IL POMERIGGIO PRIMA DEL GIORNO DEL RINGRAZIAMENTO, Stéphane Bancel aveva deciso di prendersi qualche momento di relax. Il Ceo di Moderna, la biotech con sede a Cambridge, Massachusetts, è il tipico leader di startup: un vortice di energia connesso 24 ore su 24 via e-mail. Ma mentre l’America si concedeva una lunga pausa fatta di tacchino, traffico e football, Bancel era nel suo ufficio di casa e si preparava a chiudere con qualche ora di anticipo la giornata lavorativa. Dopotutto, lui e il suo team avevano lavorato duramente per quasi due anni. Avevano gareggiato per sviluppare e produrre il loro vaccino Covid, noto come SpikeVax, potenziando ogni ambito dell’organizzazione per questo obiettivo. Qualche ora in più di riposo prima di un fine settimana festivo sembrava nell’ordine delle cose.
Solo che a un certo punto Bancel ha ricevuto un sms urgente da Stephen Hoge, presidente di Moderna e capo Ricerca e sviluppo: “Tracciata una nuova variante. (B.1.1.529). Non sembra una cosa buona”. Hoge, medico di pronto soccorso diventato consulente McKinsey ed entrato a far parte di Moderna nel 2012, ha suggerito di fare immediatamente una videochiamata.
Negli ultimi due anni, durante la pandemia globale, Bancel, 47 anni, si è ritrovato a recitare un ruolo da protagonista in molti momenti di questo film catastrofico. C’è stato il fatidico giorno all’inizio di gennaio 2020 in cui ha ordinato al suo team di sequenziare un misterioso virus respiratorio poco conosciuto che si stava diffondendo in Cina e di iniziare a lavorare su un vaccino, per ogni evenienza. Oppure quella volta, poche settimane dopo, in cui si è ritrovato con una manciata di altri leader internazionali della sanità a Davos, nelle Alpi svizzere, a scarabocchiare su un tovagliolo il tasso di infezione previsto per quel patogeno. E ancora, diciotto mesi dopo l’inizio