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Anthony Ashley Cooper (1671-1713)

terzo conte di Shaftesbury


An Inquiry Concerning Virtue or Merit, in two Discourses, 1699.
A Letter Concerning Enthusiasm, 1708.
The Moralists, a Philosophical Rhapsody, 1709

Nell’uomo viene individuato un senso specifico che, distinto dai sensi esterni e chiamato
anche senso comune o sentimento interiore, permette di cogliere in modo spontaneo
l’armonia del tutto (uniformità nella varietà; universo come opera d’arte);
Armonia = bellezza; a un tempo immagine del vero e del bene; «Beauty and good are still
one and the same»
Il senso interno coglie il bello come si colgono le «idee» platoniche [il bello è oggettivo];
anticipa la ragione (non la contraddice)
Non c’è (ancora) l’individuazione di una facoltà mentale specifica e autonoma per il bello.
Anthony Ashley Cooper II
Senso interno, immediato, innato, prerazionale, comune a tutti gli uomini
«Lo spirito che contempla e ascolta altri spiriti non può essere privo d’occhio e
d’orecchio, sì da non discernere le proporzioni, distinguere i suoni, vagliare ogni
sentimento o pensiero che gli si presenti. Nulla esso lascia sfuggire al suo esame.
Sente negli affetti il soffice e il rude, il gradevole e lo sgradevole; trova l’uno turpe e
l’altro nobile, l’uno armonioso e l’altro stridente, allo stesso modo che le note
musicali e le forme esteriori e le rappresentazioni delle cose sensibili. Né può
trattenere la sua ammirazione estetica o la sua disdegnosa avversione verso gli uni o
gli altri di questi oggetti. Sicché negare il senso comune e naturale di ciò che nelle
cose è bello [...], apparirà, a chi consideri debitamente la cosa, una pura affettazione»
(Saggio sulla virtù e il merito, 1699)
Tesi approfondite nei Moralists: anima del mondo e artista (genio) come colui che,
nell’opera, allunga il potere formativo della natura
Il senso interno [gusto] come facoltà a sé
Francis Hutcheson (1694-1746)
Orientamento di carattere empirista; salda l’assiologia di Shaftesbury
con la gnoseologia di Locke [no innatismo; idee – coscienti / avere
idee = esserne coscienti – sensazione e riflessione; semplici e
complesse; conoscere = stabilire le relazioni di concordanza o
discordanza tra le idee]
Descrive senso interno (gusto) sul modello dei sensi esterni, come
specifica facoltà mentale, innata e indipendente dalla nostra volontà,
che coglie i valori estetici delle cose
Ricerca sull’origine delle nostre idee della bellezza e della virtù (1725)
Francis Hutcheson I

«Non sembra che ci sia alcun fondamento per pensare una diversità nelle
menti umane, tale che la stessa idea o percezione dia piacere ad uno e dolore
ad un altro, o alla stessa persona in tempi diversi, per non dire che sembra
una contraddizione che la stessa idea possa fare ciò» (Ricerca)
Quindi: se due persone affermano che lo stesso oggetto è per l’una piacevole
e per l’altra spiacevole, allora
O hanno ricevuto idee diverse di quell’oggetto per un’alterazione dei loro
organi di senso
Oppure le idee semplici sono identiche ma a esse hanno aggiunto idee
diverse (idee complesse).
Se non esistono altri impedimenti, la connessione tra un’idea semplice x e la
sensazione di piacere che ne deriva è costante e necessaria e vale per tutti
Francis Hutcheson II
Piaceri semplici / Piaceri complessi (superiori; es. singola nota / musica)
Il risultato è più della somma degli addendi: la bellezza (uniformità nella
varietà) è un piacere complesso
Il sentimento del bello (= uniformità nella varietà) non è riducibile alle
semplici percezioni rese possibili dai cinque sensi esterni
- presuppone l’esistenza di un senso interno in quanto capacità (power)
di cogliere la bellezza, cioè tutte le idee di quegli oggetti che hanno la
proprietà di suscitare il sentimento dell’uniformità nella varietà
definito da Hutcheson anche come genio (genius) o gusto (taste).
Tale sentimento di uniformità nella varietà (= senso del bello) non ha
nulla a che fare con la conoscenza e l’utile (= ci piacciono anche forme
animali di cui non sappiamo nulla)
Francis Hutcheson III
«Internal sense»: «il nostro potere di percepire la bellezza della regolarità,
dell’ordine, dell’armonia»
«Il senso interno è un potere passivo di ricevere idee di bellezza da tutti gli
oggetti in cui c’è uniformità nella varietà»: a differenza di Shaftesbury, non è
più l’organo attivo di principi innati, ma in analogia con in sensi esterni
diventa la facoltà di ricezione passiva di idee

Se la bellezza di un oggetto non può essere percepita, questo non può essere
chiamato bello, pur possedendo realmente uniformità nella varietà: il senso
del bello non è conoscenza (es. chiliagono)
Francis Hutcheson IV
«Si noti che per bellezza assoluta od originale non si intende alcuna
qualità supposta essere nell’oggetto che sarebbe in se stesso bello, senza
relazione con alcuna mente che lo percepisca.
Perché bellezza, come gli altri nomi di idee sensibili, denota
propriamente la percezione di qualche mente; così freddo, caldo, dolce,
amaro, denotano le sensazioni nelle nostre menti, di cui forse non c’è
somiglianza (resemblance) negli oggetti che producono queste idee in
noi, per quanto generalmente si immagini che c’è qualcosa negli oggetti
esattamente simile (like) alle nostre percezioni» (Hutcheson, Inquiry, I,
16)
È soggettiva ma si radica nella struttura formale uni-varia dell’oggetto
Il «decennio» del gusto
1755: la Edinburgh Society bandisce un concorso per il migliore saggio
sull’argomento «taste» e il premio è assegnato ad Alexander Gerard
con Essay on Taste
1755: escono le Letters Concerning Taste di John Gilbert Cooper
1757: esce Of the Standard of Taste di David Hume
1759: seconda edizione della Enquiry di Burke, introduzione intitolata
On Taste
1762: escono gli Elements of Criticisms di Henry Home
David Hume (1711-1776)

• 1739-1740: Trattato sulla natura


umana
• 1741-42: Saggi morali e politici
• 1748: Ricerca sull’intelletto umano
• 1751: Ricerca sui principi della morale
• 1753: Saggi su diversi argomenti
• 1757: Cinque dissertazioni, tra cui
quella sulla tragedia e Sulla regola del
gusto
• 1779: Dialoghi sulla religione naturale
La scienza della natura umana
«È impossibile prevedere quali mutamenti e progressi noi potremmo
fare [nelle scienze] se conoscessimo a fondo la portata e la forza
dell’intelletto umano, e se potessimo spiegare la natura delle idee di cui
ci serviamo e delle operazioni che compiamo nei nostri ragionamenti
[…]
Il solo mezzo per ottenere dalle nostre ricerche filosofiche l’esito
sperato è di abbandonare il tedioso, estenuante metodo tenuto sino a
oggi: e invece d’impadronirci, di tanto in tanto, d’un castello o d’un
villaggio alla frontiera, muovere direttamente alla capitale, al centro di
queste scienze, ossia alla stessa natura umana […]
E come la scienza dell’uomo è la sola base solida per le altre scienze,
così la sola base solida per la scienza dell’uomo deve essere
l’esperienza» (Trattato, Introduzione)
Percezioni impressioni idee
«Tutte le percezioni della mente umana si possono dividere in due classi, che
chiamerò impressioni e idee. La differenza tra esse consiste nel grado diverso di forza
e vivacità con cui colpiscono la nostra mente e penetrano nel pensiero o nella
coscienza» (Trattato, I, I)
Impressioni: si presentano «con maggior forza e violenza»; sensazioni, passioni ed
emozioni;
Idee: «immagini illanguidite delle impressioni, sia nel pensare sia nel ragionare: ad
esempio le percezioni suscitate dal presente discorso»
Sentire e pensare
Idee semplici e complesse: associazione (per somiglianza, contiguità, causalità) e
abitudine
«Decostruzione» del principio di causalità
La sola realtà di cui siamo certi è quella delle percezioni: né realtà esterne, né interne
Il problema di una «regola del gusto» I
«La grande varietà dei gusti e delle opinioni che si ritrova nel
mondo è troppo evidente»
«Il merito di chi enuncia veri precetti generali di etica è, in
verità, assai modesto. Chi raccomanda le virtù morali, in realtà
non fa altro che illustrare ciò che è implicito nei termini stessi»
infallibilità del sentimento (riferito solo a sé stesso) e fallibilità
del giudizio
«La bellezza non è una qualità delle cose: essa esiste solo nella
mente che le contempla, e ogni mente percepisce una diversa
bellezza»
Il problema di una «regola del gusto» II
«È naturale che noi si cerchi una regola del gusto, una regola mediante la
quale possano venire armonizzati i vari sentimenti umani, o almeno una
decisione che, una volta espressa, confermi un sentimento e ne condanni un
altro» (RG, 14)
A. Auto-obiezione: Non è naturale! Tutti i gusti sono legittimi;
distinguerli (secondo una «regola») equivale a errare [pdp]
B. Auto-contro obiezione: una regola del gusto – cioè alcuni gusti
ritenuti legittimi, altri meno – è già in atto (da lungo tempo)! Lo testimonia
la fama duratura di certe opere
Dunque: ricerca legittima («naturale») di una regola del gusto
Tale regola del gusto è: «la sentenza concorde dei critici ideali»
L’infallibilità del pubblico
Du Bos: «tutti coloro che giudicano con il sentimento [...] si trovano
d’accordo prima o poi sull’effetto e sul merito di un’opera». Se l’accordo non
è immediato, è solo perché «quando gli uomini discutono di un poema o di
un quadro, non si limitano sempre a dire quello che sentono e a riferire
l’impressione che ne hanno. Invece di parlare semplicemente e secondo
quanto hanno appreso [...] vogliono decidere per principio»
Hume: «Le giuste espressioni della passione e della natura sono sicure, dopo
un certo tempo, di conquistare la pubblica approvazione, che conserveranno
per sempre. Aristotele e Platone e Epicuro e Descartes possono
successivamente cedere il campo l’un l’altro: ma Terenzio e Virgilio
mantengono un dominio indiscusso e universale sugli spiriti degli uomini. La
filosofia astratta di Cicerone ha perduto il suo credito: la veemenza della sua
oratoria è ancora oggetto della nostra ammirazione» (RG, 27)
Le regole I
«Si vede dunque che, nonostante tutta la varietà e i capricci del gusto, vi
sono certi principi generali di approvazione o di biasimo la cui influenza
può esser notato da uno sguardo attento in tutte le operazioni dello
spirito.
Partendo dalla struttura originale della fabbrica interiore, si può calcolare
che certe forme o qualità piaceranno e che altre dispiaceranno… »

1. Sanità dei sensi (a un uomo con la febbre non si consentirebbe di


giudicar di bellezza)
2. Delicatezza dei sensi: «delicatezza dell’immaginazione necessaria
per poter essere sensibili [alle] emozioni più sottili»
Le regole II
«Quando gli organi sono così fini da far sì che nulla sfugga loro, e al
tempo stesso sono così esatti da percepire tutti gli elementi del
composto, chiamiamo ciò delicatezza del gusto, sia in senso letterale sia
in senso metaforico» (RG, 21)

3. Pratica «Ma, benché vi sia per natura una grande differenza fra una
persona e l’altra riguardo alla delicatezza, nulla può accrescere e
perfezionare questo talento più della pratica in un’arte particolare e la
frequente osservazione e contemplazione di una specie particolare di
bellezza» [dall’oscuro e confuso al chiaro e distinto]
Le regole III
PRATICA COMPARATIVA: «è impossibile avere un’assidua dimestichezza
con la contemplazione di qualche tipo di bellezza senza esser spesso
costretti a fare confronti tra le diverse specie e i diversi gradi di bellezza
e stimarne la relativa proporzione. Per questo un uomo che non abbia
avuto l’opportunità di confrontare i diversi generi di bellezza è del tutto
inadatto a esprimere un giudizio rispetto a qualsiasi oggetto gli si
presenti.
Soltanto con il confronto noi fissiamo gli attributi della stima e del
biasimo e impariamo come assegnarli nella misura dovuta» (RG, 22)
Le regole IV
4. Assenza di pregiudizio
«Ma affinché un critico possa adempiere a questo compito nel modo più
pieno, è necessario che tenga la sua mente libera da ogni pregiudizio, e che
eviti di prendere in considerazione qualcosa di estraneo all’oggetto stesso che
è sottoposto al suo esame»
a. Porsi dal pdv che in cui l’autore ha operato e che l’opera richiede
(pubblico)
b. Fine o scopo per il quale l’opera è stata creata
c. Identificarsi con quel pubblico prescindendo da ogni nostro
condizionamento ideologico o di costume
[buon senso e intelletto]
Il vero giudice del gusto è assai raro
«Sebbene i principi del gusto siano universali e all’incirca, anche se non del
tutto, gli stessi in tutti gli uomini, pochi sono qualificati a pronunciare un
giudizio su qualsiasi opera d’arte o a far valere il loro sentimento personale
come regola della bellezza» (RG, 25)
[U]n vero giudice delle arti più belle è figura molto rara, anche nelle
epoche di maggiore civiltà. Soltanto un forte buon senso, unito a un
sentimento squisito, accresciuto dalla pratica, perfezionato
dall’abitudine ai confronti e liberato da tutti i pregiudizi, può conferire
ai critici questa preziosa qualità; e la sentenza concorde di questi,
ovunque si trovino, è la vera regola del gusto e della bellezza» (RG, 26)
Ma come riconoscere questi pochi? Per quali segni? Come riconoscerli da
coloro che pretendono di essere veri critici e non lo sono? «Solidità del loro
intelletto», «superiorità delle loro facoltà», «ascendente»
Due fonti di diversità
- Diversi umori dei singoli individui
- Particolari costumi e particolari opinioni del nostro tempo e del nostro
paese
«I principi generali del gusto sono uniformi nella natura umana […] Ma
quando nella struttura interna o nella situazione esterna vi è una tale
diversità che nessuno dei due gusti presta il fianco alla riprovazione, né si
può dar la preferenza all’uno piuttosto che all’altro, in tal caso è
inevitabile un certo grado di differenza di giudizio, e noi cercheremmo
invano una regola con cui conciliare i sentimenti contrari» (RG, 28)
[es. età; disposizioni e inclinazioni personali, che tuttavia non sono gusto]
Le regole V
«Una persona colta e riflessiva può tenere nel debito conto
queste particolarità dei costumi, ma un pubblico comune non
può mai spogliarsi delle sue idee e dei suoi sentimenti abituali
sino al punto di apprezzare descrizioni che non riflettono in
nulla il suo ambiente» (RG, 30)

5. Guardare al giudizio di una élite di esperti


Non c’è un gusto uguale per tutti

«Il gusto non è lo stesso in tutti gli individui [= NON: ogni


uomo ha gusti diversi dall’altro, MA: certi gusti sono migliori
di altri) e […] in generale vi sono alcuni uomini che, sebbene
sia difficile individuarli, devono esser riconosciuti per
consenso unanime come superiori agli altri» (RG, 27)
Jerrold Levinson, Hume's Standard of Taste: The
Real Problem (2002, JAAC) II
«Perché si dovrebbe esser toccati dal fatto che determinati oggetti
godono dell’approvazione o del favore dei critici ideali, se non si è uno
di loro? […] Che motivo abbiamo di diventare critici ideali se non lo
siamo? […]
Perché una persona non classificabile come critico ideale dovrebbe
ragionevolmente cercare, per quanto possibile, di scambiare l’insieme
di oggetti artistici che suscitano il suo consenso e il suo godimento con
qualche altro insieme che è approvato da un tipo di persona che lui non
è?» (tr.it. 168-169)
Jerrold Levinson, Hume's Standard of Taste: The
Real Problem (2002, JAAC) II
«Perché, dopo tutto, dovremmo spendere parte del nostro tempo
libero con Shakespeare, Flaubert, Tiziano, Welles o Beethoven,
come i critici ideali nelle rispettive forme d’arte ci invitano
chiaramente a fare?
Perché non spenderlo tutto, ad esempio, nel fare un po’ di
windsurf o di motociclismo, nel crescere i figli, nell’immergersi
nella natura, nel fare opere buone, nel praticare lo yoga, nel girare
l’Europa, nell’esplorare la cucina asiatica, o nell’imparare a
padroneggiare la prova di Gödel? Queste sono infatti tutte cose
provatamente buone. Cosa c’è di così speciale, quindi, nell’arte?»
(tr.it. 179)
[Delicatezza della passione e delicatezza del
gusto]
Delicatezza della passione: condizione che rende certi uomini
«estremamente sensibili a tutte le contingenze della vita e che procura
loro una viva gioia per ogni avvenimento felice, e un dolore altrettanto
intenso quando si imbattono in avversità e sventure»
Delicatezza del gusto: «sensibilità alla bellezza e alla bruttezza»

CATARSI, o ridimensionamento, della delicatezza della passione per


mezzo della (pratica della) delicatezza del gusto
Interiorizzazione del principio di autorità
Henry Home Lord Kames, Elements of Criticism (1762)
Senso comune «di natura» unico per tutti gli uomini: ma in che modo
riconoscerlo dai «falsi» criteri storici?
Lo standard non è definito da una «classe» di critici bensì da una classe
di gentiluomini, appartenenti alle «polite nations of the world», che - in
quanto esentati d quel «lavoro fisico» che alla maggior parte degli
esseri umani è necessario per procurarsi il cibo ma li rende
«inqualificati» a esprimersi in materia di gusto, hanno tutto l’agio, il
tempo libero e la ricchezza per coltivare le belle arti, e dunque sono gli
unici davvero autorizzati a decidere che cosa sia il gusto.
Sentimento e giudizio I
«Non inferiamo che una qualità sia virtuosa perché ci piace: ma
nel sentire che ci piace in un certo modo particolare, sentiamo
che in effetti è virtuosa. Ciò accade anche nei nostri giudizi su
ogni genere di bellezza, gusti e sensazioni. La nostra
approvazione è implicita nel piacere immediato che tutte queste
cose ci danno»
Trattato sulla natura umana (A Treatise of Human Nature: Being
an Attempt to introduce the experimental Method of Reasoning
into Moral Subjects) 1739-1740 (Laterza, Roma-Bari 1982, II, p.
498 (Lib. III, Parte I, Sez. II)
Sentimento e giudizio II
Hume identifica l’unica forma possibile di standard of taste con il fine
taste, con il taste educato;
per Hume il gusto in quanto sensibilità è incerto e relativo; solo il buon
gusto è stabile e certo; e lo è in quanto è un sentimento che si fa simile
a una conoscenza (chiara e distinta) e si «sottomette» alla conoscenza
(buon senso, giudizio)
Benché Hume non neghi la «comunanza» della struttura corporea [che
tuttavia non argomenta], il gusto o senso comune – come consensus
gentium – non è un dato naturale ma un dato storico. Questo è tra gli
elementi più importanti della discussione humiana sul gusto
Sentimento e giudizio III
Cfr. Thomas Reid, Inquiry into the Human Mind (1764): ogni
percezione implica di per sé un atto di giudizio; «Nella
percezione della bellezza[…] non c’è soltanto una sensazione di
piacere ma un vero e proprio giudizio concernente la
perfezione dell’oggetto»
Essay on the intellectural powers of the Mind (1785): «Quando
si qualifica bello un componimento poetico o un edificio, si
afferma qualcosa di quel componimento e di quell’edificio, e
ogni affermazione o negazione esprime un giudizio» (un
giudizio che asserisce o nega una qualità reale dell’oggetto)

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