MASCHERE DI PIOMBO, un inesplicabile cold case

Gli inquirenti si trovarono di fronte a un tableau vivant del tutto particolare, assimilabile senza troppi problemi a una vera e propria opera d’arte
Ruben De Luca, in Omicida e artista, ipotizza un pronunciato parallelismo fra omicidio seriale e creazione artistica, evidente soprattutto in rapporto alle arti visive. Da esso prenderemo spunto, nonostante per questa oscura vicenda – meglio dirlo subito – non si possa parlare di serial killer (il caso che tratteremo è semmai un unicum, anche se si è cercato di collegarlo ad altri eventi che presentano aspetti simili), e forse neppure di assassinio (che si tratti di un duplice omicidio, infatti, non è certo). Tuttavia le morti di cui ci occuperemo lasciarono agli inquirenti/spettatori – assai più di tanti delitti commessi da criminali multipli – un tableau vivant del tutto particolare, assimilabile senza troppi problemi a una vera e propria opera d’arte. Ossia un mistero da risolvere con le armi della ragione, e forse da punire con quelle della legge, ma anche un puro enigma estetico, e come tale suscettibile di interpretazioni molto diverse fra loro.
L’AMBIENTE
Nel Brasile degli anni Sessanta si potevano incontrare tipi assai particolari, i cosiddetti «spiritualisti scientifici», ovvero individui che lavoravano in ambiti come la chimica, la biologia o l’elettronica, ma che, ben lungi dall’essere preda di uno scettico e solido materialismo, inspiegabilmente erano invece affiliati a circoli esoterici. Forse reagivano così alla realtà quotidiana fatta di microscopi e prese elettriche, chissà… Stranezze dell’animo umano! Naturalmente gente del genere correva il rischio di diventare vittima di pesanti prese in giro, o peggio ancora di imbrogli architettati allo scopo di derubarla. Dato il loro livello di istruzione, tuttavia, i malcapitati erano sì creduloni ma scientificamente competenti; il che significava che non si sarebbero bevuti qualsiasi stupidaggine: occorreva un minimo di elaborata verosimiglianza e di “filosofia” nella storiella da propinar loro. I truffatori «la “fantasia”, ovvero la modalità di tipica dell’assassino seriale » (Mastronardi/De Luca, ). In altri termini, quelli del John Douglas, a tali delinquenti sarebbe importata la “messa in scena”, e non la “messa in posa”: «“La messa in scena” […] compare nei crimini in cui il soggetto cerca di depistare le indagini inducendo la polizia a farsi dell’accaduto un’idea non rispondente al vero. La “messa in posa” costituisce la “firma”, ovvero ciò di cui l’assassino non può fare assolutamente a meno, qualunque cosa essa sia, per avere la soddisfazione tanto ricercata, soddisfazione che può benissimo non avere un immediato collegamento con l’omicidio».
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