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Evoluzione
Tra coloro che credevano in una creazione divina c’era Carlo Linneo, al quale si deve il
sistema binomiale di classificazione dei viventi usato tutt’oggi.
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Evoluzione: la teoria delle catastrofi
L’esistenza dei fossili contraddice però le idee del fissismo… i fossili appartengono infatti a specie ormai
estinte, quindi le specie possono mutare!
Per spiegare l’esistenza dei fossili, intervenne allora Georges Cuvier (1769-1832), uno scienziato francese
considerato il fondatore della paleontologia (lo studio dei fossili), che avanzò la cosiddetta teoria delle
catastrofi naturali: durante la storia della terra si sarebbero verificati alcuni eventi di carattere violento
ed eccezionale, delle catastrofi appunto, che avrebbero portato all’estinzione di un gran numero di
specie. Le specie estinte sarebbero state rimpiazzate dalla creazione, sempre per intervento divino, di
nuove specie, oppure dalla migrazione di specie provenienti da zone non interessate dalla catastrofe.
Cuvier era un fiero antievoluzionista e convintamente fissista… ma Darwin utilizzò i suoi dati sperimentali
come prove a favore della teoria evoluzionistica!
La teoria delle catastrofi è oggi ampiamente superata, ma è vero che eventi catastrofici hanno
influenzato in modo significativo la storia della Terra.
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Evoluzione: la teoria delle catastrofi
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Evoluzione: la teoria dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti
Per Lamarck (1744-1829), che fu il primo evoluzionista dichiarato nella storia della biologia, l’evoluzione
funziona per trasmissione dei caratteri acquisiti, per cui i caratteri acquisiti da un organismo durante la
sua vita possono essere trasmessi alle generazioni successive (cioè alla progenie): nelle giraffe, il costante
sforzo di raggiungere le foglie sui rami più alti degli alberi avrebbe causato in questi animali un
allungamento del collo, caratteristica che poi avrebbero passato alle generazioni successive. E’ una teoria
che non sta in piedi, però ha un’idea di fondo tuttora valida: l’ambiente genera una pressione sugli
organismi.
Secondo Lamarck, inoltre, un organo si sviluppa tanto più viene utilizzato dall’organismo, regredisce
invece se non viene utilizzato (teoria dell’uso e del disuso). Questa teoria sembra essere oggi assai
ingenua, ma all’epoca non si sapeva nulla di geni, cromosomi, meiosi, DNA…
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Evoluzione: la teoria dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti
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Charles Darwin (1809-1882)
• Intraprese, senza successo, gli studi in medicina. Analogo esito ebbe la carriera ecclesiastica.
• Nel frattempo, venne in contatto con i più famosi naturalisti della sua epoca.
• 1831: si imbarcò a bordo della nave Beagle, partendo per un viaggio intorno al mondo durato alcuni
anni. Nelle Galapagos, isole vulcaniche, notò che in ogni isola erano presenti tartarughe e uccelli
diversi per forma e aspetto.
• 1859: pubblicò «L’Origine delle Specie». Darwin aveva già elaborato da decenni la sua teoria
dell’evoluzione quando venne pubblicato il libro, ma aspettò a renderla nota al fine di raccogliere più
osservazioni sperimentali possibili, in modo da dare solidità alla sua teoria. Fu «costretto» a
pubblicare il libro quando Wallace arrivò a conclusioni analoghe alle sue: se avesse aspettato
ulteriormente a pubblicare il testo, avrebbe perso la paternità della scoperta.
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Charles Darwin (1809-1882)
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I fringuelli di Darwin
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I fringuelli di Darwin
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Charles Darwin (1809-1882)
Dopo qualche anno dal ritorno dal suo viaggio a bordo del Beagle, Darwin si ritirò con la
moglie in una casa di campagna (Down House) a circa 30 km da Londra. Qui si dedicò alla
botanica, raccogliendo in tal modo ulteriori osservazioni utili alla sua teoria dell’evoluzione
per selezione naturale.
Oggi la casa è visitabile.
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Darwin: l’evoluzione per SELEZIONE NATURALE
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Biografia di Darwin
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I 5 punti cardine della teoria di Darwin: 1) Variabilità
Tutti gli organismi di una stessa specie presentano una variabilità innata, ossia sono simili ma
non identici. Le variazioni innate, dovute puramente al caso e preesistenti all’azione
dell’ambiente, possono essere più o meno vantaggiose per la sopravvivenza.
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I 5 punti cardine della teoria di Darwin: 2) Sovrabbondanza della prole
La maggior parte delle specie producono un numero di figli molto superiore a quello
sostenibile dalle risorse naturali disponibili. Gran parte dei figli muoiono prima di raggiungere
l’età adulta e si osserva che le dimensioni delle popolazioni tendono a rimanere abbastanza
costanti nel tempo.
Alcuni pesci, per esempio, producono fino a qualche milione di uova in un anno. Solamente
una frazione minima di queste darà origine ad organismi adulti.
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I 5 punti cardine della teoria di Darwin: 3) Competizione per le risorse
Dato che le risorse sono limitate, gli individui di una stessa specie o di specie diverse entrano
in competizione tra loro per accaparrarsele. Si instaura quindi una lotta per l’esistenza.
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I 5 punti cardine della teoria di Darwin: 4) La selezione naturale
Chi vince in questa lotta? Gli individui con le caratteristiche innate più adatte all'ambiente IN UN CERTO
MOMENTO hanno maggiori possibilità di avere dei discendenti ai quali trasmettono le loro
caratteristiche. Questa è la selezione naturale.
Qui risiede la differenza tra Darwin e Lamarck: per Lamarck l’evoluzione avviene in conseguenza di uno
sforzo dell’individuo di adattarsi all’ambiente, per Darwin invece gli individui nascono per caso con
caratteristiche diverse, alcune vantaggiose e altre meno. Quelli con le caratteristiche vantaggiose hanno
un vantaggio nella lotta per l’esistenza, vengono selezionati e possono trasmettere le loro caratteristiche
ai discendenti. In tale ottica, è quindi fondamentale la capacità di un organismo di riuscire a riprodursi.
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I 5 punti cardine della teoria di Darwin: 4) La selezione naturale
… Ma la selezione può essere anche artificiale! Essa crea nuove «razze», producendo dei fenotipi
desiderati.
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I 5 punti cardine della teoria di Darwin: 4) La selezione naturale
Un altro esempio di selezione artificiale riguarda i piccioni. Negli anni, gli allevatori hanno
ottenuto piccioni con diversi fenotipi, selezionando di volta in volta quelli «desiderabili».
Possiamo quindi dire che la selezione artificiale «mima» quella naturale.
Peraltro, lo stesso Darwin allevava piccioni…
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I 5 punti cardine della teoria di Darwin: 5) L’evoluzione
Le caratteristiche selezionate dall’ambiente a poco a poco si accumulano, fino al punto che gli
individui che le hanno accumulate sono talmente diversi dagli individui di partenza da dover
essere considerati una nuova specie. È avvenuta l’evoluzione.
Attenzione: l’evoluzione non riguarda mai un singolo individuo, ma la specie!
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Prove che testimoniano la microevoluzione: la falena delle betulle
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Prove che testimoniano la microevoluzione: la falena delle betulle
Un caso di processo evolutivo osservato direttamente è quello della farfalla punteggiata delle betulle, il cui
nome scientifico è Biston betularia. Questa farfalla notturna, o falena, era ben nota ai naturalisti inglesi del
diciannovesimo secolo, i quali avevano notato che si posava di solito sui tronchi ricoperti da licheni; su tale
sfondo, la colorazione chiara di queste falene le rende quasi invisibili. Fino al 1845 tutti gli esemplari
osservati di Biston betularia erano di colore chiaro, ma in quell’anno, nel nuovo centro industriale di
Manchester, venne catturata una falena di questa specie di colore scuro.
Con la crescente industrializzazione dell’Inghilterra, le particelle di fuliggine cominciarono a coprire le piante
nelle vicinanze delle cittadine industriali, uccidendo i licheni e lasciando nudi i tronchi degli alberi. Nelle
regioni fortemente inquinate, i tronchi un po’ alla volta diventarono neri e, di conseguenza, diventarono
sempre più rare le falene chiare. La sostituzione delle falene chiare con quelle nere procedette a grande
velocità: a partire dal 1850 si trovavano solo poche falene chiare lontane dai centri industriali.
Ma come erano comparse le falene nere? Alla fine venne dimostrato che il colore nero era presente nella
popolazione come una variazione naturale. Le falene nere erano sempre state presenti, ma in proporzioni
minori. Ma perché allora il loro numero era aumentato così drasticamente? Alla fine degli anni cinquanta
H.B.D. Kettlewell, medico e collezionista dilettante di falene e di farfalle, ipotizzò che le falene che si
potevano mimetizzare meglio grazie al colore delle loro ali sfuggivano più facilmente agli uccelli insettivori.
In seguito, quando in Inghilterra vennero introdotti rigidi controlli sulle emissioni di particelle di fumo, il
forte inquinamento da fuliggine cominciò a diminuire e la percentuale di farfalle chiare rispetto a quelle
scure riprese ad aumentare, insieme con la ricomparsa di lichene sui tronchi degli alberi.
L’esempio di Biston betularia è un’ulteriore prova dell’opera selezionatrice dell’ambiente, che tende sempre
a favorire la sopravvivenza e la riproduzione degli organismi più forti o meglio integrati nel loro habitat
rispetto ad altri la cui linea evolutiva può, pertanto, andare talvolta incontro a estinzione.
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Prove che testimoniano la microevoluzione: la falena delle betulle
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Prove che testimoniano la microevoluzione: la resistenza agli insetticidi
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Prove che testimoniano la microevoluzione: la resistenza agli antibiotici
Un esempio più recente di selezione naturale riguarda lo sviluppo della resistenza ai farmaci
da parte di certi batteri. Dopo un periodo di rapida affermazione degli antibiotici alla fine
della Seconda guerra mondiale, molti batteri hanno cominciato a diventare resistenti a questi
farmaci. Cosa ha causato questa resistenza?
Mediante una serie di esperimenti si è visto, per esempio, che alcuni ceppi batterici sono
diventati resistenti alla penicillina. Come era avvenuto per le farfalle Biston betularia e per gli
insetti resistenti al DDT, questi batteri hanno accumulato variazioni genetiche, dovute a
mutazioni avvenute per caso nella popolazione iniziale, che si sono rivelate vantaggiose e
quindi sono state selezionate dall’ambiente. Per questo un antibiotico deve essere usato
sempre sotto controllo medico e per il tempo strettamente necessario.
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Prove che testimoniano la microevoluzione: la resistenza agli antibiotici
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Prove che testimoniano la macroevoluzione: 1) Il numero delle specie
Oggigiorno si pensa che il numero di specie animali e vegetali si attesti attorno agli 8 milioni.
Se poi si aggiungono le specie batteriche, allora questo numero schizza a miliardi di miliardi.
Questo numero straordinariamente grande di specie rende inverosimile pensare che
ciascuna di esse sia stata creata individualmente, ma è più plausibile pensare che esse siano
il risultato dell’evoluzione, avvenuta a partire da un antenato comune nel corso dei 3,8
miliardi di anni di storia della vita sulla Terra.
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Prove che testimoniano la macroevoluzione: 2) La biogeografia
La biogeografia è la scienze che studia la distribuzione geografica delle specie nelle varie
regioni del mondo e costituisce un altro elemento a favore della macroevoluzione.
Come mai ambienti simili di continenti diversi sono popolati da specie spesso molto
differenti tra loro? Secondo il creazionismo infatti, ogni specie fu creata per occupare un
certo tipo di habitat (quindi non ci sono orsi polari a Riccione) e lì messa per intervento
divino, quindi habitat simili dovrebbero essere occupati dalle stesse specie.
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Prove che testimoniano la macroevoluzione: 3) I fossili
Altre prove a sostegno dell’evoluzione provengono dai reperti fossili che, una volta analizzati
e datati, possono rivelare fra l’altro qual è stata la successione delle antiche forme di vita; i
fossili indicano che gli organismi più semplici si trovano negli strati rocciosi più antichi e quelli
più complessi negli strati più recenti.
Gli studi geologici, così come la raccolta di piante e di animali, erano fra le attività che Darwin
svolgeva a bordo del Beagle. Le coste del Sud America erano particolarmente interessanti
poiché mostravano prove di un esteso sollevamento della crosta terrestre che lasciava
esposti molti strati geologici. Questi strati, come quelli studiati da William Smith nelle Isole
Britanniche, contenevano depositi successivi di conchiglie marine, alcuni dei quali vennero
trovati molto al di sopra del livello del mare. Poiché la percentuale di specie moderne
aumenta gradualmente negli strati che si sono sedimentati più recentemente, Darwin fu in
grado di calcolare la loro età relativa e di correlare tra loro gli strati osservati in località
diverse, come Smith aveva fatto prima di lui.
Da nessuna parte nei reperti geologici, secondo le proprie osservazioni o nei resoconti di
altri, Darwin trovò esattamente ciò che stava cercando: le prove di un graduale passaggio da
una specie a un’altra. Perciò, come Darwin scrisse in L’origine delle specie, la documentazione
fossile forniva una prova poco significativa di come si era svolta l’evoluzione; per i suoi
contemporanei e per gli studiosi moderni, invece, i reperti fossili hanno fornito la prova
schiacciante che l’evoluzione ha effettivamente avuto luogo.
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Prove che testimoniano la macroevoluzione: 3) I fossili
I fossili possono rivelare la successione delle forme di vita, da quelle più antiche e semplici a
quelle più recenti e complesse.
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Prove che testimoniano la macroevoluzione: 3) I fossili
Per esempio, attraverso i ritrovamenti fossili è stato ricostruito l’albero filogenetico delle
balene, che include sia specie estinte sia specie attualmente in vita.
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Prove che testimoniano la macroevoluzione: 4) Le strutture omologhe
Le strutture omologhe sono strutture anatomiche che possono anche avere diversa funzione ma che
hanno la stessa struttura perché derivano dallo stesso antenato comune. Per esempio le zampe di un
coccodrillo, l’ala di un uccello, la pinna di una balena, la zampa di un cavallo, l’ala di un pipistrello e il
braccio di un uomo sono tutte strutture omologhe perché pur avendo funzioni diverse hanno la stessa
struttura e sono il prodotto dell’evoluzione dell’arto dell’antenato comune tetrapode ormai estinto. In
effetti se voi analizzate le ossa di questi arti potrete vedere che sono le stesse, cambia magari la
lunghezza, ma la disposizione e il tipo di ossa sono le stesse.
Altro esempio: tutti i mammiferi hanno sette vertebre alla base del cranio, quindi devono per forza
condividere un antenato comune!
L’anatomia comparata è la scienza che si occupa di mettere a confronto le somiglianze anatomiche tra le
varie specie.
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Prove che testimoniano la macroevoluzione: 4) Le strutture omologhe
Obiezione: ma se i rettili hanno lo stesso antenato comune tetrapode dei mammiferi, come
mai i serpenti, che sono rettili, sono privi di zampe?
In realtà nei rettili si osservano delle zampe vestigiali, che l’evoluzione non ha ancora avuto il
tempo di rimuovere completamente, e che mostrano come i serpenti derivino da un
antenato a quattro zampe.
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Prove che testimoniano la macroevoluzione: 4) Le strutture omologhe
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Prove che testimoniano la macroevoluzione: 5) Le strutture analoghe
Sono strutture con la stessa funzione ma con diversa origine evolutiva, cioè si sono evolute
indipendentemente in risposta alla stessa pressione selettiva.
Esempio tipico sono le ali di un insetto (anche le farfalle sono insetti!) e quelle di un uccello,
hanno la stessa funzione e un aspetto simile non perché questi organismi derivino da un
antenato comune alato, ma perché hanno subito la stessa pressione evolutiva, cioè quella di
sviluppare organi adatti al volo.
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Strutture omologhe vs. strutture analoghe
Strutture omologhe
Strutture analoghe
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Prove che testimoniano la macroevoluzione: 6) L’adattamento imperfetto
Secondo la visione scientifica, se le specie fossero state create da un essere divino con in
mente un progetto intelligente, tutte le specie dovrebbero essere perfettamente
adattate al loro ambiente, e tutte i loro organi e le loro strutture dovrebbero essere
ottimizzate in modo da svolgere perfettamente la loro funzione.
Ma non è così. In natura sono presenti innumerevoli esempi di adattamenti imperfetti,
cioè organi e strutture che sono adatti allo scopo per il quale esistono ma sono tutt’altro
che perfetti. Resistono perché funzionano ma non sono necessariamente perfetti.
Il cranio umano è molto più piatto di quello degli altri mammiferi. Lo schiacciamento
delle ossa della faccia è avvenuta durante la nostra storia evolutiva sicuramente per un
motivo valido, ma ha comportato una serie di problemi come ad esempio l’affollamento
dei denti. Nei mammiferi con il muso allungato i denti hanno più spazio per disporsi e
non si accavallano. Negli esseri umani invece lo spazio è molto minore quindi spesso i
denti si accavallano tra loro. I denti del giudizio a volte non hanno spazio sufficiente per
emergere e rimangono intrappolati nelle gengive.
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Prove che testimoniano la macroevoluzione: 6) L’adattamento imperfetto
La faringe è una cavità in comunicazione con la bocca che viene utilizzata sia per la
respirazione che per l’ingestione del cibo, il che comporta che a volte il cibo può finire nelle
vie respiratorie e provocare la morte per soffocamento. Un adattamento perfetto vedrebbe
la presenza di due canali separati, uno per l’aria e uno per il cibo, ma così non è.
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Prove che testimoniano la macroevoluzione: 7) La biologia molecolare
Queste strutture che sono alla base stessa della vita sono presenti senza variazioni
significative in tutti gli organismi viventi e dimostrano che tutti derivano da un antenato
comune che per primo ha evoluto queste strutture.
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I limiti della teoria di Darwin
Uno dei limiti della teoria di Darwin è legato alla frammentarietà della documentazione
fossile. I ricercatori dispongono oggi di una documentazione ampia e dettagliata solo per
alcuni gruppi di organismi: finora sono state scoperte e studiate circa 250000 specie, ma si
stima che questo numero rappresenti soltanto l’1% di tutte le specie che hanno popolato la
Terra nel tempo. Questa lacuna è spiegabile con la scarsa probabilità che un organismo
vivente lasci fossili che vengano poi ritrovati.
In generale, il processo di fossilizzazione è un evento casuale (come del resto lo è anche la
scoperta di un fossile) ed è impossibile disporre di una documentazione completa che
testimoni in modo sistematico i diversi momenti della storia evolutiva di tutte le specie.
Nonostante queste difficoltà, si può riscontrare nei fossili di singole specie quel cambiamento
graduale previsto dalle teorie darwiniane.
Un altro problema che affliggeva Darwin era la difficoltà di trovare fossili di transizione,
ovvero organismi che presentano caratteristiche intermedie tra due grandi gruppi. Secondo
l’idea di Darwin, l’evoluzione procede lentamente, quindi le forme di transizione dovrebbero
essere numerose.
In realtà, l’evoluzione avviene a volte in tempi geologicamente rapidi (si pensi alle catastrofi
nella storia della Terra…)
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I limiti della teoria di Darwin
Altro grosso limite della teoria di Darwin: non spiega come si genera la variabilità individuale
su cui agisce la selezione naturale. Del resto, Darwin non ne sapeva nulla di DNA, mutazioni e
genetica… Lo stesso Darwin si rese conto di tale «lacuna» nella sua teoria.
Oggi sappiamo invece che la base genetica su cui agisce la selezione è data dalle mutazioni
che casualmente compaiono nel DNA degli organismi viventi, per i più disparati motivi.
La scoperta delle mutazioni venne fatta solo nel 1886 da Hugo de Vries, che le osservò in una
pianta da giardino; successivamente, anche Morgan scoprì delle mutazioni nella Drosophila
(il moscerino della frutta).
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Fattori che perturbano l’equilibrio delle popolazioni
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L’effetto collo di bottiglia
Un esempio di collo di bottiglia è quello dei ghepardi: durante l’ultima era glaciale, questa
specie arrivò molto vicina all’estinzione e sopravvissero solo pochi individui. Pertanto, la loro
variabilità genetica è molto limitata. Ciò rappresenta un problema, perché se in una
popolazione si ha variabilità limitata risulta limitata anche la capacità di adattamento ai
cambiamenti ambientali. Invece, se la variabilità in una popolazione è elevata, è più
probabile che almeno qualcuno dei suoi individui riesca a sopravvivere a mutamenti
improvvisi delle condizioni ambientali.
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L’effetto del fondatore
Si verifica quando pochi individui colonizzano un nuovo ambiente senza portare con sé tutta
la variabilità genetica della popolazione da cui provengono.
Per esempio, alcuni moscerini Drosophila subobscura, originari del continente europeo,
hanno raggiunto il Cile, probabilmente viaggiando a bordo di una nave. Si è osservato che la
variabilità genetica dei moscerini «cileni» è molto minore rispetto a quella dei «cugini»
europei, proprio perché i colonizzatori non hanno portato con sé tutta la variabilità presente
nella popolazione originaria.
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Deriva genetica
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La fitness
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Selezione naturale di tipo stabilizzante
La selezione naturale può agire sui caratteri quantitativi (quindi, quelli con una
variazione continua, come per esempio l’altezza degli uomini) in tre modi diversi:
stabilizzante, direzionale, divergente.
La selezione stabilizzante comporta l’eliminazione degli individui con caratteri estremi,
favorendo gli individui con fenotipi intermedi: si pensi al peso degli umani o alla loro
altezza. In presenza di selezione stabilizzante, la variabilità di un carattere nella
popolazione si riduce, ma la media rimane costante. Quella che cambia è la dispersione
attorno al valore medio. La selezione stabilizzante spesso riduce la variabilità che
continuamente si genera nelle popolazioni a causa di flusso genico, mutazioni e
ricombinazione.
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Selezione naturale di tipo stabilizzante
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Selezione naturale di tipo direzionale
La selezione di tipo direzionale favorisce individui con un fenotipo che si discosta da quello medio, in
una direzione o nell’altra. Si dà così origine ad una tendenza evolutiva.
Un esempio ben documentato di selezione direzionale è quello relativo alla massa corporea media degli
orsi bruni (Ursus arctos). I fossili degli animali vissuti nel corso di un’epoca glaciale mostrano una
regolare tendenza all’aumento della massa corporea, il che costituisce un ben noto adattamento a un
clima più rigido. Al contrario, i fossili di animali vissuti nel corso di un’epoca interglaciale mostrano una
tendenza opposta (calo della massa corporea); infatti, se non è favorita dal rigore del clima, una massa
corporea maggiore risulta svantaggiosa, perché richiede un maggior apporto quotidiano di cibo.
Di solito una selezione direzionale comporta la modifica della caratteristica sulla quale agisce fino a che
essa raggiunge valori ottimali, dopo di che subentra una selezione stabilizzante. Nel caso dell’orso bruno
questo sviluppo non ha potuto realizzarsi a causa dei continui e relativamente rapidi mutamenti del
clima.
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Selezione naturale di tipo direzionale
Un altro esempio di selezione direzionale si ha nei bovini di razza Longhorn. I loro antenati,
che erano privi di lunghe corna, furono portati dalla Spagna in America agli inizi del ‘500. Qui
vennero allevati allo stato brado, quindi in un ambiente ricco di predatori.
In generale, un paio di corna conferisce ad un bovino un vantaggio selettivo nella difesa dei
giovani vitelli dagli attacchi dei predatori. E’ chiaro che se nell’habitat del bovino non ci sono
predatori, le corna non servono, ma se sono presenti predatori, le corna aumentano la
fitness degli individui!
Questo ha portato a un aumento della lunghezza delle corna dei bovini, e così è nata la razza
texana Longhorn. Questa tendenza evolutiva è stata poi mantenuta in tempi più recenti dagli
allevatori, che hanno quindi praticato una selezione artificiale.
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Selezione naturale di tipo divergente
La selezione divergente favorisce gli individui che hanno fenotipi lontani dalla media
(«estremi»), sia in un senso, sia nell’altro. Gli individui meno avvantaggiati, in questo caso,
sono quelli che mostrano fenotipi intermedi.
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Selezione naturale di tipo divergente
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Selezione sessuale
La selezione sessuale è la lotta tra membri dello stesso sesso, generalmente quello maschile,
per la conquista di un partner dell’altro sesso. Essa è un tipo particolare di selezione naturale
che agisce sulle caratteristiche che determinano il successo riproduttivo.
Selezione intrasessuale: si ha quando determinati caratteri permettono ad un individuo di
competere meglio con altri individui dello stesso sesso per la conquista del partner.
Selezione intersessuale: si ha quando determinati caratteri permettono ad un individuo di
risultare più attraente degli altri nei confronti degli individui dell’altro sesso.
La selezione sessuale può quindi favorire i tratti che aumentano la capacità riproduttiva del
portatore, ma può ridurre la sopravvivenza media degli individui.
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Selezione sessuale
NB: gli uccelli con coda lunga vivono mediamente meno di quelli con la coda corta, perché la
coda lunga limita di molto le loro capacità di volo, e quindi li rende più suscettibili di attacco da
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parte dei predatori.
Le sottopopolazioni
Nelle popolazioni di grandi dimensioni (e quindi presenti su vaste aree del pianeta), si
osservano spesso delle sottopopolazioni, le quali presentano differenze genetiche tra loro
perché l’ambiente cambia da un luogo all’altro ed esercita pertanto pressioni selettive
differenti sulle varie sottopopolazioni.
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L’evoluzione NON produce il migliore dei mondi possibili!
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Specie morfologica e specie biologica
Secondo la definizione di Linneo, appartengono alla stessa specie tutti gli organismi aventi un
aspetto uguale tra loro e diverso da quello di altre specie: questo è il concetto di specie
morfologica, oggi ampiamente superato.
Ernst Mayr ha invece fornito nel 1940 il concetto di specie biologica: una specie è un gruppo
di individui che si possono riprodurre tra loro dando origine ad una prole fertile e che sono
riproduttivamente isolati (vedi poi…) da altri gruppi di organismi analoghi.
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Specie morfologica e specie biologica
Il concetto di specie morfologica è ampiamente superato poiché non è utile per distinguere
le specie tra di loro, in quanto ci possono essere:
• Dimorfismo sessuale (insieme delle differenze morfologiche tra due individui
appartenenti alla stessa specie ma di sesso diverso). Per esempio, il dimorfismo sessuale
è assai evidente nei pavoni: il maschio ha una coda assai grande (munita di occhi finti per
intimorire i predatori…), la femmina no.
• Differenze tra le forme adulte e quelle immature.
• Un diverso ruolo all’interno della specie (ape regina / api operaie).
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Specie morfologica e specie biologica
Il concetto di specie morfologica non è adeguato, infatti i primi due individui sono molto
simili, pur provenendo da habitat diversi… invece il terzo individuo (femmina) è
marcatamente diverso dagli altri due, pur appartenendo alla stessa specie: siamo in presenza
di dimorfismo sessuale.
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La speciazione
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La speciazione allopatrica
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La speciazione allopatrica
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La speciazione allopatrica
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La speciazione allopatrica
La barriera ovviamente può essere efficace per dividere una certa specie in due
sottopopolazioni, ma non altre… Tutto dipende dalla mobilità degli individui di quella specie.
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