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Il Designato
Romanzo
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Ebook340 pages3 hours

Il Designato Romanzo

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LanguageItaliano
Release dateNov 15, 2013
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    penoso quadretto del penoso legame qual'è il matrimonio, i protagonisti: oziosi borghesi milanesi di fine ottocento, tanto ricchi quanto vacui.

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Il Designato Romanzo - Luciano Zuccoli

The Project Gutenberg eBook, Il Designato, by Luciano Zuccoli

This eBook is for the use of anyone anywhere at no cost and with almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at www.gutenberg.net

Title: Il Designato

Author: Luciano Zuccoli

Release Date: May 26, 2004 [eBook #12446]

Language: Italian

***START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK IL DESIGNATO***

Produced by Distributed Proofreaders Europe at http://dp.rastko.net in cooperation with Progetto Manuzio, http://www.liberliber.it Project by Carlo Traverso, revision by Claudio Paganelli.

LUCIANO ZÙCCOLI

IL DESIGNATO

ROMANZO

NUOVA EDIZIONE

riveduta dall'autore

MILANO FRATELLI TREVES, EDITORI

Ottavo migliaio.

PROPRIETÀ LETTERARIA.

I diritti di riproduzione e di traduzione, sono riservati per tutti i paesi, compresi la Svezia, la Norvegia e l'Olanda.

Si riterrà contraffatto qualunque esemplare di quest'opera, dal 7,° migliaio in avanti, che non porti il timbro a secco della Società Italiana degli Autori.

Milano, Tip. Treves, 1920.

PREFAZIONE CRITICA

A QUESTA NUOVA EDIZIONE.

Il libro che vede ora la luce nella sua edizione definitiva, dopo che l'autore vi ha arrecato notevoli e pazienti ritocchi, fu pubblicato la prima volta a Milano nel 1894, presso una Casa editrice, che oggi non esiste più. Se il primo romanzo di Luciano Zùccoli era subito parso opera indipendente e originale, questo, che veniva a un anno dì distanza da I Lussuriosi, diede a divedere che lo scrittore non intendeva la letteratura come un dilettantismo giovanile, ma come un'alta faticosa nobilissima arte, alla quale voleva dedicare tutto il suo ingegno. E in realtà, ingrandendo la fama dell'autore e confermando la speranza che il primo libro aveva fatto fiorire, Il designato decise dell'avvenire di Luciano Zùccoli.

Parve il libro d'un uomo che avesse lunga esperienza d'anni e di casi, ed era il libro d'un giovanissimo; parve la critica implacabile d'un malcontento marito, e l'autore era scapolo. Ma era uno scapolo e un giovane che viveva a occhi aperti, in una grande città, precocemente; era l'opera d'uno scrittore nato, che a una sensibilità eccezionale accoppiava per istinto uno spirito d'osservazione fresco e sincero.

E in verità, chi volesse analizzare le qualità principali di questo libro,—di questo, e osiamo dire di quasi tutta l'opera di Luciano Zùccoli,—troverebbe ch'esse provengono dalla sincerità dell'osservazione, dalla facoltà di sentire acutamente, dalla precisione originale nell'interpretare i moti interni dell'animo e gli avvenimenti cospicui della vita vissuta. L'autore afferra movimenti psicologici non veduti da altri e li vivifica con uno spirito tra il sentimentale e lo scettico, il quale è caratteristica di lui; rende con brevi tòcchi le scene, di cui mette in rilievo i particolari che sfuggono ai più e che vi lascian più duratura l'impressione; e riflette nel giudizio delle cose e degli uomini una sua filosofia malinconica e indulgente, lepida e disperata nel tempo stesso, che se non ha stupito più nell'autore di Farfui e del L'amore di Loredana, fece la maraviglia dei critici che nell'autore di Il designato dovevan giudicare, un giovane di ventiquattr'anni.

Si è, ripetiamo, che Luciano Zùccoli, prima ancor che uno scrittore, è un uomo che ha vissuto e vive, e della vita, nonostante quella sua filosofia, è amico e ammiratore.

Indipendente come tutti coloro,—e tutti qui vuol dir pochi—i quali hanno una personalità rilevante, egli ha sempre un'opinione sua e una sua volontà; non per il piacere di contrasto, benchè un certo qual gusto per la contraddizione gli si potrebbe a quando a quando rimproverare, ma perchè non dice se non ciò che sa, che ha visto, che ha constatato; non ha gli occhi, insomma, che alla vita e alla realtà.

Parrebbe che uno spirito così formato dovesse essere arido e freddo; e sarebbe, se Luciano Zùccoli pretendesse troppo dalla realtà e dalla vita e si disgustasse facilmente d'ogni cosa dolce per quel fondo d'amaro che vi si trova quasi sempre alla fine. Ma in questo medesimo libro il lettore può aver la prova della sensibilità che l'autore ha saputo conservare fra le delusioni, la lotta, le tempeste della sua non mai pacifica esistenza. Si leggano, ad esempio, il capitolo in cui è descritta la prima notte di matrimonio, e l'altro in cui è ritratta la protagonista tutta affaccendata nelle sue frivole compere, e quello in cui si racconta della morte e dei funerali di Laura Uglio, e si veda con qual delicatezza di tocco ha saputo lumeggiare, argomenti gravi o teneri, leggeri o tristi, scabrosi o sentimentali. E si confrontino con l'arguzia onde son delineati certi altri personaggi, conn l'ironia di certe scene di famiglia, col senso di ribellione con cui sono affermate o rapidamente esposte certe verità della vita comune; e non ci si darà torto se diremo che lo studio del vero, quasi istintivo nello Zùccoli, presta alla sua opera, una varietà mirabile.

Non è certamente un autore monocorde colui che vicino a questo può allineare altri dieci volumi, in cui ciascun personaggio ha una figura sua propria; dieci volumi nei quali sfilano i tipi di tutte le classi sociali, dall'aristocrazia al popolo minuto, dal superbo patrizio del L'amore di Loredana ai ladri e ai teppisti della Compagnia della Leggera, dalla candida fanciulla di certe sue novelle alla donna ardente, volitiva, disdegnosa, che è la protagonista di Farfui, dal bambino ingenuo al libertino inquieto e curioso, dal soldato fanfarone e generoso al trionfatore freddo, taciturno e senza pietà. Mille sono i tipi che lo Zùccoli ha animato della una arte, e quelli che popolano Il designato hanno un carattere di realtà e un rilievo indimenticabili.

In lui la fantasia lotta di continuo con l'istinto d'osservazione e con l'amore del vero; la sua fantasìa ricca, bizzarra, agilissima, lo inviterebbe all'opera dì pura imaginazione; e non è detto che un giorno non ci dia il libro «libero» senza freni, tutto fantastico. Già nella Roberta molte pagine segnano la vittoria di questa facoltà poderosa d'imaginare e di staccarsi dal vero quotidiano per darci sensazioni nuove. In questo, lo Zùccoli è un osservatore coscienzioso e un artista calmo, che sa già la scaltrezza dell'arte sua, e che è tuttavia sincero e ardito come sempre.

Il successo incontrato da questo volume fin dal suo primo apparire, ha consigliato gli editori a farne la presente ristampa, che l'autore ha riveduto attentamente e ritoccato in più parti; e noi siamo certi che il favore del pubblico e della critica gli sarà nuovamente e più largamente accordato, oggi in cui lo Zùccoli col trionfo dei suoi ultimi volumi è entrato a far parte di quel ristretto numero di scrittori che si ammirano più presto che non si discutano.

S. T.

Ottobre 1910.

IL DESIGNATO

PRIMA PARTE.

I.

Nel salotto non c'ero che io; io, in piedi, nell'atteggiamento nervosissimo dell'aspettazione, guardando dei quadri di cui conoscevo tutto, l'autore, il tema, il valore artistico, la provenienza, la data in un angolo.

Geltrude, la cameriera, entrò dallo studio e mi disse:

—Il signore ha una visita; ma si sbrigherà sùbito, e la prega di pazientare un istante.—

La cameriera attraversò la sala ed uscì dalla porta che metteva al sèguito dell'appartamento: io mi posi a sedere sul divano color foglia morta. Vecchio salotto, dove regnava un ordine insoffribile, quello del signor Pietro Folengo! V'era lo scaffaletto da ninnoli, con dei minerali preziosi e degli uccelli imbalsamati; v'era il piano, a coda; v'era la tavola con dei mostri cinesi, degli albi di famiglia e dei libri regalati dai giornali cui il signor Folengo era abbonato; v'eran quegli oggetti e quei mobili volgari, che disposti in qualunque modo, messi sotto qualunque luce, formano sempre un solo tipo di casa, producono sempre una sola impressione. Tuttavia, dopo i quadri, io passava in rivista accuratamente quelle cose notissime, rilevando la maniera sciatta con cui le si eran collocate, e così ligia alle regole di riscontro ch'io mi volsi per vedere se non vi fossero anche due caminetti, l'uno di faccia all'altro.

Il gusto informatore della disposizione era indubitabilmente del signor Pietro Folengo; e il visitatore meno atto all'osservazione poteva giudicare che il padrone di casa doveva essere inclinato meglio alle cifre che alla meditazione, meglio al commercio che all'arte; se poi, di questo padrone si guardava il ritratto—attaccato alla parete principale e naturalmente di fianco a quello della sua signora e, più naturalmente, al disopra di quel di sua figlia,—il signor Pietro Folengo appariva, senza speranza alcuna, ragioniere, amministratore; uno di quei terribili uomini i quali vi parlan della Borsa, dei corsi d'acqua, d'edilizia e di cambiali, allo scopo di divertirvi. Il signor Folengo aveva una fisonomia senza significato, per natura e per arte; poichè s'era lasciato crescere i favoriti, lunghi e bianchi, che lo facevan rassomigliare a centinaia d'altri, servitori o ministri, cocchieri del vecchio stampo o ambasciatori e plenipotenziarî: sulla sua fronte, non troppo alta, ma levigata come di marmo, nessun pensiero aveva fatta presa; la computisteria gli era stata leggiera; egli ignorava perfettamente l'esistenza di Dante e di Raffaello.

Dallo studio venivan le voci del visitatore e del Folengo; la prima, tenue come d'un implorante, la seconda, calma, con chiaroscuri studiati, che indicavan gl'incisi dei quali il Folengo usava abbellire il discorso; ad ora ad ora giungeva anche il fruscio di carte spiegate; qualche colpo di tosse, che aveva un perchè; finalmente udii che il visitatore si congedava, col solito: «Allora, siamo d'accordo; io le farò avere i documenti….» La porta che dallo studio metteva all'anticamera s'era chiusa dietro le spalle dell'incognito; la porta che dallo studio metteva al salotto dov'io mi trovava, veniva aperta per dare adito al signor Folengo.

Io m'era alzato. Il signor Pietro, basso e largo, severamente abbigliato di nero, colla faccia illuminata da un sorriso breve, mi veniva incontro a mani aperte.

—Caro signor Sergio!—egli disse.—Mi perdoni la lunga attesa: sa, queste benedette faccende; l'amministrazione….

Così dicendo, sedette egli pure sul divano e mi fece accomodare presso di lui.

—Ora, sono tutt'orecchi,—continuò.—Mi pare che nel suo viglietto di ieri mi chiedesse udienza per affari, anch'ella….

—Per affari!—dissi, brutalmente colpito.—Per affari, no: per cose di sommo rilievo, sì.

—Dunque, affari;—perseverò testardo il signor Folengo,—è question di nomi. Sto a sentirla.—

M'avvidi ch'egli sapeva già di che cosa io volevo parlargli; ma, in quel momento, io rappresentava un postulante, e per sistema, il signor Pietro non faceva mai un passo verso questa categoria d'uomini. S'io non avessi trovato sùbito le parole adatte, egli avrebbe aspettato anche un quarto d'ora, con olimpica serenità, senz'offrirmi il modo d'entrare in argomento.

Guardai fuori della finestra chiusa, riparata da tendine bianche; oltre la quale si vedevan gli alberi del giardino, spogli di fronde, sotto il cielo bigio d'ottobre; alcuni colombi selvatici s'erano appollajati sui rami e tubavan malinconicamente. Non faceva ancor freddo; ma il mese era assai triste, e l'ora—tra le cinque e le sei del pomeriggio,—piena di memorie.

—Io non sono un grande oratore,—dissi sorridendo,—e per questo non userò circonlocuzioni. Che cosa pensa ella di me, signor Folengo?—

Qui avevo deluse le aspettazioni del mio interlocutore, e me n'ero accorto sùbito dall'impaccio in che la domanda l'aveva gettato. Il signor Pietro pensava di me ogni bene, e per questo avevo osato chiedergli la sua opinione; ma è sempre difficile dichiarare una simpatia senza limiti a una persona, la quale è tutto il nostro opposto per idee, per passato, per modo d'intender la vita; anche più difficile era nel nostro caso, in quanto il signor Folengo sapeva benissimo dov'io tendeva, ed era per ciò in obbligo d'esprimersi senza frasi, senza generare in me il sospetto ch'egli dicesse per dire, per cavarsela.

—Io non giudico—egli rispose—dalle parole, ma dai fatti. Certo, io so come di lei si sia molto parlato in altri tempi e con diversi criterî; e so pure come, se si volesse giudicarlo dalle sue opinioni….

—Lei non mi farà torto—interruppi—di credere che le opinioni espresse in un salotto o in un caffè sieno le mie….

—No,—disse gravemente il signor Folengo.—So appunto che la gioventù nostra ha questo vezzo pericoloso di mettere innanzi delle idee che nella pratica della vita non vorrebbe mai applicare. Perciò, io mi tolgo affatto da questo campo e, come le dicevo, baso il mio giudizio sulla vera essenza della sua indole, per quello ch'io ne ho intravisto.

Respirò a lungo e proseguì:

—A rassicurarla immediatamente, le affermo che il mio giudizio su di lei è ottimo.

Questa volta respirai io. La pomposità delle frasi che ascoltavo, andava persuadendomi sempre più vero quanto io aveva presentito: il signor Folengo sapeva lo scopo della mia visita; non solo, ma aspettandosela da un giorno all'altro, aveva preso ragguaglio d'ogni cosa che mi riguardava, del mio stato finanziario, de' miei amori morti, delle mie abitudini, de' miei difetti; notavo quasi con vergogna ch'io era vilissimo in quell'istante e che se il signor Folengo m'avesse imposta l'abjura d'ogni credenza più antica, la rinuncia ad ogni orgoglio più accarezzato, io avrei abjurato, io avrei rinunciato, pur d'effettuare la mia speranza.

—È ottimo in questo senso,—riprese il Folengo;—che ella è di gran lunga migliore di quanto vorrebbe sembrare; che ella ha dato troppo peso a sciagure intime e ha troppo generalizzati i suoi casi, scambiando l'uomo e il mondo per gli uomini e il mondo che le furono d'attorno lunghi anni. Ora, questo non è; ella è assai giovane; ha maniera di ricredersi, e nonostante certe sentenze scettiche delle quali s'è imbevuto, ella a ricredersi volge ogni speranza, ogni forza d'animo.

Io restava in silenzio, perchè intuivo che l'orazione del signor Folengo non sarebbe così presto finita; mi pareva il discorso prendere un atteggiamento troppo diplomatico, e aumentarmi le difficoltà non piccole della mia domanda; ma riservavo un'interruzione che avrei fatta non appena se ne fosse offerta l'opportunità.

—Si vorrebbe da lei,—continuò il mio giudice,—una maggior coerenza fra le azioni e le parole, una schietta ribellione a tutti i dogmi che l'infracidita società nostra va infiltrando nei giovani. Ma già, questo vien dall'esperienza, dalla critica, è frutto dell'età più vecchia.—

Pausa. Il signor Folengo,—la cui testa cominciava a entrar nella penombra della camera, mentr'io rimaneva ancora in luce, colla finestra di contro—si portò all'indietro col corpo, quasi prendesse la rincorsa, e giunse inaspettatamente alla conclusione, per esaurimento delle frasi magnifiche.

—Insomma, caro signor Sergio, io non ho che a finire come ho cominciato. Ella è per me gentiluomo irreprovevole, al quale è onore proferir dell'amicizia e dal quale è ambizione ottenerla…. Del resto, io non so rendermi ragione di quest'inchiesta non aspettata; sono sorpreso….

Notai che il signor Folengo s'era sorpreso un po' tardi, quando cioè aveva comodamente espressi i pochi pensieri che la mia persona e la mia vita gli suggerivano.

—Era necessario,—interruppi,—per ambedue; io la ringrazio assai del concetto ch'ella nutre di me, e spero di poterne sempre esser degno….

Guardai di nuovo fuor della finestra; i colombi selvatici erano spariti dagli alberi. Udii la pendola sul caminetto suonar lentamente le cinque ore e la mezza.

—Ora, al fatto,—disse il signor Folengo con uno sguardo scrutatore.

Ne' suoi occhi grigi lessi la sicurezza che la mia risposta doveva essere la buona, e avvertii un impercettibile moto in lui, come di preparazione.

—Il fatto è semplice e grave,—risposi.

Mi alzai, mi posi di fronte all'uomo, e dissi con voce quasi tremante:

—Ho l'onore, signor Folengo, di chiederle la mano della signorina

Lidia sua figlia….—

Vi fu un silenzio che giudicai spaventevole. Il signor Folengo si levò adagio, sempre tenendo gli occhi fissi ne' miei, uscì dalla penombra, e rispose:

—Una simile domanda fatta all'improvviso…. Io sono lusingato….—

Mi morsi le labbra; l'istinto vittorioso aveva costretto l'uomo a trincerarsi e a guardarsi da una promessa immediata; le parole uscivan dalla bocca del signor Folengo meccaniche; egli si dimenticava la sua professione di fede in me; gli proponevo un affare, secondo lui, ed egli mi trattava da uomo d'affari. Però, scorgendomi forse impallidire, aggiunse tosto:

—Debbo dichiararle ch'io non ho nulla, nulla in contrario al suo voto; anzi ho molta propensione a vederlo esaudito, e sono commosso…—

Non era commosso per niente. Si allontanò alcun poco da me e premette il campanello elettrico.

—Avvertite donna Teresa che ho bisogno di parlarle,—disse alla cameriera sopraggiunta.—E portate la lampada.—

Mentre Geltrude usciva, il signor Folengo mi tornò vicino.

—Perchè meglio si persuada ch'io accolgo la sua domanda con viva simpatia, voglio sùbito comunicarla alla mia signora,—fece con tono affettuoso.

Io m'inchinai, ed essendo sopravvenuto un silenzio molesto, il Folengo occupò quell'intervallo nell'accomodare e nello spostare alcuni oggetti sulla tavola, che non ne avevano bisogno; alla prima ansia era succeduta in me la riflessione e con essa la calma speranzosa; non trovavo a' miei desideri alcun ostacolo degno di essere discusso.

Donna Teresa comparve, seguita dalla cameriera che posò la lampada sul caminetto e si ritirò. Donna Teresa, allevata alla scuola del marito, ebbe uno sguardo istintivo e ricostruì, evidentemente, a grandi tratti, la conversazione avvenuta fra me e il signor Folengo.

Il salotto si riempiva di solennità. Donna Teresa mi venne incontro e mi strinse la mano; la piccola e grassoccia signora non aveva rinunciato a una certa eleganza; i suoi capelli eran tuttavia neri, e la sua carnagione, eburneamente lumeggiata dalla lampada, appariva senza rughe nè grinze; il color delle labbra era rinforzato da una leggiera tinta di carmino abbastanza gradevole. Solo, nel suo corpo difettava l'eleganza naturale, che l'assiduità allo specchio non insegna mai; le forme tozze prorompevano, in odio alla fascetta strettissima; attorno al collo l'adipe formava un monile, e sui fianchi si espandeva con insolenza.

Noi ci eravamo seduti di nuovo. I coniugi Folengo occupavano il divano ed io, di fronte a loro, in una poltrona bassa, aspettavo con ritornata angoscia la ripresa della orazione.

—Ti ho fatto chiamare,—disse il signor Folengo,—perchè il signor Sergio ci presenta l'opportunità di stringere assai notevolmente i legami della nostra amicizia.—

Donna Teresa dimostrò con un cenno della testa che tale opportunità le gradiva.

—Per esprimermi chiaramente, il signor Sergio mi ha domandata la mano di Lidia.

Donna Teresa balzò dal divano con un'agilità imprevedibile e mi si precipitò incontro, colla faccia trasformata dalla gioja. Senz'aspettare un gesto di suo marito, e parlando per istinto, come l'altro aveva per istinto tergiversato, esclamò:

—Grazie, signor Lacava! Mille volte grazie di simile onore! Lei effettua la mia più cara speranza!—

Presi la mano di donna Teresa, toccato dall'effusione ingenua della buona signora.

—Ella mi rinfranca,—dissi, alzandomi dalla poltrona.—Io mi sento appoggiato dalla fiducia che le ispiro….

—Ma certo, ma certo!—rinforzò donna Teresa.—Forse mio

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