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Con Guerra dei Cent'anni dal 1337 al 1453, si definisce uno tra i vari conflitti
intercorsi a partire dall'XI secolo tra il Regno d' Inghilterra e il Regno di
Francia che durò, non continuativamente, 116 anni e si concluse con
l'espulsione degli Inglesi da tutti i territori continentali, fatta eccezione per la
cittadina di Calais, conquistata dai francesi solo nel 1558.
Le due fasi del conflitto
Dopo una tregua tra il 1343 e il 1345, gli Inglesi conseguirono due importanti vittorie: nel 1346 a
Crecy e nel 1356 a Poitiers, devastarono il suolo francese e catturarono Giovanni II re di Francia.
Seguì la Pace di Bretigny (1360) con cui Edoardo III, rinunciando ai diritti ereditari sulla Francia,
pretese però il dominio su tutta l'Aquitania e di Calais. Si concluse così la prima fase della guerra cui
seguì una ripresa dei francesi a opera di Carlo V, che riconquistò il territorio occupato dagli Inglesi
(1368-80).
La seconda fase della guerra scaturì da vicende interne della Francia. Con la successione di Carlo VI
il paese fu travolto da gravi disordini politici che culminarono, a partire dal 1407, nella guerra civile
tra Borgognoni e Armagnacchi. Giovanni senza paura, figlio del Duca di Borgogna Filippo l'Ardito, si
alleò con gli Inglesi, che con Enrico V ripresero la guerra, impadronendosi del nord-ovest del regno.
Nel 1420, come genero di Carlo VI di Francia, Enrico V venne riconosciuto suo erede con la Pace di
Troyes.Gli Inglesi, occupata Parigi si spinsero fino alla allora che essendo re d'Inghilterra Enrico VI e re
di Francia Carlo VII.
Quando tutto sembrava perduto una giovane contadina lorenese , Giovanna d'Arco, si recò dal
Delfino Carlo dichiarandosi inviata da Dio per risollevare le sorti del regno di Francia (1429).
La ragazza sosteneva di essere stata spinta ad agire in prima
persona per il bene della Francia dalle voci dell'
arcangelo Michele e delle sante Caterina d'Alessandria e
Margherita d'Antiochia. Sebbene gli storici inglesi
minimizzino il ruolo che ella ebbe nello svolgersi degli eventi,
è tuttavia impossibile ignorare che da quel momento in poi la
guerra registrò una svolta di non poco conto. Le truppe del
delfino infatti guidate da Giovanna ruppero l'
assedio di Orléans (da tale impresa derivò il soprannome di
"Pulzella d'Orléans") infliggendo una pesante sconfitta alle
forze inglesi e portando alle stelle il morale dei francesi che
imbaldanziti sconfissero una seconda volta l'esercito del
Bedford nella battaglia di Patay e riuscirono a liberare tutti i
territori occupati fino a Reims, dove Carlo VII si fece
incoronare.
• Mentre per Giovanna sarebbe stato
opportuno continuare la guerra fino alla totale
cacciata degli inglesi, il sovrano preferì
intavolare delle trattative col nemico. La
Pulzella allora continuò le proprie spedizioni
fino a quando nel 1430 fu catturata dai
Borgognoni, processata per eresia e infine
condannata a morte (1431) senza che
apparentemente Carlo VII intervenisse.
La guerra proseguì a favore di Carlo VII, che si riappacificò
con il Duca di Borgogna . Dal 1436 al 1453 i francesi
recuperarono molti territori. La guerra finì senza che
venisse firmato alcun trattato di pace. Gli Inglesi riuscirono
a conservare solo Calais, fino al 1558.
Nel Duecento le armature consistevano in lunghe cotte in maglia metallica dette usberghi, in cui le
parti composte da piastre di metallo erano limitate. Col passare degli anni la corazza cominciò ad
evolvere in un elaborato sistema di piastre per meglio proteggere dalle nuove perfezionate armi da
getto: la parte in maglia diminuì a vantaggio delle piastre metalliche, ora ben articolate e foggiate su
misura da artigiani specializzati nella realizzazione anche di un singolo elemento, e il costo complessivo
aumentò a dismisura. Il notevole incremento delle spese sopportate per l'armamento contribuì
all'impoverirsi di molte famiglie nobili ed all'aumento della pressione fiscale sui feudi.
La polvere da sparo!
E’ un'invenzione attribuita ai Cinesi. Questa miscela di ( SALNITRO, CARBONE E ZOLFO) fu presto utilizzata per lanciare
proiettili infilati in lunghe canne di bambù o di legno.
Il termine "cannone" lo si trova citato per la prima volta in un documento fiorentino del 1326. Esattamente vent'anni dopo (
1346) a Crécy furono esplosi nel corso dello scontro alcuni colpi di artiglieria da parte degli inglesi. Fu allora che le armi da
fuoco fecero il proprio ingresso nella storia della guerra dei cent'anni. Da quel momento in poi esse cominceranno a
svolgere una funzione sempre più importante nel corso dei combattimenti fino a riuscirne addirittura a condizionarne.
Le nuove artiglierie a polvere pirica non cancellarono subito le precedenti artiglierie a trabucco poiché questi due tipi di
armi furono usati, almeno inizialmente, per scopi estremamente diversi: le prime erano impiegate per colpi sparati in
direzione orizzontale mentre le seconde per il lancio di proiettili lungo traiettorie paraboliche. Non è, tuttavia, da
sottovalutare l'impatto che le armi da fuoco ebbero sulla concezione della guerra, sul modo di combattere, di organizzare e
di finanziare le spedizioni e sulla preparazione degli eserciti.
Giovanna nacque intorno al 1412, si dice il giorno dell’Epifania, da Jacques e Isabelle Romèe. Aveva quattro fratelli, tre maschi (Jacques, Pierre e Jean) e una femmina (Catherine), i cui
nomi esemplificavano perfettamente la devozione e l’impegno della famiglia nel pellegrinaggio. Il padre “laboureurs”, una sorta di piccolo proprietario terriero piuttosto agiato;
La fanciulla appariva particolarmente devota, capace nelle
faccende domestiche, tranquilla, anche se, seguendo la
norma del tempo, non sapeva leggere né scrivere, vista
l’assoluta mancanza di scuole a Domrèmy. Viveva in un
mondo di credenze, conoscenze per lo più tecniche e
manuali, leggende, tradizioni locali: e proprio in contatto con
gli antichi miti celtici va considerata l’abitudine folkloristica,
comune anche a Giovanna ed ai suoi coetanei, di appendere
ghirlande di fiori, nel mese di maggio, all’ “albero delle fate”.
Il maestro di teologia Jean Erault ricordò allora la profezia di una tale“Marie d’Avignon”: “Molte armi mi sono
apparse; per un attimo, ho avuto paura di esser io a doverle portare. Mi fu detto però di non temere: erano
destinate non già a me, bensì ad una fanciulla vergine che sarebbe venuta dopo di me e che avrebbe liberato
il regno”.
E’ proprio questa, la sua grande novità; Giovanna non si
accontentava di profetizzare.
“Gli uomini combatteranno e Dio donerà la vittoria”, disse. E lei,
tra questi.
Lei stessa scelse lo stendardo, con Dio assiso sull’arcobaleno,
affiancato da due angeli recanti tra le mani il giglio di Francia
Alla fine d’aprile, seguendo un’abitudine dell’epoca, la ragazza
inviò una lettera di sfida ai suoi avversari, ed in specie al re
“..rendete alla Pulzella, che è inviata da Dio, il Re del Cielo, le
chiavi di tutte le città che avete preso e violato in Francia..”.
Gli urlava, in mezzo alla mischia, “Gentile duca, hai forse paura? Non sai che ho promesso a tua moglie di
portarti indietro sano e salvo?”, mostrando, al solito, ironia e sfrontatezza.
I difensori della fortezza furono massacrati, tutti.
Il ruolo di Giovanna in battaglia, per la verità, appare ancora oggi
poco chiaro. Seppur portatrice di uno stendardo, ovvero, in ogni
caso, di un simbolo di comando, le fu sempre precluso, dopo
Orlèans, un ruolo di guida. La sua funzione era, indubbiamente,
psicologica: il morale dell’esercito cresceva a dismisura alla sua
sola vista. In più, mostrava una particolare, e misteriosa,
conoscenza delle tecniche d’assedio, appariva eccellente nel
cavalcare e nel difendersi, era convinta sostenitrice, in ogni caso,
dell’assalto. Ciononostante, al processo sostenne sempre di non
aver ucciso nessuno, in vita sua. Ma la sua funzione di guida,
d’ispiratrice di entusiasmo, restano indubitabili.
Probabilmente l’ispirazione le venne dalle “voci”, che fino a quel momento non le avevano mai mentito. Per
la prima volta, dei crociati furono impiegati contro la “soldatessa di Dio”, che però cominciava a suscitare
forti perplessità nel mondo cristiano. Un’armata crociata poteva essere impiegata contro altri cristiani solo
se questi fossero stati chiaramente eretici; e Giovanna, agli occhi di molti, si stava dimostrando sempre più
pericolosa, e, quindi, sempre più demoniaca.
Parigi, a dire il vero, non avrebbe mai aperto le porte alla
Pulzella, stretta com’era in un forte lealismo nei confronti del
duca di Borgogna.Fu proprio ciò che accadde: l’attacco dell’8
settembre, verso la Porta Saint-Honorè fallì, e Giovanna fu ferita
ancora, da un colpo di balestra, alla coscia.
Gli inglesi, che da una posizione defilata ma concreta attendevano una precisa conclusione,
cominciarono a perdere la pazienza: Giovanna doveva confessare, a tutti i costi.
I dottori di Rouen, riuniti, decisero il 19 di organizzare una pubblica cerimonia, in cui farla
confessare. Era la sua ultima possibilità, fu sottolineato, di evitare il braccio secolare, e con esso il
fuoco. Probabilmente, a spingere in questa direzione erano in questa fase coloro che avevano più
a cuore la sua sorte: era nel suo interesse. E, dopo una pressione di questo tipo, probabilmente
esausta nel corpo e nella mente, accettò di abiurare, il 24 maggio, in una cerimonia, organizzata in
fretta e furia, al cimitero di Saint-Ouen.
Quel giorno, il magister riprese il passo del Vangelo di Giovanni (15,1-6) sull’unità della chiesa: ”Io
sono la vera vite, il Padre mio è il coltivatore. Ogni tralcio che in me non dà frutto, lo getterò via..
Chi non rimane in me sarà gettato come tralcio e seccherà; e, raccolto, sarà buttato nel fuoco a
bruciare..”.
Ed il rogo era lì, a ricordarlo.
Giovanna, affranta, ebbe solo un sussulto, sentendo nominare il suo re, ed esplose: “Non
nominatelo, egli è buon cristiano!”. Il suo appello all’autorità del papa, benché perfettamente
lecito, fu lasciato cadere. Un documento di poche righe, di abiura, le fu sottoposto. E la Pulzella, di
fronte ad una vasta folla, che non voleva perdersi lo spettacolo, lo sottoscrisse, con mano incerta,
forse sostenuta da qualcuno.
Secondo alcuni era stravolta al punto da non capire cosa accettava, per altri fu minacciata di finire
immediatamente sul rogo.
Tra gli altri impegni assunti al momento dell’abiura, c’era quello, fondamentale,
della rinuncia all’abito maschile. Nella prigione inglese dove fu portata, le furono
recapitati abiti femminili, che indossò, per la prima volta da quando era apparsa
nella scena politica.
Ma sulla cerimonia d’abiura, comunque, aleggiavano sinistri presagi: gli inglesi
sembravano delusi di quella conclusione incruenta, che, comunque la si giudichi,
aveva salvato la vita alla Pulzella. Sembravano irritati, a qualcuno scappò che non
c’era da preoccuparsi, l’eretica sarebbe stata riacciuffata.
Forse, ma si tratta di sole supposizioni, l’epilogo, così desiderato dai suoi carcerieri,
fu provocato dalla delusione di Giovanna, cui era stata promessa la consegna ad un
istituto religioso, e non agli aguzzini inglesi; forse, semplicemente, era una decisione
sofferta, ma meditata con calma; o magari gli abiti maschili, che permettevano la
difesa della sua verginità, e che costituivano il segno visibile della sua chiamata,
l’attraevano troppo per potervi rinunciare.
E, d’altra parte, sembra davvero improbabile che un carcerato potesse godere della
libertà di decidere il proprio vestiario.
Comunque sia, il 27 maggio, il vescovo di Beauvais fu informato della cosa:
Giovanna era tornata a vestirsi con abiti maschili, dichiarandosi perciò recidiva.
Interrogata, immediatamente, ritrattò la sua abiura: “Tutto quello che ho detto e ritrattato, l’ho fatto
solo per paura del fuoco.. Non ho mai detto né inteso dir nulla per rinnegare le mie apparizioni, cioè
che si trattava delle sante Margherita e Caterina.. di quello che stava scritto nella formula di
ritrattazione, non ho capito una sola parola! E poi, proprio in quel momento, dissi che non intendevo
ritrattare nulla, qualora dispiacesse a Dio
Qualche assessore suggerì di spiegare a Giovanna le conseguenze della sua azione, ma non c’era più
tempo, o forse non c’era mai stato. La macchina della morte non tardò un secondo ad attivarsi, in
fretta, furtivamente, come se non aspettasse altro che una fanciulla ventenne indossasse il “suo”
abito. Non vi fu neanche un processo: non serviva più.
Giovanna d’Arco, la Pulzella d’Orlèans, fu accompagnata sul rogo il 30 maggio dell’anno 1431, nella
pubblica piazza di Rouen.
Le venne permesso di confessarsi; ed un soldato inglese, per esaudire un suo desiderio, le fabbricò
una croce, legando insieme due pezzetti di legno. Qualcun altro prese una croce che avvicinò al volto
della giovane, in modo che, bruciando, potesse vederla.
Un secondo soldato inglese, che si rinfrescava in una taverna poco distante, disse di aver visto una
colomba levarsi dal rogo che l’avvolgeva; un altro, accorso per alimentare le fiamme, s’arrestò di
colpo, le mani a mezz’aria, sentendo la ragazza, avvolta dal fuoco, urlare più volte il nome di Gesù.
Nel 1456, una nuova sentenza dell’Inquisizione la dichiarò innocente.