Melaverde

I tesori della laguna

Alla scoperta di un territorio vocato da secoli alla pesca e all’acquacoltura che regala orate, spigole e ombrine dall’inconfondibile profumo di timo e pregiati lavorati ittici, le cui ricette risalgono alla dominazione spagnola di metà Cinquecento

Uno spazio liminale, non più terra ferma, non ancora mare: grazie alle sue caratteristiche uniche, la laguna di Orbetello rappresenta sin dall’antichità un importante polo per la pesca, ovvero il porto della colonia romana di Cosa. Gli scavi hanno portato infatti alla luce resti (databili dal II secolo a.C. fino all’età imperiale) di grandi ville costiere, dotate di vasche per l’allevamento e di magazzini per lo stoccaggio di derrate alimentari, e di altre infrastrutture che indicano la presenza di attività di acquacoltura. Testimonianze di un’economia fiorente che probabilmente esportava i propri prodotti persino nell’Urbe. Per la fauna ittica in effetti la zona di Orbetello è un ideale per trovare riparo e cibo in abbondanza: si tratta di uno specchio d’acqua salata di 27 chilometri quadrati che raggiunge una profondità massima di due metri, separato dal Tirreno da due strisce di terra lunghe circa 6 km (i Tomboli sabbiosi della Giannella e della Feniglia) e dal promontorio dell’Argentario. Grazie ai flussi e ai riflussi delle onde, i pesci si addentrano spontaneamente nella laguna, senza alcun bisogno di esche. Qui crescono e si sviluppano indisturbati fino al momento migliore per la cattura, che avviene rispettando la stagionalità e il ciclo di vita degli animali. Le specie di pesce selvatico più pescate sono: orate, spigole, cefali, anguille, calcinelli, mazzancolle e femminelle. Anche sul versante dell’acquacoltura si tratta di un territorio particolarmente felice: all’interno del bacino della laguna sono infatti presenti diversi allevamenti estensivi, in cui gli animali vivono come se fossero in natura. Inoltre, a partire dagli anni ’70, nelle zone circostanti sono sorti allevamenti intensivi che beneficiano di un raro fenomeno geologico: il termalismo di faglia. L’acqua salmastra usata nelle vasche di allevamento, proviene da sorgenti naturali cha mantengono una temperatura costante tra i 20 e i 25 gradi per tutto l’anno e un livello di salinità ottimale per le specie allevate, ovvero la spigola, l’orata e l’ombrina boccadoro. Questo consente di allevare pesci sani e di pregio che, a detta di alcuni chef, profumano naturalmente di timo. La tradizione culinaria della zona è, naturalmente, basata sui prodotti ittici freschi e lavorati, ed è interessante notare come la dominazione spagnola avvenuta tra XVI e XVII secolo vi abbia lasciato una forte impronta: dalla gastronomia iberica derivano infatti la tecnica di produzione della bottarga e due tecniche di conservazione del pesce caratteristiche di questo tratto di costa Toscana: la sfumatura, che consiste nel condire il pesce con una salsa a base di peperone, e la scavecciatura, che prevede un condimento caldo a base di aceto, rosmarino, aglio e peperone. Antropizzazione e inquinamento minacciano le zone umide costiere, ma la laguna di Orbetello viene protetta gelosamente da generazioni di pescatori che vivono grazie alla generosità delle sue acque: nel 1945, tredici soci fondarono la cooperativa I pescatori di Orbetello, con lo scopo di preservare le tradizioni di pesca lagunare e di lavorazione del pesce. I pescatori hanno tenuto vivi metodi di cattura antichi, che consentono di selezionare gli esemplari più idonei alla pesca e che hanno un basso impatto sull’ecosistema, come il lavoriero, il martavello e il tramaglio. Oggi quella stessa cooperativa (che è arrivata a comprendere 100 pescatori) è ancora impegnata nella difesa della laguna e ha allargato le sue mansioni anche all’ittiturismo, organizzando eventi, tour della laguna e promuovendo iniziative che facciano conoscere le peculiarità della zona. La loro storia è talmente affascinante da essere diventata un film: , lungometraggio di Walter Bencini del 2014.

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