Tutto quanto già raccontato, già vissuto. Per questo, ogni ora che s’avvicina alla partenza, aumenta la curiosità. Cos’è l’uomo? Dov’è? Cos’è la fratellanza? Dov’è la magnificenza?
I pensieri sono interrotti da amici nella cucina di casa. Abbracci, poche parole, battute sarcastiche. Torna però
dice Zeno.
Scrivo prima di addormentarmi, dopo aver vagabondato per casa e guardato le stelle. Non ho pensieri. solo qualche domanda dall’impossibile risposta.
Non ho ancora deciso che scarpe calzare.
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2. La-Chaux-de-Fonds
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Partire. Da più di un mese lo immaginavo. Agli amici ho sempre detto di sognare quell’attimo in cui avrei passato le Alpi. Là, abbandonando la mia lingua, sarebbe iniziato il viaggio. Da quel punto, dentro al tunnel del San Gottardo, sarebbe poi stata tutta discesa. Non mi sarei più ritrovato in nessun luogo così alto. Mi aspettano le grandi pianure del nord, poi quelle dell’est ed il mare. Gli Appennini, quando risalirò l’Italia, ma sarà già un tornare a casa.
Dov’è la mia casa? Per qualche mese saranno le stanze degli alberghi, le carrozze dei treni, le stazioni, i racconti della gente. Una volta ho letto che esiste una linea oltre la quale la gente non ti saluta più dalla banchina alla carrozza del treno. Ho letto che la linea in Svizzera si situa tra Lucerna e il lago di Ginevra.
Sono passato da Arth Goldau. Direzione La Chaux-de-Fonds, dove Le Corbusier è cresciuto. È un buon inizio partire dal suo luogo di nascita. Un grande architetto mi ha detto che in fin dei conti noi semplicemente nasciamo, viviamo e moriamo.
Il partire è malinconia. Ma chilometro dopo chilometro cresce la curiosità. Cancella tutto. La Svizzera Centrale, come una benedizione di pascoli e frutteti, scorre là fuori. Mi riempie. A Biel, o Bienne bevo una birra e fumo una sigaretta. Poi risalgo sul treno. Una bambina, credo turca, abbracciata alla madre vestita di rosa e giallo, mi fissa e con la mano fa un rapido cenno di saluto. Sorrido e rispondo. Infine è la notte che mi accoglie leggera, trasportandomi al paese natale di Charles-Edouard Jeanneret-Gris: Le Corbusier.
Ho risalito via Modulor, arrampicandomi sulla collina che sovrasta La Chaux-de-Fond. Ho abbandonato le strada principale, Avenue Leopold Robert, con il suo filare centrale di alberi. Ho lasciato il vecchio centro, la piazza del mercato, i minuscoli bistrot, le vetrine delle orologerie. Sono salito verso le prime ville costruite da Le Corbusier, nel giardino della sua città. La Maison Blanche se ne sta placida, beata, sicura, al confine del bosco. Aspetta il mio sudore. Mi asciugo fumando una sigaretta.
Una donna sulla quarantina con la faccia triste e dei volantini in mano si avvicina e chiede se ho visto il suo cane, un pastore tedesco dal nome Bunny. Mi è sembrato strano il nome per un cane, Bunny. Ma forse è un soprannome che è diventato un nome. Come Charles-Edouard Jeanneret diventato Le Corbusier. Rispondo No! alla donna che mi porge un volantino con la fotografia del cane e un numero di telefono. Poi si allontana. Un ragazzo si avvicina. Parla inglese, con accento spagnolo. Anche tu architetto? chiede. Viene da Barcellona, è uno studente. Vuole vedere la città natia di Le Corbusier. Chiede se andiamo a mangiare qualcosa, rispondo che non ho tempo. Devo restare qua ancora un poco. Lui sorride e sembra capire. Si allontana verso la strada degli elettricisti, con le fabbriche di orologi sullo sfondo, dall’altra parte della valle.
Ridiscendo incrociando qualche bicicletta e dei saluti. Vista dall’alto La Chaux-de-fonds sembra una città in dubbio sull’altezza: da una parte i vecchi palazzi bassi e dall’altra, in rapporto simmetrico, delle torri. Ma non sono storie che m’interessano.
Rue de La Serre, numero 38. Il 6 ottobre 1887 vi nacque Le Corbusier. È una via anonima con palazzi antichi e nuovi mescolati casualmente. Il numero 38 è una facciata altrettanto anonima: al pianterreno c’è un negozio di giocattoli e di noleggio costumi per carnevale. Sulle vetrine una patina di polvere, dentro dei grossi cuori formati da palloncini rossi e bianchi. Siedo sui quattro piccoli scalini dell’entrata. Gli stessi che il piccolo Jeanneret saliva e scendeva nella sua infanzia. La sua famiglia emigrò dopo l’editto di Nantes, che cacciò i protestanti dalla Francia. Per quello l’industria orologiera arrivò in Svizzera: migranti. Scatto qualche fotografia. C’è una targa commemorativa: In questa casa il 6 ottobre 1887 nacque Le Corbusier. Sotto però qualcuno, con un pennarello ha scritto Lait ce Beton! Latte questo cemento. Scoppio a ridere. Il cemento come la vera madre di Le Corbusier. Latte. Seno materno la struttura della casa.
Si avvicina un bambino. Perché scatti fotografie? Chiede. Gli rispondo che in questa casa è nato un personaggio famoso. Un calciatore? chiede. No! Un architetto! rispondo E cosa fa un architetto? chiede. Costruisce le case rispondo. Ah! dice Come quelli dell’impresa Forberes, che stanno rifacendo la casa dei vicini. Poi se ne va, annoiato.
Osservo l’ingresso della casa. Eccoci caro Le Corbusier, ora inizia il viaggio. Partiamo dallo stesso punto. Per la prima volta mi accorgo che questa storia è qualcos’altro. Forse il mio viaggio finisce qua, con il suo inizio. Adesso parte la vita.
Andando in stazione, dove mi attende il treno per Zurigo da dove proseguirò per la Foresta Nera, incontro Juan. Mangia un kebab, mi invita a unirmi. Mangio. Buono. Lui afferma che a Istanbul sarà tutta un’altra cosa.
In treno il vento nei pascoli fa delle erbe alte un mare.
Sono partito che c’era il sole. Vincenzo, accompagnandomi in stazione, mi