ALL’ESTREMITÀ SETTENTRIONALE della penisola dello Jutland, dove la lingua di terra che culmina all’incrocio tra i mari del Nord e del Baltico si assottiglia quasi a diventare trampolino di lancio verso la costa della Norvegia, la natura prende il sopravvento. Fino alla fine dell’Ottocento il nord dello Jutland, regione danese che più stupisce tra paesaggi lunari e tradizioni antiche, era terra di pescatori che conducevano una vita frugale in piccoli borghi costieri. Non certo un luogo di villeggiatura. Nel passaggio tra XIX e XX secolo, però, qualcosa cambia. Sono gli anni in cui la borghesia europea, animata dalla ricerca di luoghi salutari dove trascorrere il tempo libero, inizia a frequentare località balneari. Si afferma così, per la prima volta nella storia, una concezione di vacanza molto simile all’attuale, però appannaggio esclusivo di un turismo altospendente. I litorali del Mediterraneo (Costa Azzurra e Versilia in testa) e la costa atlantica – preferita per il timore di un’esposizione eccessiva al sole a latitudini troppo calde – iniziano a popolarsi di ville e hotel alla moda. Così accade sulle coste dello Jutland, sotto gli occhi dei pescatori che assistono, un po’ increduli, alla costruzione di imponenti alberghi realizzati in legno dalle migliori maestranze locali, direttamente affacciati sulla spiaggia: la prima metà del Novecento fu l’epoca d’oro dei badehotel, parola danese coniata per l’occasione.
A partire dagli anni Sessanta, però, con l’avvento del turismo di massa, queste eleganti strutture dal fascino vintage iniziarono a soffrire la concorrenza di sistemazioni più alla mano. Troppo costosi da mantenere, e, confermato per innumerevoli stagioni, è diventato il danish drama più visto degli ultimi dieci anni, esportato in Norvegia, Svezia, Finlandia, Grecia. Ecco perché le tappe del nostro viaggio nel nord dello Jutland sono scandite dai badehotel entrati nel mito locale, tra un passato iconico e un presente luminoso.