Il numero piace che alle grandi aziende

TIM BUCKLEY, CEO DI VANGUARD, vede il Net promoter score ogni volta che guarda la dashboard del gestionale della sua azienda, sullo schermo del suo computer. Bill Barton, Ceo di California Closets, controlla il punteggio ogni mattina, tutti i giorni, e lo usa da quando è stato inventato, 17 anni fa. Circa 40mila impiegati Ibm lo usano, e il dirigente che ne controlla l’utilizzo, Michelle Peluso, dice che “è più di una metrica. Si potrebbe usare la parola religione”. Tutta questa devozione per una specifica sulla soddisfazione dei clienti? Potrebbe sembrare strano, ma si tratta di un fenomeno reale, e in crescita. Almeno due terzi delle aziende della classifica Fortune 1000 usano il Net promoter score, incluse quasi tutte le aziende di servizi finanziari, trasporto aereo, telecomunicazione, commercio e altre ancora. In silenzio, con costanza e senza che nessuno ci facesse troppo caso, l’Nps si è inserito nei piani alti di quasi tutte le grandi imprese e negli uffici di migliaia di proprietari di Pmi, ampliando il suo raggio d’azione attraverso l’intera economia globale.
Scettici e avversari sono stati da tempo sconfitti. Ora viene usato in tutte le economie sviluppate e anche in molte di quelle emergenti. Si è allargato ad ogni tipo di organizzazione, non solo al business; in Gran Bretagna lo usa il sevizio sanitario nazionale. Come aumenta l’ossessione per la soddisfazione del cliente, così accelera la cavalcata dell’Nps attraverso industrie e Paesi.

Anche se non avete familiarità con l’Nps, è sicuro che l’abbiate prima o poi incontrato. Infatti, avete ricevuto almeno un’email o una telefonata in cui vi è stata posta una semplice domanda, alla base dell’impero Nps: “In una scala da zero a dieci, quanto è probabile che tu raccomandi [nome dell’azienda] a un amico o un collega?”. Vi è stata posta probabilmente anche una seconda domanda: “Perché?”.
Che ci crediate o no, è tutto qua.
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