Melaverde

La prima volta di Ellen

“. Sono passati dieci anni da quella telefonata. Era il produttore di Melaverde Giacomo Tiraboschi. Mi proponeva una cosa che io mai avrei immaginato di fare nella mia carriera. Avevo nuotato ad alti livelli, poi avevo sfilato nella moda, poi ero entrata nel mondo della televisione italiana, quasi per caso. Al fianco di un e di mi ero divertita, sempre però mettendoci tutta me stessa, anche per imparare meglio l’italiano, che, vi assicuro, per una olandese, è una lingua davvero complicata. Ma tutte le mie esperienze lavorative erano state in studio. Camerino con bevande calde e fredde, trucco e parrucco, una scenografia dentro la quale imparavi presto a muoverti. Ma ora la storia cambiava completamente. Sempre fuori, ogni settimana un posto diverso, pronta a girare la puntata a 40 gradi o sotto la neve, su un ghiacciaio a 3000 metri o su un peschereccio in mezzo al mare di notte. Queste le premesse. “Te la senti Ellen?”. Non ci ho pensato un momento. “Certo. Ci sto”. In un secondo ho capito che era la sfida che stavo aspettando senza saperlo. Nata nelle campagne olandesi, ora sarei diventata la narratrice di quelle italiane. La prima trasferta la ricordo come fosse ieri. Autore, regista, la direttrice di produzione, Elena, l’unica donna. Due cameramen, un fonico e un assistente. Destinazione: un allevamento bovino. Niente trucco, jeans, scarponi da montagna e giacca a vento. Quello che poi sarebbe diventato il mio outfit abituale da dieci anni a questa parte. Prima scena: l’uscita degli animali dalla stalla. Un cameraman in un lampo scala un mucchio di letame e si posiziona per riprendere gli animali dall’angolazione secondo lui migliore. L’altro, per non essere da meno, entra nella stalla dove gli animali stazionano, mangiano e, vabbè, fanno altro, avete capito cosa, per riprendere l’uscita da dietro. Autore, regista ed Elena si trasformano all’improvviso in esperti bovari e, come se avessero fatto quello da sempre, si dispongono per gestire i bovini che usciranno. Per un attimo ho pensato di essere su . “Allora Ellen, pronta?” mi dice il regista. “Un attimo. Vorrei rivedere una cosa nel testo con l’autore”. “Vacca”. Questa era la parola che volevo rivedere. C’era scritto proprio così. “Vacca Bruna”. Insomma, che volete, sono “bionda e straniera”. Che ne sapevo. La conoscevo come imprecazione con tutt’altro significato! E invece no. Si dice proprio così. Ho scoperto che quando si parla di agricoltura “vacca” è più giusto di “mucca”. Quella è stata la prima parola che ho conosciuto di quel vocabolario agricolo di cui nulla sapevo prima. E quante cose ho imparato da allora. Ora so mungere, so come si fa un formaggio, so quando si semina e si raccoglie; so che di “vacche”, pecore, capre e suini ne esistono decine di razze, e so anche come si fanno la o i . E poi, la cosa che amo di più, ho imparato che il mondo dell’agricoltura italiana è fatto di mille prodotti e belle persone, ospitali, a volte rudi forse, ma ricche di valori, emozioni e storie che non mi stancherò mai di raccontare. Dikke kus.

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