
Negli anni 80 non c'era una ragazza della “Milano bene” che non desiderasse una Suzuki SJ con la quale poter girare per le vie del centro. La Suzukina, così era affettuosamente chiamata la piccola fuoristrada giapponese, era ovunque. Beh, non proprio dappertutto, visto che costava un botto, ma la sua presenza era una costante là dove contava: nei club più esclusivi, fuori dalle discoteche più in voga, in centro e lungo le vie della moda. Poco importava che fosse scomoda, consumasse come un autotreno e richiedesse l'attenzione totale di un buon angelo custode, nel caso ci si trovasse in una manovra di emergenza. La Suzukina, rigorosamente cabrio, faceva tendenza e vendeva oltre ogni aspettativa. Era diventata un vero e proprio fenomeno commerciale. Non soltanto italiano: tant'è che la casa madre, per far fronte alla domanda sempre crescente - e aggirare il problema del contingentamento delle importazioni, che ancora affliggeva il mercato europeo -, prese la decisione di farla costruire su licenza dalla spagnola Santana. Quella che vedete in queste pagine è la Samurai, logica evoluzione del celebre modello SJ, che nel 1989 sostituisce nel listino della Casa e dal quale si differenzia soltanto per pochi dettagli e alcune migliorie tecniche (vedere a pagina 118).
UNA LUNGA STORIA
Per capire le origini di questo modello così particolare bisogna però sfogliare ancora un po' le pagine del tempo, fino al 1968. A quell'epoca