

“Hai soddisfatto il mio cuore” recita un’iscrizione molto fotografata nelle sale del Museo Egizio di Torino. Una frase in demotico che sembra evocare un intimo discorso amoroso… in realtà si tratta di un’espressione di uso comune nei dialoghi e persino in alcune forme di contratto. Una delle tante sorprese della bella mostra sulle antiche scritture egiziane che idealmente prosegue quella da poco conclusa al British Museum di Londra, dedicata ai duecento anni dalla decifrazione della Stele di Rosetta, l’evento fondante della moderna Egittologia. Questa, intitolata “Il dono di Thot” in omaggio al dio che della scrittura fu considerato inventore e custode, accompagna il visitatore alla scoperta di uno degli aspetti più affascinanti della cultura fiorita più di 5000 anni fa, lungo le sponde del Nilo.

La geroglifica è solo una delle scritture che si attestarono in Egitto, insieme a quella ieratica, demotica e copta, ma è sicuramente la più originale e affascinante. Il suo carattere divino è racchiuso nel suo stesso nome: per gli antichi Egizi era mdw nṯr (convenzionalmente pronunciata medu necer) che significa “parole del dio”. Anche il termine greco “geroglifico” è un composto di hierós (sacro) e glýphō (scolpire, incidere), cioè “sacro intaglio”. Secondo il mito fu Thot (o Djehuty, Theut per i Greci), il dio dalla testa di ibis, a inventare la scrittura e donarla agli uomini, divenendo così custode di ogni forma di conoscenza. Rappresentato anche in forma di babbuino o con testa di cane, compare in statue, papiri, dipinti e bassorilievi in ogni parte del Regno.