Melaverde

Enrico, Pinocchio e le Chianine

uando il regista Matteo Garrone ha deciso di realizzare il film con Roberto Benigni nel ruolo di Geppetto, aveva bisogno di un luogo dove ricostruire il villaggio della fiaba. In qualche modo arriva a Sinalunga, nella Val di Chiana, in Toscana. Aveva saputo che qui c’era un posto che poteva fare al caso suo. Si tratta di una azienda agricola storica del territorio, un borghetto medioevale sull’antica via consolare Cassia, nella località “La, c’era ancora qualche resto di neve finta sui davanzali delle finestrelle del villaggio. Tutto è uguale a quello che si è visto nel film. Ci sono documenti che dimostrano che questo piccolo borgo era già abitato nel 1200. La villa padronale risale al ’400, la cappella gentilizia è stata affrescata da un pittore della scuola di Raffaello, “il Sodoma”. Qui, nel XIII secolo nasce Ghino di Tacco, il nobile ghibellino divenuto brigante che, per vendicare la morte del padre, deruba mercanti, nobili e prelati che passano da quelle parti. A raccontarci la storia di questo luogo unico è Enrico Lagorio, erede di una famiglia di costruttori toscani che nel 1800 acquistò “La Fratta”. Enrico è un uomo simpatico, colto, con un che incarna perfettamente il ruolo del signore di campagna di un tempo. Immancabile il sigaro toscano tra le dita, voce profonda che sa raccontare, grande conoscenza del territorio e delle Chianine che la sua famiglia ormai alleva da più di un secolo. Fino all’inizio del secolo scorso, le Chianine si allevavano soprattutto per essere utilizzate nei lavori in campagna. Erano i trattori dell’epoca. Con l’arrivo della meccanizzazione le aziende di pianura cominciano a trasformare i pascoli in grandi coltivazioni di cereali. La Chianina che tira l’aratro sparisce dalle campagne lasciando il posto a mezzi meccanici. Negli anni ’30 del secolo scorso, la Chianina stava rischiando di sparire dai suoi luoghi di origine, ma con un Regio Decreto del 1934, il governo di allora decise di iniziare un progetto di recupero della razza in purezza e “La Fratta” venne scelta con altre tre aziende come centro di selezione nazionale. Qui sono nati i tori che hanno fatto la storia della Chianina. “Donetto”, il toro più grande di sempre con i suoi 1.780 chili. “Giogo”, padre di ben 532 vitelli con monta libera. “Vaglio”, venduto per l’equivalente di 50.000 euro odierni. Oggi ci sono più di 500 capi in allevamento, che si alimentano con i pascoli e con i cereali e i foraggi biologici coltivati dall’azienda. All’interno ci sono due ristoranti e 150 posti letto per gli ospiti. Si producono anche olio e vino. Ma Enrico ci tiene a raccontare cosa questo luogo ha rappresentato per la gente del posto. Nel secolo scorso all’interno vivevano molte famiglie di mezzadri. Gli adulti si occupavano dei campi, dei lavori domestici, delle stalle e della cantina. Ma potevano andare a lavorare sereni, perché sempre all’interno dell’azienda c’era una scuola gestita da suore del posto, che accoglieva anche i bambini del circondario. «Aver dato a tanti bambini la possibilità di studiare – ci dice Enrico – è un grande orgoglio di famiglia. Col tempo il borgo naturalmente si è spopolato, ma l’arrivo del di Garrone ci ha riportato per qualche settimana il sapore della vita di un tempo».

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