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IL PRINCIPE

 NICCOLÒ MACHIAVELLI (1513)

Presentazione di Federico Natali


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LA VITA
L’ESCLUSIONE DALLA VITA POLITICA : Nel 1512 ci fu lo scontro tra la Francia, di cui la
Firenze repubblicana era alleata, e la Lega Santa capeggiata dal papa; lo scontro decisivo
avvenne a Ravenna dove i francesi e le truppe fiorentine vennero sconfitte: la repubblica cadde, i
Medici tornarono a Firenze e Machiavelli venne licenziato da tutti i suoi incarichi.

Seppur a malincuore fu costretto ad una sorta di esilio forzato nel podere dell’Albergaccio, vicino
Firenze, ed è proprio qui che Machiavelli scrisse alcune tra le sue più celebri opere: «Il Principe»
(1513), «I Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio» e la «Mandragola» (1518).

IL BREVE RITORNO ALLA POLITICA E LA MORTE : Le cose sembrarono migliorare nel


1523 quando salì al soglio pontificio il cardinale Giulio de’Medici, succeduto a Lorenzo de’Medici,
e più favorevole del predecessore nei confronti di Machiavelli che revocò l’interdizione dagli uffici
pubblici e permise a quest’ultimo di riavvicinarsi gradualmente alla vita politica.

Nel 1527 tuttavia i Medici vennero scacciati nuovamente, fu ristabilita la Repubblica e


Macchiavelli a causa del suo riavvicinamento alla Signoria Medicea fu licenziato dagli incarichi.

La delusione fu così amara che ammalatosi improvvisamente, morì il 21 giugno del 1527.
GENESI DELL’OPERA E PRECEDENTI LETTERARI
Come già detto “Il Principe” fu composto nel 1513 durante l’esilio forzato di Macchiavelli all’Albergaccio e la datazione esatta fu ricavata dalla
corrispondenza epistolare tra l’autore e l’amico Francesco Vettori, infatti nella lettera del 10 dicembre 1513 Machiavelli afferma di aver
completato un “opuscolo De Principatibus”.

Gli unici due capitoli scritti in seguito tra il 1515 e il 1516 furono la dedica a Lorenzo de’ Medici e la vibrante esortazione a liberare l’Italia del
capitolo XXVI.

L’opera nella sua struttura di trattato politico non ha nulla di originale, infatti già nel Medioevo con i cosiddetti “specula principis” erano diffusi
trattati volti a delineare il modello del primcipe e a indicare le virtù che egli doveva possedere.

Se da un lato il Principe di Machiavelli si riallaccia a questa tradizione, dall’altra però la rovescia radicalmente: mentre tutti questi trattati mirano
a fornire un’immagine ideale ed esemplare del regnante, consigliandogli di praticare tutte le più lodevoli virtù, Machiavelli proclama di voler
guardare alla “verità effettuale” e non all’ideale, quindi non propone al principe le virtù morali, ma quei mezzi che possono consentirgli
effettivamente la conquista e il mantenimento dello Stato, arrivando a consigliargli di essere crudele e spietato quando le esigenze dello Stato lo
impongano.

E’ proprio in questa concezione della politica schietta e spregiudicata che troviamo l’immensa originalità dell’opera.
LA STRUTTURA E I CONTENUTI
Il Principe è un’opera molto breve, scritta in modo conciso e incalzante, ma estremamente densa di pensiero.

Si divide in ventisei capitoli, di lunghezza variabile e articolati in diverse tematiche:

• I capitoli I-X esaminano i vari tipi di principato e i modi per conquistarli e mantenerli; Machiavelli distingue tra
principati ereditari, principati civili, principati ecclesiastici e principati nuovi, che vengono ulteriormente
suddivisi in quelli conquistati con la virtù e armi proprie e quelli conquistati con la fortuna e le armi altrui.

• I capitoli XII-XIV sono dedicati al problema delle milizie ed è qui che Machiavelli esprime il suo disgusto per i
mercenari e le compagnie di ventura che sono la causa della instabilità politica della penisola e dove sancisce la
necessità di eserciti composti da cittadini in armi.

• I capitoli XV-XXIII trattano dei modi di comportarsi del principe con i sudditi e con gli altri stati ed è proprio qui
che emerge il profondo distacco di Machiavelli con la trattatistica precedente in quanto non propone al principe
di seguire le virtù morali, come avveniva negli specula principis, bensì suggerisce a quest’ultimo di comportarsi
in maniera spregiudicata per seguire la «verità effettuale».

• Il capitolo XXIV esamina le cause per cui i principi italiani hanno perso i loro stati in seguito alla profonda crisi
politica che stava investendo l’Italia in quel periodo e arriva alla conclusione che è stato per colpa della loro
«ignavia», poiché nei tempi quieti non sono stati in grado di prevedere la tempesta in arrivo.

• Il capitolo XXV tratta del rapporto tra virtù e fortuna e sancisce la necessità del principe di essere duttile nelle
sue decisioni in modo da poter porre in tempo gli argini al fiume della fortuna.

• Il capitolo XXVI è infine un’appassionata esortazione ad un principe nuovo che sappia porsi a capo del popolo
italiano e liberare l’Italia dai «barbari».
TEORIA E PRASSI
Machiavelli non è un puro teorico, nella sua elaborazione del Principe non è interessato
a ideare una teoria politica per così dire «utopistica»;

Le sue concezioni scaturiscono dal rapporto diretto con la realtà storica del tempo e
mirano a modificarla, pertanto le sue teorie nascono dalla prassi intesa come realtà
storica del tempo e tendono a risolversi in essa stessa.

Come detto in precedenza la riflessione di Machiavelli si fonda sulla sofferta


consapevolezza della crisi politica, militare e morale dell’Italia del tempo e ha quindi
come obiettivo principale, seppur evidentemente anacronistico, di unificare l’Italia sotto
l’egida di un principe virtuoso; tuttavia il suo pensiero è talmente impetuoso e denso
che non resta limitato a quella realtà contingente ma anzi aspira ad avere una portata
universale.

La teoria politica di Machiavelli quindi acquisisce in questo senso anche la fisionomia di


una vera e propria teoria scientifica: con delle leggi proprie applicabili in ogni tempo e
luogo.
LA POLITICA COME SCIENZA E
L’AUTONOMIA DALLA MORALE

Machiavelli è ritenuto unanimemente il fondatore della moderna


scienza politica poiché ha saputo delineare nettamente il campo di
tale scienza, distinguendolo da altri ambiti dell’agire umano.

Fino al Medioevo e all’età umanistica la politica era subordinata alla


morale, nel senso che il giudizio sull’operato di un politico era
legato ai criteri di bene e male;

Con Machiavelli questa norma viene abbattuta radicalmente, infatti


egli afferma che la politica ha delle sue leggi ben precise che
prescindono totalmente dalla morale e che sono invece legate ai
concetti di utile e danno politico.

Il principe quindi non è assolutamente legato alle leggi della


morale, il suo unico obiettivo è quello di conseguire il bene comune
e il mantenimento dello stato e per riuscirci è autorizzato ad usare
mezzi «immorali», inclusa la violenza.
IL METODO DELLA CONOSCENZA E IL PRINCIPIO DI
IMITAZIONE
Machiavelli una volta definito il campo d’azione della scienza politica si occupa di delinearne il metodo.

Esso ha il suo principio fondamentale nell’aderenza alla «verità effettuale» e quindi in ultima istanza si prefigge l’obiettivo di indagare la realtà
concreta dell’agire umano e lo fa tramite l’analisi di immense quantità di dati che fungono da basi per le scelte politiche del principe.

La conoscenza secondo Macchiavelli può avvenire in due modi:

1. Attraverso «l’esperienza delle cose moderne», cioè l’osservazione dell’agire politico dei contemporanei.

2. Attraverso «la lezione delle antique», con il principio di imitazione.

PRINCIPIO DI IMITAZIONE: Machiavelli considerando l’uomo un fenomeno di natura al pari di altri, ritiene che i suoi comportamenti non variano
nel tempo e pertanto attraverso lo studio del presente e soprattutto delle fonti storiche è possibile formulare delle leggi dalla valenza universale.

Incita quindi il principe ad imitare le gesta dei grandi del passato (metafora dell’arciere) passando per sentieri già battuti da altri e quindi sicuri
da percorrere.
IL GIUDIZIO PESSIMISTICO
SULLA NATURA UMANA
Machiavelli, come in ogni altra scienza, per formulare delle leggi di validità
universale ha bisogno di avere una piena conoscenza del fenomeno che
vuole analizzare, nel caso della politica quindi proprio dell’agire dell’uomo.

La visione di Machiavelli della natura umana è crudamente pessimistica:


infatti dichiara che gli uomini sono «ingrati, volubili, simulatori e
dissimulatori, fuggitori de’ pericoli, cupidi di guadagno» e in un capitolo
dell’opera afferma che dimenticano più facilmente la morte del padre che
la perdita del patrimonio.

Partendo da questa consapevolezza afferma che il principe dovendo agire


«in fra tanti che non sono buoni» non può sempre comportarsi come tale
perché altrimenti andrebbe contro alla rovina.

Per farsi rispettare e mantenere saldo il suo potere il principe deve essere
umano oppure feroce come una bestia nei momenti in cui le esigenze
dello stato lo impongano ed è per questo che Machiavelli paragona il
principe ad un centauro, che è appunto mezzo uomo e mezzo bestia.
LE FONDAMENTA DELLO STATO E
L’IDEOLOGIA POLITICA DELL’AUTORE
Machiavelli nella sua teoria politica afferma che uno stato per essere forte e duraturo ha bisogno di tre
istituzioni fondamentali:

1. LA RELIGIONE: che Machiavelli non indaga nella sua dimensione spirituale ma come «instrumentum
regni», in quanto è capace di obbligare i cittadini a seguire di certe norme di convivenza comune come
il rispetto e il mantenimento della parola data.

2. LE BUONE LEGGI: le leggi secondo Machiavelli sono il fondamento del vivere civile in quanto
disciplinano il comportamento dei cittadini dai loro istinti bestiali e li indirizzano a fini superiori.

3. LE MILIZIE: secondo l’autore le milizie sono il fondamento della forza dello stato e in quanto tale
dovrebbero essere categoricamente formate da liberi cittadini, in questo modo oltre ad un esercito più
forte e fedele si va ad instaurare nei soldati un genuino amore per la patria.

LA FORMA DI GOVERNO MIGLIORE PER L’AUTORE: Apparentemente leggendo il Principe si ha


l’impressione che Machiavelli sia un sostenitore dell’assolutismo, questa percezione è tuttavia erronea e si
può notare nei Discorsi sulla prima deca di Tito Livio, dove è evidente una convinta adesione dell’autore
agli ideali repubblicani.

Egli crede che in un momento così grave per l’Italia ci sia bisogno di una personalità autorevole in grado di
riportare ordine e pace, tuttavia una volta che si sia raggiunto questo scopo ritiene che la Repubblica sia il
miglior ordinamento di stato in quanto è svincolata dall’eccezionale virtù dei singoli.
LA FORTUNA
Per Machiavelli la fortuna è come una forza impetuosa regolata
dal caso che incide per metà nella vita degli uomini e può essere
o vantaggiosa o dannosa:

• L’OCCASIONE: la fortuna può essere vantaggiosa attraverso


l’occasione in quanto fornisce al principe virtuoso le
condizione per mettere in atto le sue virtù, su questo
Machiavelli fa vari esempi: cita Mosè, Teseo e Ciro dicendo
che essi non avrebbero mai potuto dimostrare le loro doti di
condottieri se non avessero trovato popoli sottomessi.

• La fortuna è poi paragonata da Machiavelli ad un fiume in


piena che se non adeguatamente arginato devasta tutto ciò
che incontra sul suo cammino.
La virtù di cui parla Macchiavelli è un complesso di varie qualità: in primo luogo la perfetta
conoscenza delle leggi dell’agire politico, ricavata sia dall’esperienza diretta sia dallo studio della

LA VIRTÙ
storia passata; in secondo luogo la capacità di applicare queste leggi ai casi concreti e particolari e
quindi quella che Machiavelli chiama «duttilità»: cioè la capacita del politico di saper variare il suo
comportamento in base alla situazione contingente.

Da questa concezione scaturisce la metafora del leone e della volpe: Machiavelli dichiara infatti che il
principe virtuoso è colui che in base ai tempi che corrono sa essere feroce e risoluto come un leone
oppure prudente e astuto come una volpe.
TRA REALISMO E UTOPIA
Nell’opera di Machiavelli è evidentissimo l’intento di applicabilità
alla realtà contemporanea come è anche evidente la
consapevolezza della gravità della crisi politica italiana; è difficile
quindi capire perché nel capitolo XXVI abbandoni tutto il suo
rigore scientifico e si dedichi ad una appassionata esortazione.
Questo non certo per incoerenza, quanto più per un fortissimo
sentimento patriottico unito alla amara consapevolezza
dell’impossibilità del suo proposito, che verrà invece recepito e
applicato pochi secoli dopo durante le guerre di indipendenza e
la successiva unificazione dell’Italia.

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