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MONTAIGNE –

SAGGI –
CAP.6 - DELL’ESERCIZIO
IL VALORE DELL’ESERCIZIO DAVANTI
AL PROBLEMA DELLA MORTE
• «È difficile che il ragionamento e l’insegnamento, anche se la nostra opinione vi
aderisca volentieri, siano abbastanza potenti da indurci all’azione, se oltre a ciò non
esercitiamo e formiamo la nostra anima, per mezzo dell’esperienza, a quel modo di
vivere a cui la vogliamo abituare».
• «Ma a morire, che è la maggior faccenda cui dobbiamo far fronte, l’esercizio non
può aiutarci. Possiamo, con l’abitudine e con l’esperienza, fortificarci contro i dolori,
la vergogna, l’indigenza e altri accidenti simili, ma quanto alla morte, non possiamo
provarla che una volta; siamo tutti dei principianti quando ci arriviamo».
• «Tuttavia mi sembra che vi sia qualche maniera di prender dimestichezza con lei e di
saggiarla in qualche modo. Se non possiamo raggiungerla, possiamo avvicinarla,
possiamo osservarla».
CARATTERI FENOMENICI
DELL’ESPERIENZA DELLA MORTE
• L’essere-sempre-mio

• L’insensibilità
«Per quanto riguarda l’istante e il punto del trapasso, non c’è da temere che porti
con sé alcun affanno o dolore, poiché non possiamo provare alcuna sensazione
senza averne l’agio. Le nostre sofferenze hanno bisogno di tempo, e nella morte
questo è così breve e fugace che essa deve necessariamente essere insensibile».

• L’impossibilità di un ritorno
IL SONNO
• «Non è senza ragione che ci si richiama al sonno, per la somiglianza che ha
con la morte. Con quanta facilità passiamo dalla veglia al sonno! Con quanto
poco danno perdiamo la conoscenza della luce e di noi! Potrebbe forse
sembrare inutile e contro natura il potere del sonno, che ci priva di ogni
azione e di ogni sensazione, se non fosse che per mezzo di quello la natura ci
insegna che ci ha fatti così per morire come per vivere, e già in questa vita ci
presenta la condizione eterna che ci riserba dopo, per farci assuefare ad essa
e togliercene il timore».
• «Ci accade così nella cascaggine del sonno, prima che esso ci abbia afferrati
interamente, di sentire come in sogno quello che avviene intorno a noi, e di
seguire le voci con un udito confuso e incerto, che sembra arrivare appena
alle soglie dell’anima; e diamo delle risposte dietro alle ultime parole che ci
sono state dette, più casuali che sensate».
LA PERDITA DEI SENSI
• «Mi sembrava che la vita mi stesse appena attaccata alle labbra: mi
sembrava chiudessi gli occhi per aiutarla a uscir fuori, e provavo
piacere nel sentirmi languire e nel lasciarmi andare. Era un’idea che
galleggiava soltanto alla superficie della mia anima, tenue e debole
come tutto il resto; ma in verità non solo scevra di dolore, anzi mista a
quella dolcezza che sentono coloro che si lasciano scivolare nel sonno.
Credo che sia lo stesso stato in cui si trovano coloro che vediamo venir
meno dalla debolezza nell’agonia della morte».
IL PROBLEMA DELLA COSCIENZA
• «Ci sono parecchi animali, e anche alcuni uomini, ai quali, dopo che sono
morti, si vedono tendersi e muoversi i muscoli. Ognuno sa per esperienza che
ha delle parti che si muovono, si drizzano e si abbas- sano spesso senza il suo
permesso. Ora, questi impulsi che ci toccano solo la scorza non si possono
dire nostri. Per farli nostri, bisogna che l’uomo vi sia impegnato tutto intero;
e i dolori che il piede o la mano sentono mentre dormiamo, non sono nostri».
• «Erano pensieri vani, nebulosi, che erano prodotti dai sensi della vista e
dell’udito; non venivano da me stesso. Io non sapevo pertanto né da dove
venivo, né dove andavo, né potevo valutare e considerare quello che mi
domandavano: erano effetti lievi che i sensi producevano da sé, come per
abitudine».

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