DELL’EDUCAZIONE
LINGUISTICA
E LE DINAMICHE LINGUISTICHE NEL
MONDO CONTEMPORANEO
LE DIECI TESI PER L’EDUCAZIONE
LINGUISTICA DEMOCRATICA
Esse costituiscono un testo collettivo preparato dai soci del GISCEL,
cioè Gruppo di Intervento e studio nel Campo dell’Educazione
Linguistica.
Sono state scritte nel 1975 e approvate definitivamente in una riunione
tenutasi a Roma nel 1975 alla Casa della Cultura.
Il gruppo GISCEL è nato per iniziativa di Tullio De Mauro sulla base
dell’articolo 21 dello Statuto della Società di Linguistica Italiana (SLI),
il gruppo inizia ufficialmente la sua vita il primo giugno del 1973. La
lista dei soci fondatori annovera, in ordine alfabetico: Carla Bazzanella,
Emilio D’Agostino, Tullio De Mauro, Annibale Elia, Anna Ludovico,
Caterina Marrone, Carmela Nocera, Lorenzo Renzi, Raffaele Simone.
La Società Linguistica Italiana(SLI) è la più antica associazione scientifica italiana dedicata al
plurimo e al complesso ambito delle scienze del linguaggio.
Fondata a Roma il 27 maggio 1967 da un gruppo di studiosi, italiani e stranieri: tra gli italiani, oltre a Tullio De
Mauro, suo grande promotore, vanno ricordati tra i soci fondatori, il germanista e glottologo Federico Albano
Leoni, il linguista generale Luigi Heilmann, lo storico della lingua italiana Gianfranco Folena, il linguista
generale italo-americano Mario Saltarelli, il filosofo del linguaggio e linguista generale Raffaele Simone, il
pedagogista Aldo Visalberghi; tra gli stranieri, il linguista generale francese André Martinet, il fonetista e
fonologo svedese Bertil Malmberg, il filologo romanzo svedese Hans Nilsson-Ehle, il lessicografo ceco-
americano Ladislav Zgusta. ( Linguisticamente, Emanuele Banfi)
La SLI si pose subito come qualcosa di assolutamente originale nel panorama socio-culturale
italiano grazie a due scelte essenziali:
•l’essere aperta al mondo accademico e a tutti coloro che, pur al di fuori dell’accademia, fossero
comunque interessati alle scienze del linguaggio (l’art. 5 dello Statuto recita: “Qualunque persona,
di qualsiasi nazionalità, può essere ammessa a far parte dell’Associazione”);
•l’essere pluralista cioè aperta a diverse istanze scientifiche: dalla linguistica sincronica a quella
diacronica, dalla semiologia alla psicologia, dalla medicina (le neuroscienze) alla matematica e alla
statistica, dall’antropologia alla filosofia, dalla filologia all’informatica… (allora detta “cibernetica”),
dalle scienze dell’educazione alla sociologia, dalle scienze del territorio alla geografia ecc.).
https://www.societadilinguisticaitaliana.net/
Con Le dieci Tesi, il GISCEL intese definire i presupposti teorici basilari e le linee d’intervento
dell’educazione linguistica, richiamando l’attenzione dei linguisti e degli insegnanti italiani al fine di
promuovere un’educazione democratica, come è prevista secondo la Costituzione.
Ora saranno presentati i punti principali sui quali si basano le Tesi:
1) la centralità del linguaggio verbale, il linguaggio verbale è estremamente importante inquanto
riguarda:
la padronanza ricettiva (capacità di capire), la capacità produttiva di parole e fraseggio, gli usi
comunicativi, usi euristici e cognitivi, usi emotivi e argomentativi.
È una delle forme assunte dalla capacità di comunicare, che si è denominata capacità simbolica
fondamentale o capacità semiologica( o semiotica). (Tullio de Mauro)
2) Il radicamento del linguaggio verbale nella vita biologica, emozionale, intellettuale e sociale.
Lo sviluppo delle capacità linguistiche non è estraneo allo sviluppo di tutto l’essere umano, ma affonda le
radici dalla nascita fino all’età adulta, da questo dipendono fortemente le possibilità di crescita
psicomotoria e di socializzazione, l’equilibrio dei rapporti affettivi, l’accendersi e il maturarsi di interessi
intellettuali e di partecipazione alla vita culturale e comunitaria.
Prima di tutto lo sviluppo delle capacità linguistiche dipende da un buon sviluppo organico e da una buona
alimentazione. Giocano un ruolo importante i fattori di tipo genetico e dello sviluppo dell’embrione
all’interno dell’organismo della madre. Possibili deficit intellettivi possono aggravare l’apprendimento del
linguaggio verbale, o, tutt’al più ritardarlo.
Una piccolo parenti, dei possibili deficit sono individuabili già durante i tre anni o con dei test focalizzati
durante i sette o gli otto anni. Questi limiti oggigiorno sono facilmente superabili, o comunque non
delimitanti grazie a nuove ricerche e a tecnologie avanzate. Si trovano anche online degli esercizi mirati
alla correzione di eventuali limiti di concentrazione, velocità e coordinazione.
Per quanto riguarda l’alimentazione il cervello ha bisogno di zinco, selenio e vitamine per svolgere il suo
normale funzionamento e ritardare l’invecchiamento.
Infatti, un bambino sradicato dall’ambiente native, che veda poco o niente i genitori e i Fratelli, che sia
poco e mal nutrito è normale che abbia un atteggiamento ostile verso i suoi compagni e di conseguenza
parla, legge e scrive male, poiché non ha stimoli di parlare e comportarsi bene.
Un esempio sono i molti ragazzi dei ghetti e gli zingari, i quali spesso mancano di voti in condotta.
<< Prima la Bistecca e la frutta, e dopo Saussure e le tecnologie>> (Le Tesi GISCEL, in L’educazione
linguistica democratica, Tullio de Mauro, p.269).
La terza presenta le complessità e la pluralità delle capacità linguistiche, in
quanto esistono anche capacità non facilmente evidenti, tra le quali le capacità
metalinguistiche, di verbalizzare e analizzare interiormente in parole e le varie
situazioni e di dare un senso alle parole e alle frasi che si sentono.
La quarta descrive il rapporto tra la linguistica e la Costituzione. Esistono delle
leggi che riguardano anche la linguistica: L’articolo n 3 che riconosce
l’eguaglianza di tutti i cittadini << senza distinzione di lingua>> e l’articolo 6 ( la
Repubblica tutela con apposite norme le minoranza linguistiche). Richiama la
scuola all’educazione linguistica democratica ( il quale è ritenuta a tutelare tutte
le varietà linguistiche, quindi anche i dialetti e le lingue dei ghetti).
La quinta parla della pedagogia linguistica tradizionale e quanto questa necessita
di essere superata al fine di un’educazione linguistica democratica.
La sesta descrive in maniera più esaustiva l’inefficacia della pedagogia linguistica
tradizionale, in quanto dal decennio giolittiano non è stata capace di favorire la
corretta ortografia delle masse, e anche durante il periodo in cui sono state
scritte le tesi un cittadino su tre è in condizioni di semianalfabetismo.
La settima descrive i limiti della pedagogia linguistica tradizionale:
È tesa a operare settorialmente, bada solo alla produzione scritta e non orale,
tende a concentrare l’attenzione su un solo argomento e tralascia le altra
capacità, è largamente fondata sull’utilità di insegnare analisi grammaticale e
logica ( sui paradigmi grammaticali e regole sintattiche).
Quindi trascura il fatto la realtà linguistica di partenza degli allievi, la quale è
spesso colloquiale e dialettale.
L’ottava si occupa di coordinare i tratti di un’educazione linguistica democratica in maniera
coerente (= lo sviluppo delle capacità verbali va promosso in stretto rapporto con una
corretta socializzazione, lo sviluppo e l’esercizio delle capacità linguistiche vanno
considerati come strumenti al fine di migliorare e consentire la partecipazione alla vita
sociale e intellettuale, esso va sempre motivato all’interno delle attività di studio, di
ricerca, di partecipazione e produzione individuale e di gruppo. La sollecitazione delle
capacità linguistiche deve partire dall’individuazione del retroterra linguistico e culturale
personale, famigliare e ambientale dell’allievo; la scoperta dei retroterra degli studenti
dovrebbe essere il punto di partenza dei tentativi di apprezzamento di tale diversità, solo
così si può raggiungere un equilibrio sia con gli alunni che tra gli alunni; Occorre tener
d’occhio non solo le capacitò produttive, ma anche quelle ricettive, e in queste va
sviluppato l’aspetto sia scritto sia orale; così diventa inoltre necessario addestrare alla
conoscenza dei vari usi della lingua e dei gerghi più specifici; tutto questo lavoro di
consapevolezza del linguaggio va curato fin dalle prime esperienze scolari).
La nona descrive quali sono le competenze e le conoscenze che dovrebbero acquisire gli
insegnanti, mentre la decima si limita a concludere il discorso della questione della lingua.
Tutto ciò che è stato descritto dalle dieci Tesi e
tenuto conto dai linguisti è che la nascita delle
lingue nasce in forma orale, e come alcuni di loro
si sono impegnati a dimostrare l’oralità e la
grammatica non sono sempre compatibili.
Su questo principio si basa il libro di Miriam
Voghera, Dal parlato alla grammatica
Infatti è opinione comune dire che il parlato è spontaneo, poiché in assenza di deficit, per
imparare a parlare non dobbiamo sottoporci a un programma di insegnamento formale. È
sufficiente che fin dalla nascita i piccoli della specie umana siano inseriti in scambi
comunicativi di cui diventano destinatari e produttori, indipendentemente dal loro livello di
conoscenza della lingua. Gli adulti si rivolgono ai bambini fin dalle loro prime ore di vita in
modo naturale e spontaneo, non solo come se i bambini potessero capire ciò che ascoltano,
ma interpretando le loro vocalizzazioni, gesti e movimenti come risposte intenzionali, cioè
mosse comunicative.(Voghera,2017, p.15)
Si riporta l’esempio di una conversazione tra una madre e il figlio di 3 mesi (Crystal, 1986,
p. 50), in cui la madre considera le reazioni del neonato al pari di risposte verbali
pienamente significative e intavola con lui una vera e propria conversazione.
Michael: (loud crying)
Mother: Oh my word what a noise! What a noise! (picks up Michael)
Michael: (sobs)
Mother: Oh dear, dear, dear. Didn’t anybody come to see you? Let’s have a
look at you (looks inside nappy). No you’re all right there, aren’t you?
Michael: (spluttering noises)
Mother: Well, what is it then? Are you hungry? Is that it? Is it a long time since
dinner-time?
Michael: (gurgles and smiles)
Mother (nuzzles baby): Oh yes it is, a long long time.
Michael: (cooing noise)
Mother: Yes, I know. Let’s go and get some lovely grub, then. How about
that...
Esempio ricopiato dal libro di Miriam Voghera la quale lo ha ripreso da diversi
Corpora. Di seguito viene riportata la traduzione
Michael: (singhiozzi)
Mamma: Oh caro, caro, caro. Nessuno è venuto a vederti? Adesso ti diamo una
guardata (guarda nel pannolino). No, va tutto bene, vero?
Michael: (borbotta)
Mamma: E allora? Che c’è? Hai fame? È così? È passato tanto tempo dall’ora di
cena?
Michael: (gorgoglia e sorride)
Mamma (soffiandogli il naso): Oh sì, tanto tempo.
Michael: (tubando)
Mamma: Sì, lo so. Andiamo e prendiamo qualcosina di buono da mangiare.
Che ne dici di questo...»
Checco: Quindi fammi capire.. tu sei venuto in Italia, hai assaggiato la nostra cucina e poi
hai pensato di aprire un ristorante italiano qui..
Cuoco: Sì!
Checco: E senti un po', come lo cucini questo spaghettino qui?
Cuoco: Ah facile! Prendi acqua, metti pasta, accendi fuoco ...mmh... 30 minuti!
Checco: Vaffanculo a sorate! Non si scrive l’Italia invano! Vichingo! Sei un vichingo!
È naturale quindi che per poter studiare la Grammatica Universale, così intesa, l’unica strada
possibile è rivolgersi ai parlanti, poiché sono gli unici a tenere in funzionamento del dispositivo
linguistico, e quindi a poter dare informazioni sul funzionamento della grammatica che è dentro di
loro.
I giudizi dati dai parlanti nativi sulle frasi della loro lingua madre sono considerati in ambito
generativo il test più attendibile di grammaticalità.
Gran parte della linguistica teorica è stata infatti sostanzialmente priva di qualsiasi riferimento alle
proprietà derivate dalla sostanza dei segni, dalle proprietà del canale.
Questa posizione ha avuto come conseguenza un lungo disinteresse non solo per la realizzazione fisica
dei segni (per es. la fonetica), ma anche per i processi di produzione ed elaborazione cognitiva dei
segni linguistici.
È interessante per esempio che Acquaviva (2000), nel valutare se la disomogeneità nei giudizi di
grammaticalità vadano considerate come spia dell’esistenza di competenze diverse, considera il peso
delle variabili diafasiche, diastratiche e diatopiche nei giudizi di accettabilità dei parlanti italiani
Ciò che non viene preso in considerazione è che si possano usare nelle diverse
modalità varietà di lingua diverse (o addirittura lingue diverse) e che questo
non combacia con la grammatica che si conosce: alcune frasi non paiono
scrivibili, ma paiono dicibili e viceversa o cambiano significato a seconda che
siano parlate o scritte.
La distinzione tra usi parlati e usi scritti interseca infatti quella tra usi primari e
appresi fin dalla nascita e usi appresi successivamente, per esempio a scuola.
La comunicazione linguistica è, come abbiamo già detto, primariamente orale
sia dal punto di vista funzionale sia quantitativo, De Mauro (1971).
Fin da piccoli possediamo una grammatica implicita costruita sulla base delle
nostre osservazioni e delle indicazioni, seppure non formali, degli adulti, dei
coetanei (Ferreri, 2012, dal Parlato all.Gr. di M.V., pag.27).
Alla prima indagine hanno partecipato ventuno paesi, tra cui l’Italia con il finanziamento e
l’appoggio del minister dell’Istruzione.
Alla seconda sette paesi, tra cui l’Italia, questa volta non con il sostegno del minister
dell’Istruzione, ma della Provincia autonoma di Trento e delle Regioni della Campania, Lombardia,
Piemonte e Toscana.
Le competenze/ abilità evidenziate, rispetto allo svolgimento delle prove,
producono profili di diverso livello:
1 = il più basso, che rappresenta competenze/abilità estremamente modeste e
fragili;
I Livelli 2 e 3 sono una via di mezzo, cioè la sufficienza permuoversi nel mondo
sociale
Fino ad arrivare al livello 5 che indica la piena padronanza degli alfabeti
indispensabili a garantire nelle attuali società della conoscenza, un agire efficace.
Dato che pochissime sono le persone che si trovano nei due livelli più elevati il
livello 4 e 5 sono presentati insieme 4/5.
Dalla prima indagine emergono dislivelli di competenze alfabetiche e linguistiche, cioè
di pieno possesso dell’Italiano e della lettoscrittura, tra le diverse fasce della
popolazione in misura maggiore rispetto agli altri paesi.
Quasi il 5 % della popolazione italiana adulta risultava non in grado di sottoporsi a
qualsiasi tipo di questionario scritto. Si tratta di circa due milioni di persone
completamente analfabete (tagliate fuori da ogni forma di comunicazione scritta).
Il resto della popolazione appariva distribuito in modo altamente diseguale.
Il 33% di quelli che rispondevano al questionario ( quindi che leggono un testo, leggono le
domande e provano a rispondere) si ferma al primo gradino della scala di valutazione a
5 livelli.
Questa parte della popolazione ha acquisito la strumentalità necessaria per leggere e
scrivere ma non va oltre l’esercizio del livello strumentale ( decifrano ma non leggono,
firmano ma non scrivono).
Il 33 % fa un passo in piu nella letteratura e comprensionee dei testi e raggiunge il
secondo livello della scala: sa usare la strumentalità alfabetica per fornire qualche
risposta, ma non riesce ad utilizzare quello che sa per approfondire quesiti e risposte
( cioé resta al di sotto della soglia di alfabetizzazione funzionale).
Un ulteriore 33% si ripartisce tra terzo, quarto e quinto livello:
È la parte di popolazione adulta che possiede, utilizza e sfrutta la strumentazione
alfabetica acquisita come chiave per aprirsi la via a comprendere e produrre dei
testi con gradi diversi di consapevolezza ma con sufficiente dominio degli
attrezzi.
Tutto ciò vuol dire che più di un terzo della popolazione risulta completamente
analfabeta.
La seconda indagine ALL offre variazioni in negative, legate in parte alla
maggiore meticolosità dei questionari (V. Gallina, Adult Literacy and Life Skill):
Nella comprensione dei testi in prosa il 46,1% della popolazione italiana si trova
in condizione di illetteratismo, cioè non supera il livello 1; il 35% si ferma al
livello 2: il 16,5% raggiunge il livello 3; I livelli 4 e 5 (piena letteratezza) sono
raggiunti solo dal 2,3% della popolazione italiana.
Più del 30% dei diplomati e più 20% dei laureati si collocano ai livelli 1 e 2 del
questionario, quindi tra gli analfabeti e semianalfabeti funzionali.
Visto l’indicatore negativo i ricercatori si sono impegnati in ulteriori indagini: (Indagine
ISTAT,e indagine Audipress tra il 2003 e 2007 correlato alle vendite) appare che, in misura
maggiore o minore, una parte delle persone collocate al di sotto dei livelli 1 e 2
dell’indagine ALL si impegna comunque nella lettura di quotidiani e settimanali;
Insieme ad un’altra indagine su campione ristretto ( MONDADORI-IPSOA 2007) fanno salire
intorno al 40% i lettori di almeno un libro non scolastico all’anno.
Emerge una propensione al leggere la quale è superiore al 20% prevedibile sulla base di
ALL e va oltre la limitata presenza (21,5%) di famiglie con un nucleo consistente di libri in
casa, oltre 100(ISTAT 2007).
Di tale propensione al leggere non sono partecipi il 21% dei dirigenti, imprenditori e liberi
professionisti e il 9% dei laureati (completi non lettori, nemmeno tentati di dare risposte
di prestigio).
Il rendimento scolastico di allieve e allievi è l’ambito in cui si registrano le ineguaglianze
e disparità di capacità linguistiche.
Dagli anni ‘50 in poi (da Lorenzo Milani a De Mauro) si è andato facendo evidente che sul
destino scolastico di bambini e ragazzi per quanto riguarda le loro capacità linguistiche e
matematico-scientifiche pesa in modo determinante, in Italia come in ogni altra parte del
mondo studiata, la qualità culturale degli ambienti familiari di provenienza.
Si è notato il collegamento tra il livello di istruzione dei
genitori e il rendimento dei figli
Esso mostra come la manchevole istruzione formale tra gli adulti, la manchevole qualità sostanziale
dell’istruzione tra una metà circa delle giovani leve di diplomati porta a un rapporto problematico con
l’uso della lingua italiana. (De Mauro, 2018, p.239)
C’è una frattura, dunque, celata sotto la diffusa capacità di usare
l’italiano nel parlare: il 95% della popolazione dichiara di saper
parlare italiano, ma solo una parte (fra il 30 e il 50%) dichiara di
avere rapporto con la lettura di libri e giornali e solo una parte assai
più ristretta, quella che accede ai questionari di livello 3, 4, 5,
mostra di possedere un buon possesso delle capacità di lettura e
scrittura.
(Quaderno di Italia 10, Come parlano gli italiani, de Mauro, p.146)
INDAGINI ANNI NOVANTA: le dimensioni
linguistiche della diseguaglianza
Secondo ulteriori indagini ISTAT e l’indagine IEA affiancano alle risposte alle domande << a casa parli
italiano?>> i punteggi medi nelle prove di comprensione:
(De Mauro, 2018, p.238)
Mezzo secolo fa il 59,2% della popolazione di oltre 14 anni era privo di ogni titolo scolastico (persino della licenza elementare) secondo l’Istat
sul totale della popolazione.
Se si ignora questo dato, come purtroppo spesso avviene, non si è in grado di intendere che la scuola italiana nei decenni di vita repubblicana e
democratica ha fatto un lavoro enorme per sottrarre il paese a questa condizione di descolarizzazione, retaggio di secoli di arretratezza.
Già negli anni novanta quei quasi due terzi di popolazione senza scuola degli anni cinquanta erano ridotti a pochi punti percentuali. Questo lo si
deve alla scuola e il fatto che le fasce giovani della popolazione hanno conquistato livelli di scolarità tre volte superiori a quelli delle generazioni
anziane.
I figli e nipoti dei senza scuola di ieri hanno conquistato tutti fin dagli anni ottanta la licenza elementare, quasi tutti negli anni novanta la licenza
media dell’obbligo e nei primi anni duemila giungono per il 75% a conquistare il diploma negli esami di stato al termine delle scuole secondarie.
nei recenti dati Istat tra i giovani sotto i 25 anni si va sviluppando una qualche familiarità con le lingue straniere, inglese, francese, poi, in misura
purtroppo assai più modesta, spagnolo e tedesco e infine, in percentuali assai più ridotte , russo e arabo. Troppo poco per le esigenze di una
società europea moderna, specie se entro la familiarità si ricercano i dati relativi a una buona comprensione e produzione del parlato e a una
buona competenza dell’uso scritto.
Anche questi dati dai primi anni novanta al 2000 appaiono in crescita, ma non si va per ora oltre il quinto della popolazione. Tre quinti sono
ancora solo orecchianti di una lingua straniera.
Un altro quinto non giunge neanche a questo. Il lavoro da fare resta enorme. Ma la generazione più
giovane ha una funzione guida anche in questo processo, decisivo per la buona salute linguistica di
un paese europeo moderno.
I progressi compiuti nei livelli di scolarizzazione sono stati dunque enormi.
Le eredità del passato e la mancanza di un sistema di educazione degli adulti fanno sì che ancora
nel 2000 quasi il 50% della popolazione adulta sia privo di licenza media dell’obbligo o titoli
superiori.
Per metà della popolazione la licenza elementare è il tetto dell’istruzione. In quanto la società
italiana è stata una società contadina, statica, e per raggiungere questo tetto dava ai privilegiati
che vi arrivavano un sufficiente grado di controllo del loro mondo culturale e degli stessi idiomi in
presenza. Oggi, in una società postindustriale, mobile, aver raggiunto soltanto ciò è insufficiente.
Il corretto uso dei dialetti e dell’italiano è
connesso a questo sviluppo dell’istruzione
favorito dal miglioramento dell’istruzione
dagli anni ‘70 in poi.
Così la scuola ha reagito in due modi: si è trasformata da luogo specifico di attivazione delle
conoscenze a luogo in cui si diffondono e difendono conoscenze sedentarie (è il caso della
grammatica tradizionale, considerando i testi più adottati nelle scuole medie e biennio delle
superiori)
La seconda è stata invece la tendenza della 'rincorsa delle novità’, in maniera fiduciarie con il
risultato di gettare via tutto.
Questo ha portato a un progressive annichilimento del mestiere dell’insegnante che si è visto
superato da mezzi superiori alle sue possibilità.
Rispetto a questo stato di cose si sono fatte strada nuovi tipi di pedagogia, descritte attraverso gli
aggettivi <<globale e costruttivista>>.
Questo punto di vista presuppone il necessario cambiamento di fondo della figura dell’insegnante:
l'insegnante non lo è più nel senso tradizionale del termine:
È una nuova figura professionale che si sta designando man mano che cambiano le situazioni di
riferimento. Si pensi al ruolo del giornale - se escludiamo piccoli fatti di cronaca molto locale - non è
più quello di informare, perché a informare ci pensa già la tv; è bensì quello di commentare, valutare,
approfondire quanto «si sa già».
È probabile che qualcosa di analogo stia avvenendo a scuola e nell'ambito delle didattiche. (Dario
Corno, cit. Italiano e oltre)
Così considerati, Internet e il Web sono semplicemente l'evoluzione del telegrafo. L'osservazione è stata
fatta a suo tempo dal massmediologo Harold Winnis (nel 1951) quando osservò che i due principali
mezzi di comunicazione per gli Stati Uniti d'America sono stati il treno e il telegrafo.
Come le ferrovie prima e le autostrade poi, il telegrafo e ora Internet giocano un ruolo
enorme nel rendere 'trasportabili' i pensieri e le conoscenze al punto da rendere immateriali
e secondari persino gli stessi oggetti (si pensi al successo di «agente commerciale» di
Internet).
il «messaggio» trasferito via Rete è sempre in qualche misura soggettivo, porta cioè con sé
il confezionatore che l'ha costruito, con tutto il peso delle sue scelte di comunicazione.
In più, dato che la Rete è gigantesca ed enciclopedicamente vivacissima, questo ha
permesso al confezionatore di collegare i discorsi in maniera sempre meno rispettosa dei
tradizionali confini «di genere», fino a farli affluire in un agglomerato discorsivo dai
confini incerti, ma che reca la cifra della soggettività.
Come ha scritto Guido Ferraro, siamo in presenza di un «agglomerato di discorsi non più
pienamente separabili, costruiti per moduli che si aggiungono e si combinano, ove ogni
intervento riprende e reinterpreta il discorso degli altri, e ogni testo da leggere è il testo che
noi costruiamo a partire da una nostra personale ricomposizione di questo tessuto già
segnato dal passaggio di tanti» (Ferraro, 1999).
(notizie prese da Italiano e Oltre, Dario Corno, p.76)
Da queste considerazioni si possono distinguere
gli scopi della Televisione da quelli del Web
SITOGRAFIA:
Società linguistica italiana (SLI): https://www.societadilinguisticaitaliana.net/
Wikipedia, Jack Goody: https://it.wikipedia.org/wiki/Jack_Goody